02/07/15

L’Oregon legalizza la marijuana

Nel Novembre 2014 un referendum per legalizzare la marijuana ricreativa vinse in Oregon, e il primo luglio, ieri, è entrata in vigore la nuova legge. Gli adulti, cioè coloro che hanno più di 21 anni, possono detenere fino a 8 once di marijuana circa 227 grammi) in casa propria e fino a una oncia (28,34 grammi) fuori casa. Gli adulti possono coltivare fino a quattro piante. L’Oregon raggiunge l’Alaska, Washington, Colorado e D.C., nel permettere un uso legale della marijuana.




30/06/15

News: report ONU e EMCDDA 2015

Giugno 2015, gli ultimi dati istituzionali sul consumo e commercio di sostanze stupefacenti. 



Trovate i dati europei, raccolti ed elaborati dalla EMCDDA (European Monitoring Centre for drugs and drug addiction) al link qua sotto, scaricabili in lingua italiana.

Report EMCDDA
    

I dati Onu, invece, in lingua inglese, e sommario in francese e spagnolo, qui sotto.




28/06/15

Musica "leggera", canzoni in tema / 1




J-AX feat. IL CILE - MARIA SALVADOR (OFFICIAL VIDEO)






ANTIPROIBIZIONISMO RADICALE A BRUSSELS

Il 13 luglio, nella sede di Bruxelles del Parlamento europeo si incontreranno esperti ed addetti per un convegno dal titolo “Le politiche europee sulla lotta contro il traffico di droghe e crimine organizzato : valutare un nuovo approccio alle droghe leggere“, organizzato da Ignazio Corrao, deputato europeo del M5s.

Sono stata invitata a rappresentare gli antiproibizionisti radicali, e ne sono orgogliosa e commossa, senza alcuna retorica. Che questo invito mi sia arrivato ha stupito me per prima, ma dimostra, a mio avviso, che scegliere un argomento e studiarlo, studiarlo, studiarlo, alla fine paga, in particolar modo se l’interesse è sincero e la materia scelta appassiona.
Nel 2008 ero stata invitata dall’allora deputato europeo Marco Cappato allo stesso Parlamento europeo, per un workshop organizzato dall’ALDE, “Illicit drug market”; i lavori furono aperti dal saluto di Fernando Henrique Cardoso, già presidente del Brasile, che descrisse come nella realtà brasiliana il mercato delle droghe si intrecciasse con la corruzione politica, la criminalità e la violenza, e come i trafficanti fossero dotati di una milizia parallela e arrivassero ad influenzare i mass media e lo stesso Parlamento. La conclusione fu che i tragici costi in vite umane obbligavano ad un ripensamento delle politiche repressive radicate in visioni ideologiche; se l’argomento è tabù, per ridurre i costi per la società occorreva, secondo Cardoso, partire dai dati applicando lo stesso pragmatismo che ha guidato la lotta all’HIV, permettendo una legalizzazione delle droghe per chi accetti di affrontare cure e programmi di recupero, affidando i tossicodipendenti al sistema sanitario e non più a quello carcerario, depenalizzando le piccole quantità di cannabis, in una visione reale che non fosse ostaggio di pregiudizi.
Il documento della Global Commission sarebbe uscito nel 2011, e le parole di Cardoso suonavano nuove, dopo 50 anni di war on drugs imposta a tutti i paesi del mondo, una contestazione precisa, pacata, fondata sulle evidenze.
I documenti e gli incontri che sono seguiti hanno rappresentato un crescendo di voci ragionevolmente critiche contro le politiche ONU sulle droghe; il percorso che viene proposto è graduale, e inizia dalla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere, cioè la canapa, e dal diritto alla autocoltivazione, coinvolgendo, in questo aspetto, anche le riforme della coltivazione della pianta della coca nei territori andini.
Career






