11/06/16

LEGALIZZAZIONE DELLA CANAPA E LIBERA COLTIVAZIONE DOMESTICA


Per come stiamo messi nel mondo antipro italiano, dove i vari gruppi individuano il nemico in un altro gruppo, e non nei proibizionisti, meglio sarebbe non diffondere gli scritti degli altri, ma se uno ha a cuore la battaglia e non perde di vista l’obiettivo, può essere utile cercare di rispondere.

Un comunicato della MMM, ripreso al volo da Progetto Free Weed e altri, accusa i radicali di fare il gioco delle tre carte nientepopodimeno che con il Ministero delle Politiche agricole, allo scopo di istituire un monopolio statale dei semi.

Le tre carte sarebbero la pdl (proposta di legge) dell’intergruppo parlamentare (Della Vedova e altri, oltre 200 fra deputati e senatori di tutto o quasi tutto lo schieramento politico), la pdl di iniziativa popolare proposta alla firma dei cittadini da Radicali Italiani (legalizziamo.it), e un emendamento del Ministero.

Cominciamo dalla pdl popolare (affiancata da una petizione al Parlamento europeo), alla quale non si trova modo di affibbiare alcunché sul controllo delle genetiche dei semi, perché nel testo proprio non ne parla neanche di striscio, e viene quindi accusata di far firmare su un testo mentre in realtà se ne appoggia un altro; ed è vero, che la pdl popolare è stata concepita a sostegno di quella parlamentare, ma né il testo dell’una, né dell’altra, usciranno dal dibattito parlamentare così come sono, e le firme dei cittadini sono un fattore di pressione sulle forze parlamentari. Il processo legislativo nasce anche dal dibattito pubblico che accompagna quello parlamentare ed ogni azione di pressione è legittima e benvenuta.

Quanto alla previsione che ambedue rimangano “nei cassetti”, grazie del pensiero, ma mi risulta che il #27giugno sia il giorno di calendarizzazione del dibattito parlamentare, mi auguro che sia così perché è dai tempi della Jervolino Vassalli (1990) che si va avanti a decreti legge e legislazione di urgenza senza dibattito, e sarebbe l’ora che si ricominciasse a parlarne, a Montecitorio e fuori. Troppi cambiamenti sono intervenuti nel mondo, rispetto alla war on drugs e alle strategie proibizioniste in vigore nell’ultimo mezzo secolo, troppi giustificati ripensamenti per essere ignorati.

Altra accusa, per i radicali di legalizziamo.it, quella di ricercare consensi e di usare la lotta antiproibizionista come strumento di propaganda politica; certo, RI e il PRT, che porta avanti la stessa battaglia sul fronte transnazionale, sono movimenti politici, e come tali non evitano, anzi ricercano spazi di governo. D’altra parte anche la MMM ha dei punti di riferimento politici, così come i Centri Sociali e simili, nella sinistra cosiddetta estrema, massimalista, o addirittura radicale. In ogni caso, le numerosisissime iniziative politiche dei radicali sull’antiproibizionismo sono state e sono durature e costanti, sia in periodo elettorale che fuori.
Anche nella pdl Della Vedova non riesco a leggere alcun accoglimento di emendamenti volti al monopolio sui semi, che sembrano esistere solo nella mente paranoide di alcuni, che già danno per scontato il futuro, neanche fossero l’oracolo di Delfi . La proposta ricalca quella di Mujica in Uruguay, e anche lì la possibilità di coltivazione personale e di csc è stata inserita con la pressione dei gruppi antipro, dei difensori della libertà delle genetiche, contro la volontà di Mujica che desiderava un puro monopolio allo scopo di mantenere un prezzo politico e una concorrenza inattacable alla criminalità organizzata. Anche in Uruguay esiste un elenco dei consumatori e dei soci dei csc, anche lì protetto dalla legge sulla privacy; mentre il modello americano è assai diverso, ma nasce da referendum popolari, quindi dal basso, cosa che in Italia non siamo evidentemente in grado di fare; colgo l’occasione per dire che sarebbe l’ora di farla finita con questa storia del “denaro sterco del diavolo” per cui il fatto che si crei un business intorno alla canapa sia un fattore negativo in assoluto, non ci crede più nessuno, e anche i rappresentanti della sinistra “estrema”, in Italia e nel mondo, vestono Prada e viaggiano in taxi.

Infine, l’emendamento del Ministero riguarda solo ed unicamente la canapa industriale, e quindi un settore che le proposte radicali non toccano in nessun modo; sono d’accordo che sia un emendamento sbagliato, voterei convintamente contro; per riuscire ad immaginare un gioco fra queste tre carte bisogna avere molta, molta fantasia.

