15/08/14

Aggiornamenti dagli States / Washington D.C.

Si svolgerà il 4 novembre 2014, in Washington D.C., il referendum "Question 71", una proposta che elimina ogni sanzione penale e civile per l'uso personale di canapa e per la coltivazione domestica, per i maggiori di 21 anni, che potranno usare di due once (56,8 grammi ca.) e coltivare fino a 6 piante, delle quali 3 in maturazione; sarabbe consentita, in caso di approvazione popolare, la cessione a titolo gratuito fino a un'oncia. La Question 71 annulla anche le sanzioni per l'uso e la vendita degli accessori per la coltivazione e l'uso.
Il forte movimento di opinione che due anni fa, nel novembre 2012, ha promosso e vinto i referendum in Colorado e Stato di Washington,  ha trovato solidi alleati nel mondo economico e prosegue nella sua crescita, dando il via a sperimentazioni locali di modelli alternativi alla war on drugs.
In Washington D.C. (District of Columbia) non può essere proposto un referendum che riguardi le materie fiscali, così non sarà possibile regolare per questa via la tassazione, come  avvenuto in Colorado.
La Question 71 prevede che i datori di lavoro non siano tenuti a consentire l'uso della canapa ai dipendenti, anche se fuori dal lavoro; in altre parole, sarà ancora consentito alle aziende di mettere in atto le loro politiche e i loro test antidroga.  
Maliziosamente, si fa notare che per i membri del Congresso il controllo non è in vigore, secondo un regolamento del 1997.
Il non facile compito di reintegrare una merce, che per anni è stata definita come "la porta d'ingresso per il tunnel della droga", in una economia legale, recuperando risorse e risparmiandone altrettante, si serve, in America del Nord, di un semplice e pragmatico slogan "regolarsi per la canapa come per l'alcool" , con un sguardo attento all'economia delle spese giudiziare e poliziesche e alle violazioni dei diritti umani e costituzionali compiute in nome di una guerra alla droga nata persa che si è traformata in una vera guerra alle popolazioni e spesso ai soggetti più deboli.
C.S.


In nome dei bambini, basta con la guerra alle droghe!