La canapa rappresenta senza dubbio un caso a parte, sono dichiaratamente convinta della necessità della legalizzazione del mercato della canapa; altrettanto sono convinta che fino a che non affronteremo anche la gestione legale di tutte le droghe non avremo pace, tanta è la violenza, la ingiustizia, il dolore e la malattia portate dalla strategia proibizionista che in questi 50 anni ha prodotto nessun risultato positivo e una cascata immane di effetti negativi e dannosi.
La canapa rappresenta un caso a parte perché è la meno tossica, secondo tutti i parametri esistenti; va anche ricordato che la canapa è una sostanza che si consuma sotto forma di pianta, e non di composto chimico derivato, a differenza della maggioranza delle sostanze che circolano. Una pianta in sé non può essere proibita, appartiene al mondo, e spesso le piante “stupefacenti” sono anche farmaci. Un uso tradizionale del papavero, che fosse laudano o decotto per addormentare i bambini, è sopravvissuto per secoli senza provocare grossi scompensi sociali; è dopo la estrazione chimica del principio isolato, la trasformazione in morfina, eroina, e tutti i moderni derivati, legali ed illegali,  che gli oppiodi sono al centro di problematiche sociali gravi e costose.
Come antiproibizionista radicale, voglio quindi sollecitare una attenzione su due annotazioni.
Una è che la legalizzazione della cannabis è improrogabile; è ora che la Europa faccia la sua parte, dopo le coraggiose prese di posizione dall’America Latina, dal Brasile fino all’Uruguay, e in tutti quei paesi, e dopo le iniziative popolari che negli States hanno portato ai referendum e una progressiva e crescente revisione delle leggi, verso la depenalizzazione e la regolamentazione.
Alcuni paesi europei hanno seguito un disegno di sperimentazione di politiche alternative, a cominciare dal Portogallo che già nel 2001 ha dato il via a una legalizzazione di tutte le droghe, in una ottica sanitaria e non più poliziesca, fornendo un caso di analisi emblematica delle conseguenze di questo tipo di riforme. Esistono Cannabis Social Club in molti paesi europei, mentre in altri, come Italia e Francia, restano strettamente proibiti. In Italia siamo da poco stati liberati dalla legge Fini Giovanrdi, dichiarata incostituzionale, ma vige ancora il carcere per la coltivazione anche di una sola pianta nel proprio privato giardino o balcone, e voglio ricordare le incessanti disobbedienze civili che i radicali hanno condotto in Italia e non solo, fino dal 1970, anno della prima disobbedienza civile di Marco Pannella in tema di cosiddette droghe leggere; nel 1990 Emma Bonino, allora presidente del Partito radicale, fu arrestata a New York, dopo aver consegnato ai poliziotti di guardia al Municipio alcuni pacchetti di siringhe sterili. Con loro decine di militanti del Partito Radicale che nel corso dei decenni hanno fatto della disobbedienza civile un metodo politico di informazione e di contrasto.
La questione riguarda l’Europa, dal punto di vista della sanità, della sicurezza, dei diritti dei consumatori, e non ultimo dei diritti dei cittadini europei alla libertà dei comportamenti privati, visto che l’Europa nasce laica, e tale mi auguro che rimanga. In questo senso il primo punto è, in sintesi, questo:
La legalizzazione della cannabis è improrogabile, è ora che la Europa faccia la sua parte, in una prospettiva di graduale uscita dalla war on drugs, con tutte le conseguenze che si porta e che ci riguardano, dal riciclaggio al terrorismo, dalla corruzione alla violenza sociale. Il tragico esperimento storico del proibizionismo americano sugli alcolici, e quello reiterato con la war on drugs, ci deve servire da esempio.
La seconda è che un particolare  accento deve essere messo sulla libertà di coltivazione, sia quella privata, che in club o circoli, o anche aziende commerciali legalmente costituite. La libertà dei comportamenti personali e le libertà di commercio e di impresa coincidono, in questo caso; la canapa merita di ritrovare il suo posto alla luce del sole nei suoi impieghi, terapeutico, industriale, libero. La libera coltivazione domestica bilancia il rischio di monopoli di semi, di genetiche, di commercio; rende più efficace il taglio alle entrate della criminalità organizzata, anche se, in assenza di una parallella revisione delle leggi su tutte le droghe, saranno scontati riconversioni di investimenti e riposizionamento su altri settori del mercato. In sintesi, il secondo punto è:
Libera coltivazione in libera Europa. I proibizionismi, così come i protezionismi, avvelenano l’economia e violano i diritti costituzionali.
Claudia Sterzi