Penso che a partire dal #27giugno debba iniziare una mobilitazione di tutti in appoggio al dibattito parlamentare, una pressione più possibile incisiva su due punti fondamentali: legalizzare la canapa in tutte le sue forme, e se pure con limiti e paletti, farla uscire dalla clandestinità e dalla criminalità, il primo; la libera coltivazione domestica, il secondo. Qualunque azione e iniziativa in tal senso mi vedrà partecipe.

Tanto dovevo. Arrivederci e grazie




#liberepianteinliberigiardini  
#27giugno
#LegalicelaUstedMismo


23/05/16

Traduzione dell'articolo di Libération, del 23.05.2016 "In tutto, 19 tonnellate di cannabis sono state movimentate attraverso la villa durante il mio soggiorno"


TESTIMONIANZA

François Thierry durante un sequestro di 2,5 tonnellate
di cannabis a Nanterre.
Photo Patrick Kovarik.AFP
"In tutto, 19 tonnellate di cannabis sono state movimentate attraverso la villa durante  il mio soggiorno"
Di Emmanuel Fansten - 22 Maggio 2016 


Stéphane V. (secondo il falso nome del passaporto che gli è stato fornito dall'amministrazione francese) è registrato come informatore per l'Ufficio centrale delle risorse nel 2007. Ha lavorato dietro le quinte per conto della Francia, ma anche per gli Stati Uniti: Stéphane V., riconosciuto credibile dalla giustizia, spiega in dettaglio i metodi senza scrupoli delle Stups (Brigate Narcotici).

La testimonianza di Stéphane V. è così compromettente che ha immediatamente provocato l'apertura di una inchiesta preliminare nella Procura di Parigi. Quest'uomo di 52 anni è stato sentito a lungo dall'Ispettorato Generale della Polizia Nazionale (IGPN), la Polizia delle polizie. Liberazione lo ha incontrato due volte, per diverse ore ogni volta. Molti documenti ufficiali dimostrano che ha lavorato sotto copertura per lo stato francese, ma anche per il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti e la Drug Enforcement Administration (DEA), la potente agenzia antidroga degli Stati Uniti; una fonte ritenuta perfettamente credibile.

Quale è il vostro status dal punto di vista dell'amministrazione?

Io non sono un "informatore", perché non appartengo a nessun mondo di mezzo. Il termine appropriato sarebbe piuttosto quello di "infiltrato" poiché ho effettuato diverse missioni per lo Stato, alcune delle quali sotto copertura. In questo contesto, le autorità francesi mi hanno fornito false buste paga, falsi contratti di lavoro, falso avviso di accertamento fiscale e anche un passaporto falso a nome di Stéphane V. La giustizia è in possesso di tutti questi documenti.

Come hai conosciuto François Thierry?

Sono stato iscritto come informatore per l'Ufficio centrale delle risorse nel 2007. A quel tempo, François Thierry dirigeva il servizio di informazione e assistenza tecnica (il Siat, servizio della DCPJ, incaricata della gestione degli informatori e degli infiltrati nota). E 'diventato da subito il mio agente ingaggiatore, e tale è rimasto quando ha preso il timone della OCRTIS [Ufficio centrale per la repressione del traffico illecito di stupefacenti]. Ho effettuato diverse missioni per lui, Venezuela, Repubblica Dominicana, Colombia, Panama, Messico, Cuba, Saint-Martin e la Spagna. Mi ha aperto lui stesso un conto LCL, Champs-Elysées, il cui numero figura sul mio modulo fiscale consegnato al IGPN.

Che cosa denunciate?

I metodi dell'Ufficio DEA, per anni. Tra marzo e aprile 2012, François Thierry mi ha chiesto di andare a sorvegliare una villa a Estepona, a sud di Marbella, sulla Costa del Sol. Non sapevo quale fosse lo scopo di questa missione prima del mio arrivo. Per venti giorni, cinque uomini si sono alternati per caricare e scaricare pacchetti di droga sulla spiaggia. Thierry François me li ha presentati come poliziotti francesi. Alcuni di loro li avevo già visti all' OCRTIS. La cannabis arrivava dal Marocco con degli Zodiac (gommoni). In tutto, 19 tonnellate sono transitate dalla villa durante questo soggiorno. La droga proseguiva verso la Francia con "go-fast" (ditta di autotrasporto). Solo una parte delle vetture sono state intercettate. Successivamente, François Thierry mi ha chiesto più volte di ripetere identiche operazioni fino a dicembre 2014. Ho sempre rifiutato.