Più di 80 organizzazioni per i diritti civili, l’immigrazione, la giustizia penale, l’antirazzismo, i diritti umani, organizzazioni llibertarie e organizzazioni religiose, si sono riunite la scorsa settimana per lanciare un appello per la fine della guerra alla droga in nome della tutela dei bambini, un appello affrettato dalla crisi dell’immigrazione minorile di confine, ma consapevole del danno continuo recato dalle milizie antidroga e dalle politiche repressive ai bambini su entrambi i lati della frontiera.
“La qualità di una società può e deve essere definita da come vengono trattati i più deboli, a cominciare dai nostri bambini”, ha detto Asha Bandele di Drug Policy Alliance, l’organizzazione che coordina l’appello, “i bambini hanno tutto il diritto di aspettarsi che ci prendiamo cura di loro, li amiamo e li nutriamo fino alla maturità. La guerra alla droga è tra quelle politiche che hanno interrotto la nostra capacità di rispondere a tale aspettativa”.
Le organizzazioni e personalità di spicco come Michelle Alexander, autrice di The New Jim Crow, Mass Incarceration in the Age of Colorblindness, hanno firmato una lettera a favore di nuove politiche e della fine della guerra alle droghe.
Dice la lettera: “Nelle ultime settimane la situazione dei 52000 minori non accompagnati fermati alla frontiera degli Stati Uniti dallo scorso ottobre, molti dei quali in fuga dalla violenza della guerra alla droga nell’America centrale, ha pervaso la nostra coscienza nazionale. Le devastanti conseguenze della guerra alla droga non si sono fatte sentire solo nell’ America latina, hanno prodotto effetti qui a casa nostra. Troppo spesso i bambini sono in prima linea in questa guerra sbagliata che non conosce confini né di frontiera né di colore”.
Le organizzazioni che hanno firmato la lettera comprendono una vasta gamma di gruppi e rappresentano interessi e questioni diverse, ma sono uniti nel vedere la guerra alla droga come un ostacolo al miglioramento. Includono Black Alliance for Just Immigration, Center for Constitutional Rights, Institute of the Black World, Presente.org, Students for Liberty, United We Dream, William C. Velasquez Institute, Working Families Organization. Per la lista completa, click here.
Negli ultimi mesi più di 50000 minori in fuga da livelli di violenza mai raggiunti prima, da El Salvador, Guatemala e Honduras sono arrivati ai confini degli Stati Uniti cercando o di ricominciare una nuova vita o di riconnettersi con membri delle loro famiglie già nel paese. Le cause della violenza nell’America centrale sono complesse e storiche, ma una di queste è chiaramente la guerra alla droghe, pesantemente condotta ed esportata a livello globale negli ultimi decenni.
I paesi nel nord dell’ America centrale – il cosiddetto Triangolo del Nord – sono stati particolarmente colpiti dalla violenza legata al proibizionismo a partire dal 2008, quando, dopo che gli Stati Uniti ebbero aiutato il Messico  a gonfiare la guerra ai cartelli della droga attraverso i 2.4 miliardi si dollari dei finanziamenti  “Plan Merida” (il Presidente Obama ne chiede altri 115 milioni per il prossimo anno), i cartelli iniziarono ad espandere le loro operazioni negli stati più deboli dell’ America centrale. I livelli, già alti, di criminalità, schizzarono alle stelle.
La seconda città dell’ Honduras, San Pedro Sula, è in una dubbia concorrenza per vincere il tasso di omicidi più alto del mondo, mentre tre capitali nazionali, Guatemala City, San Salvador, Tegucigalpa, sono tutte nella top ten  mondiale. Molte delle vittime sono minori, spesso presi di mira per la loro appartenenza  a bande di strada affiliate al narcotraffico (o perché rifiutano di unirsi alle gang).
L’impatto della guerra alla droga sui bambini negli Stati Uniti è meno drammatico, ma non meno dannoso. Centinaia di migliaia di bambini americani hanno uno o entrambi i genitori dietro alle sbarre per reati legati alla droga; soffrono non solo l’emarginazione e il trauma emotivo di essere figli di carcerati, ma anche le conseguenze collaterali dell’ìmpoverimento e della instabilità familiare e della comunità. Altri milioni sono di fronte alla prospettiva di percorrere le strade americane dove, nonostante qualche recente ritrattazione sui più gravi eccessi della guerra alla droga, questa continua, rendendo alcuni quartieri posti estremamente pericolosi.
“Di fronte a questa tragedia che, come una spirale, continua a consumare sproporzionatamente le vite e il futuro dei bambini afro e latini americani”, conclude la lettera, “è imperativo metter fine alla nefasta militarizzazione e alle incarcerazioni di massa compiute in nome della guerra alle droghe. Molto spesso le politiche repressive sulla droga sono propagandate come misure per proteggere il benessere dei nostri bambini, ma, in realtà, fanno poco altro che non servire come una Messa a grave rischio per i bambini".
In nome dei minori, è l’ora di ridiscutere sulla guerra alla droga".
Sebbene il gruppo dei firmatari rappresenti interessi e zone geografiche diverse, unirsi sulla questione in comune della tutela dei minori potrebbe gettare le basi per una collaborzione più duratura, ha detto Jeronimo Saldana, il coordinatore legale e organizzativo di Drug Policy Alliance.
“L’idea era di mettere insieme la gente per fare una dichiarazione. Ora, dobbiamo capire come andare avanti. La lettera è stata il primo passo”, ha aggiunto.
“I gruppi sono stati molto positivi”,  ha proseguito Saldana, “Erano felici che qualcuno ne stesse parlando e che mettesse insieme il tutto. Quello che sta accadendo in America centrale e in Messico è collegato a ciò che sta succedendo nelle nostre città e comunità. Questo va oltre le linee partigiane, è davvero evidente che la politica fallimentare sulle droghe colpisce persone di ogni tipo, e l’immagine dei bambini ci rimane impressa.  Speriamo di costruire su questo un movimento. Vogliamo che la gente continui a fare questo tipo di connessioni”.
I diversi firmatari hanno missioni differenti, ma un paio di gruppi della California che hanno firmato la lettera forniscono esempi di come la guerra alla droga li abbia uniti.
“Siamo storicamente impegnati con i giovani coinvolti nel sistema della giustizia penale e con le loro famiglie, dice Azadeh Zohrabi, attivista nella sede di Oakland del Centro per i diritti umani Ella Baker. “Vediamo famiglie disperate che tentano di rimanere in contatto, famiglie forti, sane, ma l’incarcerazione di massa sta rendendo tutto molto difficile. Lavoriamo sia con famiglie che hanno figli coinvolti nel sistema penale, sia con famiglie con uno o due genitori in carcere, o che hanno perso la custodia dei loro figli a causa del loro coinvolgimento nella giustizia penale”, ha spiegato.
"Stiamo lavorando contro queste situazioni, e crediamo che la guerra alla droga globale abbia avuto conseguenze disastrose sulle famiglie, sia qui che altrove”, ha continuato Zohrabi. “le migliaia di miliardi gettate in azioni di polizia e militarizzazione hanno prodotto solo maggiore miseria. E’ tempo di trattare la questione delle droghe come un problema di salute pubblica e non come un crimine”.
“Noi abbiamo firmato perché la lettera è molto chiara nell’affrontare un importante parte del dibattito che non è mai venuta fuori”, ha detto Arturo Carmona, direttore esecutivo del Latino social justice group Presente.org. “Questa crisi alla frontiera non è il risultato di aver differito le iniziative contro gli arrivi di minori immigrati, come molti Repubblicani di destra vanno affermando, ma è il risultato di uno dei picchi più letali, di recente memoria,  di criminalità e violenza nel Triangolo del Nord”, ha argomentato.
“La violenza è una delle spinte maggiori, e quando parliamo di questo negli Stati Uniti, è fondamentale che riconosciamo questi fattori di spinta, molti dei quali sono connessi alla guerra alle droghe”, ha continuato Carmona. “Notiamo come i minori non provengano dal Nicaragua, paese che non abbiamo sostenuto nella guerra alla droga, ma da paesi che hanno avuto sostegno e consigli sulla guerra alla droga, dove abbiamo fornito armi. Questo è molto ben documentato”.
Anche se Presente.org è molto impegnato sul fronte dell’immigrazione, ha detto Carmona, non può sfuggire il ruolo della guerra alle droghe nel rendere tutto peggiore, non solo in America centrale e ai confini, ma anche dentro gli Stati Uniti.
“Siamo molto preoccupati di come i nodi vengano al pettine per il fallimento della nostra guerra alle droghe”, ha detto. “L’opinione pubblica americana ha bisogno di esser resa consapevole di questo e stiamo cominciando a vedere una maggiore comprensione del fatto che tale politica è fallita, non solo nel modo in cui si criminalizzano i giovani latino e afro americani qui negli Stati Uniti, ma anche nel modo in cui queste politiche affliggono altri paesi nostri vicini. Come dimostra il Nicaragua, il nostro mancato coinvolgimento ha fatto registrare un tasso di criminalità più basso. Il nostro coinvolgimento militare nella guerra alla droga è un fallimento abissale, come dimostrano i record di omicidi non solo in America centrale, ma anche in Messico”.

