Prima di passare alle notizie dal
fronte della War on drugs dall’ Africa, un continente che è stato negli ultimi anni
interessato da un enorme incremento del consumo e del traffico di cocaina,
eroina e altre droghe, c’è un aggiornamento da fare, su una notizia che viene
dal Brasile e che è rimbalzata anche sulle agenzie italiane, cosa che non sempre
succede; alcune notizie, infatti, su questi argomenti, si trovano nelle fonti
locali, in lingua, e se ne viene a conoscenza in Italia solo se sono riportate
da qualche blogger o da qualche sito dedicato, altre invece rimbalzano nelle
agenzie di tutto il mondo e vengono quindi tradotte anche in italiano; questo è
un processo di selezione delle notizie che è sia diretto, e deriva da scelte
anche semplicemente strategiche commerciali, sia automatico.
La notizia che si è diffusa
rapidamente in tutto il mondo è la notizia di una azione di polizia che viene
descritta come molto incisiva: “Arrestato “Rodrigao” il capo dello
spaccio della zona sud di Rio in Brasile. Irruzione nelle favelas, duro colpo
al narcotraffico, 2.000 tra poliziotti e commandos brasiliani hanno fatto
irruzione in due agglomerati urbani di Rio de Janeiro controllati dai
trafficanti. Gli agenti hanno effettuato controlli a tappeto in vista degli
appuntamenti che vedranno Rio al centro dell'attenzione mondiale: i mondiali di
calcio 2014 e le Olimpiadi del 2016. La zona è definita crackolandia, da “crack”,
un sottoprodotto della lavorazione della cocaina. Con elicotteri, blindati,
centinaia di agenti, sono bastati poco più di dieci minuti alle forze
dell'ordine per prendere il controllo di due agglomerati di favelas tra le più
violente di Rio de Janeiro, Manguinhos e Jacarezinho, nel nord della metropoli
carioca, regno dei signori della droga. Un'operazione condotta ieri all'alba - si
parla di questo fine settimana - e seguita in serata da un altro duro colpo
inferto al narcotraffico con l'arresto di Rodrigo Belo Ferreira, 30 anni,
conosciuto come Rodrigao, ritenuto il nuovo capo dello spaccio di droga nella
favela di Rocinha. Nella zona sud di Rio poco prima delle 5, agenti e membri
delle forze speciali della polizia militare e civile, accompagnati da elicotteri
dell'Esercito e da blindati della Marina, hanno occupato, pare senza colpo
ferire, in tutto cinque baraccopoli, finora controllate dai narcotrafficanti:
oltre a Manguinhos e Jacarezinho, Mandela 1 e 2, e Varginha. Come accaduto in
altre operazioni di questo tipo – ci riporta la notizia, che ho trovato sia su
La Stampa che sul sito di GR RAI - che sono sempre state annunciate in
anticipo, proprio per cercare di evitare confronti a fuoco, i narcos sono
fuggiti prima dell'irruzione dei soldati. Per ostacolare il raid, dentro gli
strettissimi vicoli delle favelas, i narcotrafficanti avevano innalzato barricate
di cemento, che sono però state demolite grazie all'uso di scavatrici
meccaniche. Sono stati fermati e condotti alle comunità di recupero oltre 110
tossicodipendenti. Dopo la “pacificazione” dei complessi di Penha e Alemao – a
seguito di uno spettacolare blitz, avvenuto nel novembre 2010, che costrinse
decine e decine di banditi a una precipitosa fuga, ripresa dalle telecamere di
mezzo mondo - Manguinhos e Jacarezinho erano diventate il principale
nascondiglio dei trafficanti della regione. In particolare, erano state scelte
come nuovo quartier generale dagli appartenenti alla temuta fazione criminale
Comando Vermelho, nota per la brutalita' e la spregiudicatezza delle azioni. La
zona, infatti, era considerata così pericolosa da essere ribattezzata la “Striscia
di Gaza” carioca, per via degli intensi e ripetuti confronti tra poliziotti e
banditi. Ora, anche su questo territorio, dove il terrore regnava sovrano,
verranno montate le UPP, Unità di Polizia Pacificatrice, ideate come speciali
caserme permanenti. Attualmente, a Rio, sono state installate in tutto 28 UPP.
L'occupazione delle favelas di Rio da parte di soldati e agenti speciali è
iniziata alla fine del 2008 nell'ambito della strategia di sicurezza messa in
pratica dal governo locale in vista dei Mondiali del 2014 e delle Olimpiadi del
2016”.
Quindi vediamo come anche in
questo caso venga magnificata un’operazione come un grandissimo colpo al
narcotraffico, quando in realtà li hanno avvertiti prima, e perlomeno i capi più
importanti hanno avuto maniera di scappare, hanno arrestato un capo di
medio/basso livello, e con 2000 poliziotti hanno portato 110 tossicodipendenti
in comunità di recupero, un risultato davvero limitato, risibile, e tutto
questo oltre ad essere costato sicuramente una cifra alta, viene sbandierato in
tutto il mondo come un’azione di tutela della sicurezza e di grosso colpo al
narcotraffico, mentre appare evidente che tutta questa rilevanza della notizia
non esiste; un’operazione di facciata.