Perché parla adesso?

Lo Stato ha un debito con me. Una missione pericolosa in Sud America, in collaborazione con gli Stati Uniti, che non è stata pagata. Le autorità sono perfettamente informate. Ma il denaro non è la mia priorità. Sono stato testimone di un traffico organizzato ai più alti livelli, con lo scopo di smantellare le reti. Posso capire il risultato della politica, ma non la fine dello Stato di diritto. Non so chi fosse al corrente di questi metodi al di là di François Thierry, che tutto il mondo ha elogiato per i risultati. Ma di tutta evidenza, c'erano sia delle complicità, sia un'assenza totale di controllo.


Emmanuel Fansten

Traduzione @ra

02/07/15

L’Oregon legalizza la marijuana

Nel Novembre 2014 un referendum per legalizzare la marijuana ricreativa vinse in Oregon, e il primo luglio, ieri, è entrata in vigore la nuova legge. Gli adulti, cioè coloro che hanno più di 21 anni, possono detenere fino a 8 once di marijuana circa 227 grammi) in casa propria e fino a una oncia (28,34 grammi) fuori casa. Gli adulti possono coltivare fino a quattro piante. L’Oregon raggiunge l’Alaska, Washington, Colorado e D.C., nel permettere un uso legale della marijuana.




30/06/15

News: report ONU e EMCDDA 2015

Giugno 2015, gli ultimi dati istituzionali sul consumo e commercio di sostanze stupefacenti. 



Trovate i dati europei, raccolti ed elaborati dalla EMCDDA (European Monitoring Centre for drugs and drug addiction) al link qua sotto, scaricabili in lingua italiana.

Report EMCDDA
    

I dati Onu, invece, in lingua inglese, e sommario in francese e spagnolo, qui sotto.




28/06/15

Musica "leggera", canzoni in tema / 1




J-AX feat. IL CILE - MARIA SALVADOR (OFFICIAL VIDEO)






ANTIPROIBIZIONISMO RADICALE A BRUSSELS

Il 13 luglio, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo si incontreranno esperti ed addetti per un convegno dal titolo “Le politiche europee sulla lotta contro il traffico di droghe e crimine organizzato : valutare un nuovo approccio alle droghe leggere“, organizzato da Ignazio Corrao, deputato europeo del M5s.