13/08/14

Tempi duri per i tossicodipendenti ucraini / 2

Già in marzo se ne era parlato: per i tossicodipendenti ucraini  di Crimea, l'accordo di adesione alla  Russia si preannunciava a tinte cupe, dato l'assoluto rifiuto, da parte russa, di prendere in considerazione quelle misure di riduzione del danno che incidono, in positivo, sulle percentuali di infezione da HIV, AIDS, epatite C e ogni altra malattia trasmissibile per iniezione.
Gli 800 tossicodipendenti da siringa in Crimea registrati (su un numero stimato di 14.000), in più, avrebbero dovuto far fronte alla sospensione dei trattamenti con il metadone. "Il metadone non è una cura " aveva dichiarato Ivanov, lo zar antidroga russo. "Praticamente tutte le forniture di metadone in Ucraina circolano sul mercato secondario e sono distribuite come stupefacente, in assenza di controlli adeguati. Come risultato, si è formato un mercato nero e viene scambiato a prezzi molto più alti. E' diventata una fonte di redditi per la criminalità."
A distanza di 5 mesi, un articolo su Verdad, un giornale on line spagnolo, ritorna sul tema. Di seguito la traduzione:

"Il processo di adesione della Crimea alla Federazione di Russia, all'inizio di quest'anno, sta avendo delle conseguenze molto negative per gli 806 eroinomani registrati nella penisola; con le leggi russe sono stati chiusi i centri che si occupavano di loro e che somministravano loro il metadone come trattamento per la dipendenza.
Con la legge ucraina i tossicodipendenti da eroina, in Crimea, ricevevano quelle che vengono chiamate "terapie sostitutive con oppiacei" (TSO), cioè il trattamento con il metadone, il più comune tra le TSO. Infatti, la comunità internazionale si era congratulata con l'Ucraina per i  suoi progetti relativi alle droghe, comprese le TSO e la distribuzione di siringhe, che avevano ridotto, dal 2009, drasticamente, i crimini e le morti in relazione con la droga, e la trasmissione di HIV.
Tuttavia, questo marzo, quando fu firmato l'accordo di adesione, il Direttore dei servizi federali antidroga russi, Viktor Ivanov, annunciò che il programma delle TSO sarebbe stato proibito in Crimea, e pertanto si imponeva alla regione di adottare la arcaica legge russa sulle droghe. Dopo tutto ciò, la Alleanza Internazionale contro l'AIDS ha reso nota, in luglio, la morte di almeno venti tossicodipendenti, dei quali almeno tre suicidi, da che i programmi sono stati dismessi.
Pavlo Skala, direttore del programma per l' Alleanza in Ucraina, prevede che molti più ne moriranno entro l'anno, e ne incolpa le politiche russe di disintossicazione e riabilitazione, che predicano una completa e immediata astinenza dall'uso di droga, senza tener conto della dipendenza fisica del paziente.
L'eroina è una delle droghe con maggior capacità di generare una dipendenza e quella che presenta i maggiori effetti negativi, tra le 20 droghe da abuso più diffuse. A fronte, le terapie di sostituzione con gli oppiacei sono, secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), "uno dei trattamenti più efficaci".
La Spagna ha aperto i primi centri di trattamento con TSO e distribuzione di siringhe alla fine degli anni '80, quando presentava il tasso più alto, in Europa, di infezione da HIV fra i consumatori di droga, il 60%. Nonostante le critiche iniziali al programma, i numeri hanno dato ragione alla scelta fatta. Secondo l'OMS, il numero di nuovi casi di HIV tra consumatori di droga negli anni '90 era in media di 6200 l'anno, mentre nel 2010 la cifra registrata è stata di 620, cioè il 90% in meno in 20 anni. Cosa che, per l' OMS, "è rilevante per gli altri paesi nei quali le droghe illegali da iniezione siano un problema quotidiano, come, per esempio, nei paesi dell' Europa centrale e orientale".
Invece Viktor Ivanov affermava, nel 2011, che non ci sono "studi clinici che provino l'efficacia del metodo" dei trattamenti con TSO. Ma la Russia, per parte sua, registra il tasso di diffusione dell' HIV più alto del mondo, con più dell' 1% della popolazione infetta, secondo la Fondazione AIDS Est-Ovest".