09/04/15

OBAMA E LA WAR ON DRUGS ovvero UN OBAMA NON FA PRIMAVERA

I giornali di oggi, 9 aprile 2015, riportano la visita notturna di Barack Hussein Obama al museo di Bob Marley, la leggenda del reggae, colui che ha consentito alla musica giamaicana e al movimento rastafari di raggiungere una audience planetaria.
Forse non tutti sanno che il rastafarianesimo è una religione millenarista e african friendly, fornita di testi sacri, precetti, profezie, come ogni religione che si rispetti; fra le altre cose i Rasta sostengono che l'erba (ganja) sia nata dalla tomba di Re Salomone, e sia stata data agli uomini ad uso medicinale e mistico: « Non puoi cambiare la natura umana, ma puoi cambiare te stesso mediante l'uso dell'Erba ... In tal modo tu permetti che la tua luce risplenda, e quando ognuno di noi lascia risplendere la sua luce, ciò significa che stiamo creando una cultura divina».
«Ho ancora tutti gli album», ha confidato il presidente americano; che cosa ci sia nella mente di un presidente degli States, che, per quanto inserito in un meravigliosamente democratico sistema di check and balances, rimane quanto di più vicino esista all'uomo più potente del mondo, è cosa davvero difficile da divinare, ma questa visita e queste parole, ufficializzate da agenzie ed articoli di tutto il mondo, rappresentano un' informale conferma del rapporto che ha intrattenuto con la war on drugs, e che si potrebbe intitolare “vorrei ma non posso”.  
Così anche il recente, sbandierato atto di clemenza di Obama nei confronti di 22 detenuti per violazioni delle leggi sulle droghe ha più valore di simbolo che di effettivo cambiamento, e sta a significare la naturale avversione di Obama al fatto che in carcere finiscano maggiormente, e con condanne aggravate, neri, ispanoamericani e in generale, categorie svantaggiate; così come simbolica è stata la indicazione di Obama alle forze federali di non condurre più azioni repressive sui dispensari della cannabis terapeutica. Una indicazione datata al 2009, tanto simbolica che nel 2013 è uscito un report di Americans for Safe Access (ASA) dove si sottolinea come, dopo che nel corso di 3 amministrazioni, dal 1996, sono stati investiti 500 milioni di dollari per indagare, arrestare, perseguire ed imprigionare malati in cura con farmaci cannabinoidi e dispensari, la amministrazione Obama, ben lontana dallo spender meno dei suoi predecessori, abbia dedicato quasi 300 milioni di dollari a tali attività di controllo, nonostante le sue ripetute promesse di non utilizzare i fondi del Dipartimento di Giustizia in questo modo[1]

Azioni simboliche, dunque, e, come diceva Wisconsin Williams nella inarrivabile, e inarrivata, scena finale di Devil s market, “il simbolo è la natura morta del significato”[2]; concetto espresso già diversi secoli prima da Topolinius nelle Duneidi  “τ σύμβολο στί δρμα γυμνόν”[3]

