05/12/10

La responsabilità secondo Maurizio Gasparri

Maurizio Gasparri nella sua interessata interpretazione dei fatti di Lamezia - dove un giovane al quale era stata già ritirata la patente, piombato su un gruppo di ciclisti e fatta una strage, è risultato positivo al test sui cannabinoidi - confonde una variabile con una causa, dimostrando ancora una volta la grande ignoranza di metodologia delle scienze umane e politiche che contraddistingue le forze al governo del paese; in questa legislatura e nelle altre, Arlacchi docet.
 
Dichiara il capogruppo PdL al Senato: "La strage automobilistica di Lamezia Terme conferma quanti danni causi la droga e come sia da irresponsabili distinguere tra droghe leggere e droghe pesanti. I fatti dimostrano come la cannabis possa determinare comportamenti dagli esiti letali". Roma, 5 dic. (Apcom)

Il fatto che un' alta percentuale di persone coinvolte in un incidente risulti positiva al test etilometro e/o ai 5/6/7 e più test antidroga previsti dalle norme (Oppiacei, compreso Eroina,Morfina e metaboliti, Cocaina e metaboliti, Anfetamine, Meth-Anfetamine, compreso Ecstasy MDMA, Marijuana, compreso Cannabinoidi THC, Penciclidine, Metadone,  Benzodiazepine, Barbiturici, ecc.) non indica altro che un'alta percentuale di italiani in età adulta che fa uso di questa o quell'altra sostanza.
Rispetto ai cannabinoidi, in particolare, le tracce rilevabili dal test previsto, quello salivare o delle urine, possono risalire a settimane se non mesi prima; tutto questo oltretutto scarica di responsabilità individuale il giovane delinquente, facendo ricadere la colpa del suo delitto su una qualsiasi delle sue abitudini di consumo, quella che risulta più persistente nel tempo, pessimo esempio di diseducazione alla coscienza dei propri atti.
La distinzione cosiddetta tra droghe pesanti e leggere riguarda un'unica "droga", la canapa, che deve invece essere nettamente distinta, per differenza di storia, di pericolosità, di potenziale di assuefazione e di dipendenza, da tutte le altre droghe trattate dal narcotraffico. Non fosse altro che per il basso livello di tossicità che le vede al di sotto non solo di alcol e cocaina, ma pure di caffè , nicotina, e molti prodotti alimentari.
Nell'episodio - un ventunenne che guidava una Mercedes come un pazzo, senza patente, ritirata per una recidiva abitudine ai sorpassi azzardati , portandosi accanto un bambino di 10 anni, ha perso il controllo della vettura - il ritrovamento di tracce di cannabinoidi non sta a verificare niente di ciò che  sostiene Gasparri.

11 dicembre a Rovigo, incontro con i coltivatori industriali di canapa.

 Il Cra-Cin, Centro di ricerca per le colture industriali ( sede distaccata di Rovigo ), organizza per sabato 11 dicembre il convegno-dibattito "La filiera delle risorse rinnovabili ed ecosostenibili: la canapa - Un'antica risorsa ma una nuova opportunità per il Polesine" che si terrà presso il Musei dei grandi fiumi a Rovigo. 


L'evento, patrocinato da Provincia di Rovigo e Regione Veneto, è in collaborazione con Comune di Rovigo, Assessorato Tutela e Difesa Diritti dei Consumatori e Tavolo Altraeconomia Comune di Rovigo.

 Esiste uno stereotipo del consumatore di canapa, creato dai propugnatori delle politiche proibizioniste fino dal secolo scorso.
" Nel 1936, il giornalista Kenneth Clark inizia così un suo articolo pubblicato su una grande catena di giornali: "Sconvolgenti crimini di violenza stanno aumentando. Assassinî, stragi, crudeli mutilazioni, ferimenti compiuti a sangue freddo - come se un orrendo mostro percorresse impazzito la terra. Le allarmate autorità federali e statali attribuiscono molte di queste violenza alla 'droga assassina', come gli esperti chiamano la marijuana"... Anslinger ha ormai deciso che la gravità del caso marijuana ne richiede l'inclusione nella legge federale sui narcotici"