Sono stata invitata a rappresentare gli antiproibizionisti radicali, e ne sono orgogliosa e commossa, senza alcuna retorica. Che questo invito mi sia arrivato ha stupito me per prima, ma dimostra, a mio avviso, che scegliere un argomento e studiarlo, studiarlo, studiarlo, alla fine paga, in particolar modo se l’interesse è sincero e la materia scelta appassiona.
Nel 2008 ero stata invitata dall’allora deputato europeo Marco Cappato allo stesso Parlamento europeo, per un workshop organizzato dall’ALDE, “Illicit drug market”; i lavori furono aperti dal saluto di Fernando Henrique Cardoso, già presidente del Brasile, che descrisse come nella realtà brasiliana il mercato delle droghe si intrecciasse con la corruzione politica, la criminalità e la violenza, e come i trafficanti fossero dotati di una milizia parallela e arrivassero ad influenzare i mass media e lo stesso Parlamento. La conclusione fu che i tragici costi in vite umane obbligavano ad un ripensamento delle politiche repressive radicate in visioni ideologiche; se l’argomento è tabù, per ridurre i costi per la società occorreva, secondo Cardoso, partire dai dati applicando lo stesso pragmatismo che ha guidato la lotta all’HIV, permettendo una legalizzazione delle droghe per chi accetti di affrontare cure e programmi di recupero, affidando i tossicodipendenti al sistema sanitario e non più a quello carcerario, depenalizzando le piccole quantità di cannabis, in una visione reale che non fosse ostaggio di pregiudizi.
Il documento della Global Commission sarebbe uscito nel 2011, e le parole di Cardoso suonavano nuove, dopo 50 anni di war on drugs imposta a tutti i paesi del mondo, una contestazione precisa, pacata, fondata sulle evidenze.
I documenti e gli incontri che sono seguiti hanno rappresentato un crescendo di voci ragionevolmente critiche contro le politiche ONU sulle droghe; il percorso che viene proposto è graduale, e inizia dalla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere, cioè la canapa, e dal diritto alla autocoltivazione, coinvolgendo, in questo aspetto, anche le riforme della coltivazione della pianta della coca nei territori andini.
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La canapa rappresenta senza dubbio un caso a parte, sono dichiaratamente convinta della necessità della legalizzazione del mercato della canapa; altrettanto sono convinta che fino a che non affronteremo anche la gestione legale di tutte le droghe non avremo pace, tanta è la violenza, la ingiustizia, il dolore e la malattia portate dalla strategia proibizionista che in questi 50 anni ha prodotto nessun risultato positivo e una cascata immane di effetti negativi e dannosi.
La canapa rappresenta un caso a parte perché è la meno tossica, secondo tutti i parametri esistenti; va anche ricordato che la canapa è una sostanza che si consuma sotto forma di pianta, e non di composto chimico derivato, a differenza della maggioranza delle sostanze che circolano. Una pianta in sé non può essere proibita, appartiene al mondo, e spesso le piante “stupefacenti” sono anche farmaci. Un uso tradizionale del papavero, che fosse laudano o decotto per addormentare i bambini, è sopravvissuto per secoli senza provocare grossi scompensi sociali; è dopo la estrazione chimica del principio isolato, la trasformazione in morfina, eroina, e tutti i moderni derivati, legali ed illegali,  che gli oppiodi sono al centro di problematiche sociali gravi e costose.
Come antiproibizionista radicale, voglio quindi sollecitare una attenzione su due annotazioni.
Una è che la legalizzazione della cannabis è improrogabile; è ora che la Europa faccia la sua parte, dopo le coraggiose prese di posizione dall’America Latina, dal Brasile fino all’Uruguay, e in tutti quei paesi, e dopo le iniziative popolari che negli States hanno portato ai referendum e una progressiva e crescente revisione delle leggi, verso la depenalizzazione e la regolamentazione.
Alcuni paesi europei hanno seguito un disegno di sperimentazione di politiche alternative, a cominciare dal Portogallo che già nel 2001 ha dato il via a una legalizzazione di tutte le droghe, in una ottica sanitaria e non più poliziesca, fornendo un caso di analisi emblematica delle conseguenze di questo tipo di riforme. Esistono Cannabis Social Club in molti paesi europei, mentre in altri, come Italia e Francia, restano strettamente proibiti. In Italia siamo da poco stati liberati dalla legge Fini Giovanrdi, dichiarata incostituzionale, ma vige ancora il carcere per la coltivazione anche di una sola pianta nel proprio privato giardino o balcone, e voglio ricordare le incessanti disobbedienze civili che i radicali hanno condotto in Italia e non solo, fino dal 1970, anno della prima disobbedienza civile di Marco Pannella in tema di cosiddette droghe leggere; nel 1990 Emma Bonino, allora presidente del Partito radicale, fu arrestata a New York, dopo aver consegnato ai poliziotti di guardia al Municipio alcuni pacchetti di siringhe sterili. Con loro decine di militanti del Partito Radicale che nel corso dei decenni hanno fatto della disobbedienza civile un metodo politico di informazione e di contrasto.
La questione riguarda l’Europa, dal punto di vista della sanità, della sicurezza, dei diritti dei consumatori, e non ultimo dei diritti dei cittadini europei alla libertà dei comportamenti privati, visto che l’Europa nasce laica, e tale mi auguro che rimanga. In questo senso il primo punto è, in sintesi, questo:
La legalizzazione della cannabis è improrogabile, è ora che la Europa faccia la sua parte, in una prospettiva di graduale uscita dalla war on drugs, con tutte le conseguenze che si porta e che ci riguardano, dal riciclaggio al terrorismo, dalla corruzione alla violenza sociale. Il tragico esperimento storico del proibizionismo americano sugli alcolici, e quello reiterato con la war on drugs, ci deve servire da esempio.
La seconda è che un particolare  accento deve essere messo sulla libertà di coltivazione, sia quella privata, che in club o circoli, o anche aziende commerciali legalmente costituite. La libertà dei comportamenti personali e le libertà di commercio e di impresa coincidono, in questo caso; la canapa merita di ritrovare il suo posto alla luce del sole nei suoi impieghi, terapeutico, industriale, libero. La libera coltivazione domestica bilancia il rischio di monopoli di semi, di genetiche, di commercio; rende più efficace il taglio alle entrate della criminalità organizzata, anche se, in assenza di una parallella revisione delle leggi su tutte le droghe, saranno scontati riconversioni di investimenti e riposizionamento su altri settori del mercato. In sintesi, il secondo punto è:
Libera coltivazione in libera Europa. I proibizionismi, così come i protezionismi, avvelenano l’economia e violano i diritti costituzionali.
Claudia Sterzi