Ma andiamo oltre la cannabis terapeutica, la cui regolamentazione attiene al campo dei diritti al libero accesso ai farmaci, e anche oltre ai 22 fortunati detenuti toccati dalla grazia presidenziale (http://www.cbsnews.com/news/obama-commutes-22-prison-sentences/). La war on drugs è qualcosina di più. Anche senza tirare in ballo la sempre maggiore produzione di oppio in Afghanistan, secondo un trend che non ha visto sostanziali modifiche da una amministrazione ad un'altra, e che pure pesa sulla geopolitica internazionale grazie al prosperissimo flusso di denaro che alimenta, negli ultimi due anni gli States hanno dovuto fare i conti con una tragica crisi di immigrazione giovanile, e spesso minorile, dai tormentati paesi del centroamerica, in fuga dalle maras, dalla violenza dei narcotrafficanti e delle forze dell'ordine, dalla complicità tra queste e quelli; e se si vuole restare in ambito nazionale americano, è di qualche giorno fa la notizia di una emergenza eroina in New York, dove per il secondo anno di seguito ci sono stati più morti per eroina che per omicidio.
Insomma, un Obama non fa primavera, né di certo la ventata di riforma che sta attraversando il mondo è stata portata da lui. I referendum americani per la regolamentazione dell' uso sia medico che ludico sono iniziati prima della sua elezione, ed hanno proseguito il loro corso, tra fallimenti e successi, del tutto indipendentemente; mentre Barack posa in pittoresca estasi davanti ai dischi d'oro di Robert Nesta "Bob" Marley OM, la war on drugs continua a imperversare per ogni dove, in una sorta di schizofrenia politica ben in linea con i tempi attuali.   

19/01/15

Iniziativa legislativa popolare dei cittadini europei


Iniziativa dei cittadini europei
Questa breve relazione ha lo scopo di informare sulle iniziative popolari europee e sulla eventuale possibilità di promuoverne una in tema di politiche sulle droghe.