12/08/14

Guerra alla droga e lotta di classe

Negli Stati Uniti, un Anti-Drug Use Act, del 1986, ha stabilito un trattamento distinto tra powder cocaine, cocaina in polvere, e rock cocaine, o crack, determinando di fatto una disparità di trattamento tra classi sociali. 
Come riporta un articolo uscito ieri sul Los Angeles Times, questo tipo di approccio "ha contribuito a portare avanti una cultura di intervento e riabilitazione come risposta appropriata all'abuso di droga e alla tossicodipendenza per le persone benestanti e per la middle class bianca, mentre nei confronti dei neri la pratica è quella degli arresti e della carcerazione. Fino dalla seconda metà degli anni '80 il numero di afroamericani rinchiusi per violazioni alle leggi sulla cocaina ha superato quello dei bianchi, nonostante che i neri siano il 15% della popolazione. Circa la metà degli arresti di neri sono dovuti a violazioni delle leggi sulle droghe, a fronte di una percentuale di meno di un quarto tra i bianchi. I neri vengono fermati e perquisiti di più, arrestati di più, condannati di più e condannati a pene più lunghe dei bianchi, anche se la maggior parte degli studi dimostrano e continuano a dimostrare la stessa percentuale di consumo e di mercato tra afroamericani e bianchi".
Il fatto che lo sballo da crack sia descritto da alcuni come più intenso, anche se più breve, di quello dovuto alla cocaina. non giustifica questa disparità di trattamento, e la presunta maggior dipendenza data dal crack si è presto rivelata una bufala.
Nel 2010 il Congresso si è reso conto del problema e con il Fair Sentencing Act ha attenuato, anche se non cancellato, la disparità delle pene.
L'articolo è riferito alla California, e invita ad un "esame di coscienza su droga, crimine, pene e razza", invitando i legislatori locali all'approvazione di un disegno di legge che recepirebbe il cambiamento di linea del Congresso; è comunque evidente, a chiunque approfondisca un minimo la cronaca sulla guerra alla droga nel mondo, l'accanimento contro i consumatori, i piccoli coltivatori e spacciatori, contro un'impunità concessa alle alte sfere del narcotraffico e ai loro complici in colletto bianco.    
C.S.

11/08/14

Aggiornamenti dagli States / Stato di Washington



Agli inizi di luglio, un anno e otto mesi dopo la vittoria del referendum che apriva la strada all'uso legale dell' uso cosiddetto ludico della cannabis, i primi 25 negozi al dettaglio di canapa legale hanno aperto nello Stato di Washington; in Colorado, l'altro stato pionere della legalizzazione per via refendaria, i negozi al dettaglio sono operativi da sei mesi.
Secondo il Seattle Post Intelligencer, ai primi 25 sono in procinto di aggiungersi molti altri nelle settimane e mesi a venire. Gli adulti, maggiori di 21 anni, potranno acquistare un’oncia (28.4 grammi): negozi autorizzati, che dovranno pagare le tasse e assicurare che il prodotto sia certificato e etichettato nel modo dovuto, potranno venderla.
Le prime licenze di coltivazione sono state rilasciate di recente, così che, si avverte, i prezzi potrebbero essere alti, e l’offerta limitata, in questi primi mesi di vendita legale.
Anche nello Stato di Washington la campagna si è svolta, e prosegue, con il ritornello "regolare e tassare come l'alcool"; sul piano economico, la resa dei conti indica nelle politiche proibizioniste un dissipamento di risorse pubbliche insostenibile, con risultati nulli e conseguenze dannose.             C.S.