Anche senza arrivare a questi punti, il consumatore di canapa è percepito, grazie al linguaggio conformista dell'informazione come un individuo marginale, fallito quando non pericoloso; la realtà è ben diversa e consumano canapa milioni di persone che nella vita sono professionisti, impiegati, padri e madri di famiglia, studenti, imprenditori e commercianti. Il fatto che spesso nelle dichiarazioni pubbliche questo non risulti è dovuto alla vergogna indotta, da decenni di disinformazione, in questi cittadini, che fumano di nascosto alla moglie, al marito, ai figli, al datore di lavoro ecc. Inoltre anche i bambini delle elementari sanno che, oltre agli usi terapeutici o ricreativi della cannabis, ve ne sono di molto importanti legati sia alla pratica agricola che alla tecnologia dei materiali con prospettive ecologiche utili e interessanti. La demonizzazione della pianta di canapa voluta da Anslinger, dai suoi amici e dagli amici dei suoi amici si è accanita anche su usi quale quello terapeutico, e su tutte le componenti della pianta, compresa la fibra.


"La cannabis sativa è una pianta conosciuta ed apprezzata dai contadini in tutto il mondo poiché necessita di poche cure e ha pochi 'nemici' naturali, cresce praticamente ad ogni latitudine a parte quelle artiche, tende ad 'ammendare' (arricchire) il terreno di coltura.
E' coltivata fin dalla preistoria a causa degli svariati utilizzi possibili con le sue fibre: tessuti, vestiti, olio commestibile e/o combustibile, carta, fibre plastiche e tante altre applicazioni.
Sono trascorsi più di 15 anni da quando il Mipaaf ( Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ) ha ripreso il discorso sulla canapa.
In questo intervallo di tempo sono stati numerosi i programmi di ricerca nazionali, regionali ed europei che hanno portato a notevoli progressi nel campo dell'innovazione e dell'aggiornamento delle tecniche agronomiche. Nonostante questi sforzi e i relativi risultati, però, a causa dei ritardi del Mipaaf e della miopia legislativa, le superfici coltivate a canapa a livello nazionale sono sempre rimaste entro il limite massimo del migliaio di ettari.pur consentendo la capacità di adattamento della pianta ai diversi ambienti di occupare fino ai 100.000 ettari".
PROGRAMMA
9.00 - 9.30
REGISTRAZIONI
9.30 - 10.00
SALUTI AUTORITà
Fausto Merchiori - Sindaco Comune di Rovigo
Tiziana Virgili - Presidente Provincia di Rovigo
Francesco Ennio - Assessore alle Attività Produttive Provincia di Rovigo
10.00 - 11.30
INTERVENTI
Giampaolo Grassi- Primo Ricercatore CRA Consiglio per la ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura
Dr. Francesco Crestani- Servizio Anestesia e Rianimazione O.C. Trecenta, Presidente Ass. Cannabis Terapeutica, Responsabile Oasi WWF Rovigo
Felice Giraudo - Presidente Assocanapa, Carmagnola (TO )
Marilena Zaccarini - Fondatrice Centro Ricerche & Sviluppo Canapa Beppe Croce -
Associazione Legambiente Responsabile Agricoltura no food
Luca Bellotti - Parlamentare FlI, componente Commissione Permanente Agricoltura
Pietrangelo Pettenò - Consigliere Regione Veneto FdS, componente Commissione regionale Sanità- S Sociale
11.00 - 11.30
DIBATTITO
Moderatore: Marco Boscolo - membro del Tavolo dell’Altraeconomia, docente c/o la Facoltà di Architettura di Cesena, Corso di laurea in Attuazione e Gestione del Progetto in Architettura, responsabile del progetto regionale “accendi il Risparmio” di Legambiente Veneto11.30
CONCLUSIONI
Giovanna Pineda - Assessora Tutela e Difesa Diritti dei Consumatori
Nell'incontro verranno presi in esame i principali settori in cui la canapa potrebbe trovare il suo ottimale inserimento e si valuteranno le iniziative idonee a creare le condizioni di ecosostenibilità ed economicità della sua coltivazione.

Canapa nel Polesine: antica risorsa, nuova opportunità



Rovigo, 11 dicembre 2010 ore 9,00. Convegno sulla canapa nella filiera delle risorse rinnovabili ed ecosostenibili.



11/09/10

Diminuire il guadagno delle mafie del narcotraffico? Si può.