Arrivando all’Africa, sempre su
La Stampa, domenica, è uscito un articolo dedicato alle infiltrazioni di Al
Quaeda in Somalia, con un ritratto dei conflitti che oppongono un esercito più
o meno regolare a gruppi armati irregolari, una situazione che è comune in
molti paesi africani, e sulle infiltrazioni di Al Qaeda in tali gruppi; si
dice, nell’articolo, che i capi pagano gli uomini in cibo, armi e qat, una
pianta stupefacente, diffusa localmente. ma non si approfondisce il nesso fra
il narcotraffico, come fonte di finanziamento,
e le altre attività. Abbiamo visto invece come seguendo le rotte del
narcotraffico ci si imbatte regolarmente nel traffico di armi, di esseri umani
clandestini, e nel cosiddetto terrorismo. La commistione tra traffico di coca e
gruppi armati latino americani per esempio o fra l’eroina afghana e le vicende
politiche internazionali mostrano questa evidenza, come hanno affermato, tra gli altri, Karzari, Zardari e Panetta. Il traffico di droga, armi, esseri umani, e
il terrorismo si configura, sociologicamente parlando, come campo di dominio
strutturato, organizzato, e con ogni probabilità centralizzato. Ad affermarlo,
questa settimana, anche il ministro degli esteri della Mauritania, come riporta
il The North Africa Post del 15 ottobre:
“ La Mauritania è sempre più preoccupata per la minaccia terroristica crescente
nel Sahel che è diventato un paradiso sicuro per la criminalità organizzata e
le reti terroristiche; queste preoccupazioni sono state recentemente esposte,
prima della 67^ sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, dal ministro
degli Esteri della Mauritania Hamadi, che ha avvertito che la regione del Sahel
è diventato "un rifugio sicuro per le reti della criminalità organizzata
di tutti i tipi - il traffico di droga, armi, munizioni, compresa la tratta di
esseri umani, l'immigrazione clandestina e, in particolare, il terrorismo.
"
La decisione di istituire il
Centro delle Nazioni Unite per la lotta contro il terrorismo (UNCCT) si è
concluso nel 2011 come il risultato di un accordo tra l'Arabia Saudita, che ha
impegnato 10 milioni di dollari al progetto, e le Nazioni Unite - un progetto
che si spera sia coordinato con le agenzie sui narcotici - e ciò è stato
confermato dal presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré, il mediatore
principale della crisi.
La principale minaccia
terroristica nella regione viene ora da Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI),
che ha preso il controllo sul nord del Mali lo scorso marzo, e sugli aeroporti,
basi militari, centri di formazione e discariche di armi situate nel territorio,
alimentando i timori che il Mali settentrionale possa diventare un nuovo
santuario per i jihadisti. Questo gruppo, l’ AQMI, si è diviso internamente e
da una di queste scissioni si è fondato il Movimento per l'Unità del Jihad
nell'Africa Occidentale, MUJAO, che nei mesi seguenti alla crisi del Mali ha
nidificato a Gao, una città situata nella parte orientale del Mali, quella che
guarda alla frontiera con il Niger; Gao, dove è stato distrutto il mausoleo di
Sheik Al Kebir, è stata soprannominata nel corso degli anni 2000 Cocaineville,
e numerosi articoli sono usciti nel corso degli anni descrivendo come si fosse
formata una parte della città intorno alle residenze di narcotrafficanti e
indotto. Cocaina che arriva sì dalla Costa d’Avorio ma anche dalla Guinea Bissau,
altro paese che ha conosciuto una profonda crisi nella quale ha influito il suo
ruolo di paese di transito di migliaia di tonnellate di cocaina.
Sempre il North Africa Post ci
informa sulla Conferenza che si è tenuta in settembre, una conferenza
ministeriale interregionale per l’armonizzazione delle legislazioni di numerosi
Stati dell’ Africa dell’ ovest in materia di lotta alla droga, in Senegal. “La
conferenza trae la sua importanza dal contesto di insicurezza della regione,
dove il traffico di droga serve ad alimentare le attività dei ribelli e di
gruppi terroristici di tutti I tipi. Ai partecipanti è stato ben presto chiaro
che la formazione specialistica dei giudici, dei procuratori e delle forze dell’ordine
è uno dei mezzi indispensabili per lottare al meglio contro questo flagello.