09/04/15

OBAMA E LA WAR ON DRUGS ovvero UN OBAMA NON FA PRIMAVERA

I giornali di oggi, 9 aprile 2015, riportano la visita notturna di Barack Hussein Obama al museo di Bob Marley, la leggenda del reggae, colui che ha consentito alla musica giamaicana e al movimento rastafari di raggiungere una audience planetaria.
Forse non tutti sanno che il rastafarianesimo è una religione millenarista e african friendly, fornita di testi sacri, precetti, profezie, come ogni religione che si rispetti; fra le altre cose i Rasta sostengono che l'erba (ganja) sia nata dalla tomba di Re Salomone, e sia stata data agli uomini ad uso medicinale e mistico: « Non puoi cambiare la natura umana, ma puoi cambiare te stesso mediante l'uso dell'Erba ... In tal modo tu permetti che la tua luce risplenda, e quando ognuno di noi lascia risplendere la sua luce, ciò significa che stiamo creando una cultura divina».
«Ho ancora tutti gli album», ha confidato il presidente americano; che cosa ci sia nella mente di un presidente degli States, che, per quanto inserito in un meravigliosamente democratico sistema di check and balances, rimane quanto di più vicino esista all'uomo più potente del mondo, è cosa davvero difficile da divinare, ma questa visita e queste parole, ufficializzate da agenzie ed articoli di tutto il mondo, rappresentano un' informale conferma del rapporto che ha intrattenuto con la war on drugs, e che si potrebbe intitolare “vorrei ma non posso”.  
Così anche il recente, sbandierato atto di clemenza di Obama nei confronti di 22 detenuti per violazioni delle leggi sulle droghe ha più valore di simbolo che di effettivo cambiamento, e sta a significare la naturale avversione di Obama al fatto che in carcere finiscano maggiormente, e con condanne aggravate, neri, ispanoamericani e in generale, categorie svantaggiate; così come simbolica è stata la indicazione di Obama alle forze federali di non condurre più azioni repressive sui dispensari della cannabis terapeutica. Una indicazione datata al 2009, tanto simbolica che nel 2013 è uscito un report di Americans for Safe Access (ASA) dove si sottolinea come, dopo che nel corso di 3 amministrazioni, dal 1996, sono stati investiti 500 milioni di dollari per indagare, arrestare, perseguire ed imprigionare malati in cura con farmaci cannabinoidi e dispensari, la amministrazione Obama, ben lontana dallo spender meno dei suoi predecessori, abbia dedicato quasi 300 milioni di dollari a tali attività di controllo, nonostante le sue ripetute promesse di non utilizzare i fondi del Dipartimento di Giustizia in questo modo[1]

Azioni simboliche, dunque, e, come diceva Wisconsin Williams nella inarrivabile, e inarrivata, scena finale di Devil s market, “il simbolo è la natura morta del significato”[2]; concetto espresso già diversi secoli prima da Topolinius nelle Duneidi  “τ σύμβολο στί δρμα γυμνόν”[3]

Ma andiamo oltre la cannabis terapeutica, la cui regolamentazione attiene al campo dei diritti al libero accesso ai farmaci, e anche oltre ai 22 fortunati detenuti toccati dalla grazia presidenziale (http://www.cbsnews.com/news/obama-commutes-22-prison-sentences/). La war on drugs è qualcosina di più. Anche senza tirare in ballo la sempre maggiore produzione di oppio in Afghanistan, secondo un trend che non ha visto sostanziali modifiche da una amministrazione ad un'altra, e che pure pesa sulla geopolitica internazionale grazie al prosperissimo flusso di denaro che alimenta, negli ultimi due anni gli States hanno dovuto fare i conti con una tragica crisi di immigrazione giovanile, e spesso minorile, dai tormentati paesi del centroamerica, in fuga dalle maras, dalla violenza dei narcotrafficanti e delle forze dell'ordine, dalla complicità tra queste e quelli; e se si vuole restare in ambito nazionale americano, è di qualche giorno fa la notizia di una emergenza eroina in New York, dove per il secondo anno di seguito ci sono stati più morti per eroina che per omicidio.
Insomma, un Obama non fa primavera, né di certo la ventata di riforma che sta attraversando il mondo è stata portata da lui. I referendum americani per la regolamentazione dell' uso sia medico che ludico sono iniziati prima della sua elezione, ed hanno proseguito il loro corso, tra fallimenti e successi, del tutto indipendentemente; mentre Barack posa in pittoresca estasi davanti ai dischi d'oro di Robert Nesta "Bob" Marley OM, la war on drugs continua a imperversare per ogni dove, in una sorta di schizofrenia politica ben in linea con i tempi attuali.