Le dichiarazioni di Berlusconi in Russia sulla necessità di inasprire le sanzioni per il consumo individuale di sostanze stupefacenti, subito riprese dallo Czar della droga Giovanardi, partono dal presupposto che il consumo individuale ingrassa le mafie e il narcotraffico. Sarebbe ovvio controbattere che è il proibizionismo ad ingrassare il mercato clandestino, come già ampiamente dimostrato e come ormai sostengono personaggi di autorevolezza mondiale ben maggiore della mia. Se controbattere servisse.
Purtroppo il dialogo serve solo quando gli avversari sono in buona fede, e non è questo il caso.
Se, infatti, lo scopo fosse davvero minare il guadagno e lo strapotere delle mafie del narcotraffico, ci sarebbe una piccola riforma da introdurre, che risolverebbe non tutto, ma una parte del problema. Cioè equiparare la coltivazione domestica all'uso, e permettere, senza sanzioni penali, la coltivazione di quelle piante di canapa che bastino al fabbisogno dell'individuo.
Invece in Italia se si viene trovati in possesso di una cima di canapa avendola comprata dal mercato illegale si rischia una sanzione amministrativa; se la stessa cima viene detenuta per averla coltivata, si cade subito nel penale, con evidente aggravio delle conseguenze e soddisfazione dei mafiosi.
C'è una legge, depositata nel 2009 dai deputati radicali, che persegue questo obiettivo minimale, l'equiparazione della coltivazione per uso domestico al consumo personale.
Se Silvio Berlusconi e Carlo Giovanardi sono davvero in buona fede, la tirino fuori dal cassetto e la mettano in agenda.

29/08/10

Conferenza latinoamericana sulle politiche in materia di droghe. Conclusioni



“Nella maggior parte dei Paesi della regione, le leggi sulle droghe prevedono regimi speciali, e questo ci induce a valutare se siano di carattere eccezionale e se questo compromette i diritti fondamentali di chi compare davanti alla giustizia, perche' le pene sono sproporzionate e le prigioni sono piene di “muli” incastrati nel sistema carcerario e non di grandi trafficanti”. Cosi' Freddy Pavon Rivera, viceministro della Giustizia in Equador chiudendo la “II Conferenza latinoamericana e la I Conferenza brasiliana sulle politiche in materia di droghe”, organizzata a livello locale dai brasiliani di “Psicotropicus”e a livello regionale dagli argentini di “Intercambios”, che si e' conclusa lo scorso 27 agosto a Rio de Janeiro.
“E' una sfida progettare una politica sulle droghe perche' si tratta di un tema sensibile dove gli Stati non hanno totale liberta' d'azione. Non si puo' ignorare il fatto che qualunque organismo che promuove i diritti umani promuove anche la guerra contro le droghe”, continua il viceministro dell'Equador facendo una velata critica ad alcune agenzie Onu. E' nel corso del panel su “Riforme legislative in America Latina” che e' stato evidenziato come “l'attuale legislazione ha creato nuove delinquenze, ha fatto a pezzi il tessuto sociale ed ha distrutto l'ambiente”.
Per invertire questa situazione, la procuratrice argentina Monica Cunnaro, segretaria esecutiva della “Commissione coordinatrice delle Politiche Pubbliche di prevenzione e controllo del traffico illegale di stupefacenti, la delinquenza organizzata transnazionale e la corruzione della Direzione di Gabinetto” in Argentina, ha proposto di “usare l'Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) per raccogliere consensi su come fare progressi nelle politiche sulle droghe a partire dalla difesa dei diritti umani”. Nel medesimo panel, il ministro della Suprema Corte di Giustizia in Uruguay, Jorge Ruibal Pino, ha evidenziato che “una buona legislazione sulle droghe non e' garanzia di giustizia ne' di rispetto dei diritti umani”.


Secondo dati Onu, l'attuale traffico illegale di droghe muove 320 milioni di Usd. “Il problema delle droghe e' economico e, anche se le cause hanno diversi aspetti, la discussione si deve concentrare sulla soluzione a questo problema economico”, ha detto Juan Carlos Hidalgo, coordinatore dei Progetti per l'America latina del Cato Institute di Washington. Per comprendere il grosso problema della guerra contro le droghe, Hidalgo ha fatto un esempio relativo al prezzo della cocaina: “In Colombia un chilo vale 1600 Usd, quando transita da Panama diventa 2500 Usd, 13 milioni Usd quando transita dalla frontiera messicana, 20 milioni quando arriva in Usa, milioni che diventano 97 nel mercato al dettaglio”. Il boliviano Reynaldo Molina Salvatierra, coordinatore generale del “programma di appoggio al controllo sociale della produzione della foglia di coca”, dice: “Se non fosse un commercio conveniente non avrebbe assunto le dimensioni che ha raggiunto”. Ed ha segnalato come la Bolivia stimola, come alternativa economica, “una politica di incentivi agli usi leciti della coca, come in ambito alimentare e medico, perche' il 18% della sua composizione sono proteine equiparabili alla carne, con anche il vantaggio che e' senza pericolo di colesterolo e acido urico”.