Nel caso del Senegal, questo si nota in modo evidente: magistrati senegalesi
spesso non hanno una formazione sufficiente quando si tratta di occuparsi di
criminalità organizzata transnazionale, come accade sempre nel caso del
traffico di droga in quella zona; la tendenza dei magistrati a trattare questo
genere di casi sulla base delle regole del diritto comune, troppo limitate nei
tempi e nelle procedure, fa sì che i giudici non vadano abbastanza a fondo
nelle loro indagini. In genere si limitano alle conclusioni delle inchieste
della polizia giudiziaria. E’ apparso quindi evidente che una lotta più
efficace contro il traffico di droga attraverso le frontiere debba passare per
un coordinamento fra i sistemi giudiziari dei paesi coinvolti. La conferenza
così ha previsto che la legislazione senegalese sia resa conforme con quella
degli altri paesi vicini. La Conferenza di questa settimana è stato un modo per
il Senegal di fare un bilancio, due anni dopo una prima conferenza simile a Dakar,
sulla messa in opera di strumenti di lotta contro il traffico di droga. Il
Ministero degli interni, tramite il CILD, Comitato Interministeriale per la
Lotta alla Droga, propone un programma che comprende un incremento della
sorveglianza delle frontiere terrestri, marittime e aeroportuali insieme a Capo
Verde, Gambia, Repubblica di Guinea, Guinea Bissau, Mali, Mauritania e Niger”.
Altre agenzie ci informano che, sempre in settembre, “il Segretario Generale
dell’ONU ha convocato, a New York, una Riunione di alto livello sul Sahel, nel
corso della quale gli Stati e le organizzazioni regionali e internazionali
hanno sostenuto l’elaborazione di una strategia regionale integrata delle
Nazioni Unite per il Sahel ed espresso la loro determinazione ad appoggiare il
pieno ristabilirsi dell’ordine costituzionale in Mali, oltre che la sua
integrità territoriale. I partecipanti alla Riunione hanno riconosciuto la
natura “complessa, multidimensionale e transfrontaliera” delle minacce che deve
affrontare la regione del Sahel, cioè la proliferazione del traffico di armi, l’accresciuta
presenza di gruppi terroristici, il traffico di esseri umani, il narcotraffico”.
Vediamo dunque come le
istituzioni si mobilitino per una strategia comune a distanza di almeno 10 anni
dall’inizio dell’invasione, da parte del narcotraffico di cocaina, e
dell’incremento, da parte di quello dell’eroina, delle rotte africane; una
invasione segnalata fino dai primi anni 2000 dagli osservatori di tutti il
mondo, ma che ha atteso di risalire alla cronaca fino al ritrovamento, in Mali,
nel 2009, di un Boeing con a bordo 10 tonnellate di cocaina. Da lì
avrebbe dovuto risalire il Sahara, diretta in Egitto, nascosta in un convoglio
di pick up 4×4, poi verso la Grecia e i Balcani fino a arrivare nel cuore
dell’Europa. C' è il fondato sospetto - come disse allora il responsabile Onu
per la lotta alla droga, Antonio Maria Costa - che il carico sia stato passato
a un gruppo di terroristi di Al Qaeda attivi nel Sahel, una fazione algerina in
affari con i contrabbandieri. Gli islamisti forniscono supporto e impongono una
tassa di transito: quasi tremila euro per ogni chilogrammo di cocaina. Sempre
secondo le fonti delle Nazioni Unite i criminali disporrebbero di una decina di
aerei, tra questi alcuni Boeing 727, 707 e DC9. In alternativa usano piccoli
jet - i Gulfstream II - e bimotori a elica. Nel luglio del 2008,
per esempio, è stato confiscato un Cessna 441 in Sierra Leone: volava con le
insegne della Croce Rossa e nel medesimo periodo, in Guinea Bissau, è stato
sequestrato un Gulfstream noleggiato - si fa per dire - dal cartello di Sinaloa.
In effetti, osservando le mappe
delle rotte del narcotraffico, che siano le mappe istituzionali, delle agenzie dell’ONU,
o della DEA, oppure quelle che vengono tracciate da chi se ne occupa ( ho già
segnalato come le varie realtà missionarie siano informate e costituiscano
fonti autorevoli su questo tema), si vede come esistano punti di ingresso
definiti, per l’eroina, dall’Asia verso la Nigeria, per la cocaina, tra Costa d’Avorio, Benin
e Guinea Bissau, da dove arriverebbe dal
Sudamerica a bordo di piccoli e medi carghi sia navali che aerei, ma anche dall’
estremo sud dell’Africa. Risalendo poi il continente, nell’ultimo decennio la
scia della rotta dal sud si è tirata dietro una impennata di consumi di cocaina
e derivati in tutta l’Africa, favorendo oltre alla corruzione politica e delle
forze armate, i guadagni delle criminalità organizzate locali, la violenza sociale
e la diffusione di HIV e AIDS. Molte delle rotte convergono su quello che un
tempo si chiamava il ventre molle dell’Africa, una zona scarsamente popolata e
in gran parte fuori dal controllo degli enti sovranazionali e dal diritto
internazionale. Una zona dove si scambiano accordi criminali e scambi illeciti
senza alcun controllo se non quello che i vari gruppi esercitano fra di loro.
Una revisione delle leggi sulle droghe non sarebbe forse risolutiva, ma, come
si può argomentare in piccolo, rispetto alle mafie locali dei vari paesi,
obbligherebbe la criminalità organizzata a elaborare nuove strategie e a
riconvertire gli investimenti.