Il trattato di Lisbona, entrato ufficialmente in vigore il 1º dicembre 2009, introduce una nuova forma di partecipazione popolare alle decisioni politiche dell'Unione europea, l'iniziativa dei cittadini. Come richiesto dal trattato, su proposta della Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato un regolamento che definisce le norme e le procedure che disciplinano questo nuovo strumento.
Il regolamento consente a 1 milione di cittadini di almeno un quarto degli Stati membri dell'UE di invitare la Commissione europea a proporre atti giuridici in settori di sua competenza. Gli organizzatori di un'iniziativa, dopo aver costituito un comitato composto di almeno 7 cittadini dell'UE residenti in almeno 7 diversi Stati membri, hanno 1 anno per raccogliere le dichiarazioni di sostegno necessarie. Il numero delle dichiarazioni di sostegno deve essere certificato dalle autorità competenti degli Stati membri. La Commissione ha quindi a disposizione 3 mesi per esaminare l'iniziativa e decidere cosa fare.
L'iniziativa dei cittadini costituisce un invito rivolto alla Commissione europea perché proponga un atto legislativo su questioni per le quali l'UE ha la competenza di legiferare. Un'iniziativa deve essere sostenuta da almeno un milione di cittadini europei, di almeno 7 dei 28 Stati membri dell'UE. Per ciascuno dei 7 paesi è inoltre richiesto un numero minimo di firme.
Le norme e le procedure che disciplinano questo nuovo strumento figurano in un regolamento dell'UE adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea nel febbraio 2011.
Un'iniziativa dei cittadini può essere promossa in qualsiasi settore nel quale la Commissione può proporre un atto legislativo, come ambiente, agricoltura, trasporti o salute pubblica.
I membri del comitato devono aver raggiunto l’età alla quale i cittadini acquisiscono il diritto di voto per le elezioni al Parlamento europeo (18 anni in ogni paese, salvo l'Austria, dove ne bastano 16).
Le iniziative dei cittadini non possono essere gestite da organizzazioni, le quali possono, tuttavia, promuoverle o sostenerle, purché lo facciano in piena trasparenza.
Per sostenere un'iniziativa, i cittadini devono compilare un apposito modulo di dichiarazione di sostegno messo a disposizione dagli organizzatori, su carta oppure online.
Per il sistema di raccolta online, gli organizzatori possono scegliere di usare il software fornito dalla Commissione, che risponde già alle specifiche tecniche previste, disponibile gratuitamente e che offre tutte le funzionalità necessarie per raccogliere online le dichiarazioni di sostegno e archiviare in modo sicuro i dati.
La Commissione si è offerta di ospitare i sistemi di raccolta online sui propri server, per evitare che gli organizzatori delle prime iniziative dei cittadini europei si trovino di fronte a ostacoli insormontabili.
Una volta raggiunto il numero di firme richiesto, i rappresentanti della Commissione incontrano gli organizzatori per consentire loro di esporre in dettaglio le tematiche sollevate dall'iniziativa; gli organizzatori hanno la possibilità di presentare la loro iniziativa in un'audizione pubblica presso il Parlamento europeo; la Commissione adotta una risposta formale in cui illustra le eventuali azioni che intende proporre a seguito dell'iniziativa dei cittadini e le sue motivazioni per agire o no in tale senso.
La risposta, che prende la forma di una comunicazione, è adottata dal Collegio dei commissari e pubblicata in tutte le lingue dell'UE.
La Commissione non ha l'obbligo di proporre un atto legislativo a seguito di un'iniziativa. Se la Commissione decide di presentare una proposta, ha inizio la normale procedura legislativa: la proposta è sottoposta al legislatore (in genere il Parlamento europeo e il Consiglio, oppure in alcuni casi soltanto il Consiglio) e, se adottata, avrà forza di legge.
Gli organizzatori possono fornire a titolo facoltativo:
l'indirizzo del sito web eventualmente creato per l'iniziativa proposta.
un allegato (max. 5 MB) con informazioni più ampie sull'oggetto, gli obiettivi e il contesto dell'iniziativa proposta
la bozza di un atto giuridico (max. 5 MB).
La Commissione registra l'iniziativa proposta entro 2 mesi dalla domanda a condizione che:
il comitato dei cittadini sia stato costituito e i referenti siano stati designati
la proposta d’iniziativa non esuli manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta di atto giuridico dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati
la proposta d’iniziativa non sia presentata in modo manifestamente ingiurioso e non abbia un contenuto futile o vessatorio
la proposta d’iniziativa non sia manifestamente contraria ai valori dell'UE, sanciti dall'articolo 2 del trattato sull'Unione europea.

Uno dei problemi che si pongono è quindi stabilire se sia o no competenza della UE legiferare sul tema “politiche sulle droghe”. Come già vi dissi in un mio precedente intervento, le strategie politiche sul tema “stupefacenti” non sono competenza UE, ma dei singoli Stati; ciononostante, secondo me, era possibile presentare ugualmente una proposta facendola rientrare tra le competenze in tema di sicurezza e di salute. Infatti, è stata presentata, ed accolta, una proposta:
Weed like to talk
Stato attuale: Raccolta chiusa il 20/11/2014
Data di registrazione: 20/11/2013
Oggetto:
Una soluzione europea a un problema europeo: legalizzare la cannabis. L’Iniziativa Cittadini Europei “Weed like to talk” ha per obiettivo l’adozione da parte dell’UE di una politica comune sul controllo e sulla regolamentazione della produzione, dell’uso e della vendita della cannabis.
Obiettivi principali:
Al momento esiste una mappa legale eterogenea per quanto riguarda le politiche sulla cannabis nell’UE. Vale la pena porsi la domanda sulla coerenza e sulla discriminazione. Una politica comune sul controllo e sulla regolamentazione della produzione, dell’uso e della vendita della cannabis potrebbe: (a) assicurare uguaglianza davanti alla legge e non discriminazione di tutti i cittadini europei; (b) proteggere i consumatori e controllare la sicurezza sanitaria; (c) porre fine al traffico della cannabis. Facciamo un passo in avanti verso la legalizzazione della cannabis e l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in tutta l’UE.
Gli articoli richiamati nella proposta sono stati:
 Art. 168 TFUE (salute pubblica);
Art. 169 TFUE (protezione dei consumatori);
Art. 67 TFUE (cooperazione di polizia)
Carta dei Diritti Fondamentali: Art. 20; Art.38
La stessa Commissione, sul suo sito, così definisce la base giuridica della politica europea di lotta contro la droga: “La base giuridica della politica europea di lotta contro la droga in virtù del Trattato di Lisbona è duplice: la cooperazione giudiziaria nelle materie della criminalità, e la salute”.
A questa base giuridica la proposta “Weed like to talk” ha aggiunto i diritti dei consumatori, come definiti dall’articolo 169 (articolo 169 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE) “mira a promuovere la salute, la sicurezza e gli interessi economici dei consumatori, e il loro diritto all'informazione, all’educazione e all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi” e la Carta dei Diritti Fondamentali laddove allarticolo 38 garantisce un livello elevato di protezione dei consumatori, e allarticolo 20 dichiara l’uguaglianza di tutti davanti alla legge.

01/01/15

Ci vuole un 2015 più antiproibizionista che mai

L'anno che si chiude si aprì sulle belle speranze della legalizzazione in Uruguay, della caduta della Fini Giovanardi, della felice progressione dei risultati referendari negli Stati Uniti, confermata anche questo novembre in Alaska, Oregon e Washington D.C.

Ma la spinta, se non antiproibizionista, almeno legalizzatrice e di revisione delle leggi sulle droghe, per quanto ascendente, non riesce ad arginare la corsa di uno dei business ciminali maggiori del mondo.

Non bastando dunque i bassifondi delle grandi città formicolanti di un popolo malridotto composto da tossicodipendenti, piccoli criminali, psicopatici, stretti insieme dalla miseria e dallo stigma della illegalità;
non bastando le prigioni sovraffollate da prigionieri rei di “reati non violenti legati ad uso di droghe”, come dicono negli States, o di reati senza vittima, come hanno sempre detto i liberali; in particolare, in Italia, non bastando l'evidenza di come la maggior parte dei suicidi in carcere fossero detenuti per reati connessi agli stupefacenti;
non bastando le disgrazie del proibizionismo e del suo incontrollato corollario di apprendisti stregoni di nuove droghe, sintetiche, derivate, surrogate e affatturate;
non bastando tutto ciò, unito alle corpose documentazioni che da qualche anno ormai indicano la necessità di rivedere le politiche sulle droghe a livello mondiale, nazionale e locale,

nel 2014 abbiamo visto
riconosciuti ufficialmente, nei rapporti della DEA e dai media di mezzo mondo, gli stretti legami del terrorismo col narcotraffico, tanto da coniarsi il termine di narcoterrorismo o narcojihadismo;
il fallimento definitivo della militarizzazione sconsiderata legata alla war on drugs, delle “scuole speciali”; attraverso i fatti di Ferguson, e tutto quello che ha preceduto e seguito Ferguson, come la guerra alla droga sia diventata una persecuzione violenta a carico delle minoranze sociali e razziali;
la crisi delle migliaia di minori latinoamericani rifugiati alla frontiera con gli Stati Uniti, in fuga dalla violenza crescente delle maggiori città centro e sudamericane, connessa alla guerra tra narcos ed eserciti, guerra con numerosissimi episodi di complicità e di corruzione;
scoppiare e crescere la crisi messicana, dalle rivolte delle milizie popolari in gennaio, fino agli ennesimi desaparicidos di settembre, 43 studenti consegnati dal sindaco di Iguala e dalla polizia ai narcos.  


Quindi, per il 2015, buon anno di lotta che continua J