“Le novita' sulle politiche in materia di droghe vengono dall'America Latina”, ha detto Ethan Nadelman, docente all'Universita' di Harvard e direttore esecutivo della “Drug Policy Alliance” (Dpa), portando come esempio la “Commissione Latinoamericana su Droghe e Democrazia” perche' “per la prima volta alcuni ex-presidenti si sono resi disponibili ad un confronto sul proibizionismo, proponendo chiaramente la decriminalizzazione della marijuana e promuovendo politiche di riduzione del danno”.
Nadelman ha evidenziato i risultati dell'iniziativa delle “Unita' della Polizia Pacificadora” a Rio de Janeiro (programma per riappropriarsi del controllo del territorio nelle favelas dominate da trafficanti armati), e le politiche di inclusione sociale messe in atto a Medellin (Colombia), ma ha messo sul chi va la' in quanto' “ci vuole costanza e non si puo' ignorare il tema dell'illegalita' delle droghe, perche' fintanto che esiste il mercato nero che finanzia il crimine organizzato sara' difficile sradicare la violenza”.
Sulla differenza tra le politiche Usa e quelle del resto delle Americhe, durante l'inaugurazione della Conferenza, il segretario nazionale della Giustizia in Brasile, Pedro Abramovay, ha incentrato il suo intervento su narcotraffico e frontiere: “Il Brasile ha un frontiera di 15 milioni di chilometri ed e' impossibile concepire una politica sulle droghe che ignori i rapporti con i Paesi vicini. Non erigeremo muri sulle nostre frontiere perche' significano solo assassinii di massa”.

A questa conferenza hanno partecipato piu' di quattrocento persone, tra rappresentanti di governo ed esperti di vari Paesi della regione e funzionari Onu.




Fonte:
www.droghe.aduc.it


Altri articoli IPS e EPA



31/07/10

Dacci oggi il nostro Giovanardi quotidiano

Onorevole Carlo Giovanardi

Non passa giorno senza il nostro Giovanardi quotidiano. Ieri, commentando le nuove norme sulla sicurezza stradale, nelle quali sono state incluse norme sul controllo sugli usi degli italiani, ha dimostrato, e gliene va dato atto, di aver compreso la differenza tra uso e abuso. “Sono poi” ha detto “particolarmente soddisfatto dell'introduzione della norma che obbliga i richiedenti della patente di guida … a presentare un'idonea certificazione attestante il non abuso di sostanze alcoliche e il non uso di sostanze stupefacenti o psicotrope''. Rimane da spiegare il mistero per cui l’alcool si può usare, se non si abusa, ma le sostanze psicotrope no. Come se l’alcool non fosse psicotropo e stupefacente.
Dopo aver sbandierato il divieto di vendere alcool dopo le tre del mattino e fino alle sei come risolutivo, mentre a rigor di logica non importa neanche spiegare perché fa ridere i polli, è passato a illustrare le meraviglie del test obbligatorio antidroga (che come tutti ormai sanno rileva l’uso precedente, di giorni e settimane prima) per chiedere la patente o il rinnovo.
Non pago, ha annunciato il “nuovo” test del capello, pomposamente definito “microestrazione su fase solida in spazio di testa (HS-SPME) e gas cromatografia accoppiata alla spettrometria di massa (GC-MS)”.
Plaudono i produttori di narcotest e di etilometri (obbligatori in ogni ristorante e in ogni locale).

27/07/10

La musica di Giovanardi

Un ragazzo viene picchiato dalle forze dell'ordine e lasciato senza assistenza nelle strutture penitenziarie fino a morire di stenti? E' colpa della droga.
Una festa di massa viene mal gestita e ci sono decine di morti? E' colpa della droga (e della musica).
La musica di Giovanardi è cupa e ripetitiva. Non ci ha risparmiato neanche in occasione dell' inchiesta milanese che vede coinvolti in questi giorni vip, gestori di locali, portando al sequestro di due famosissime discoteche frequentate dai vip, lo Hollywood e il The Club, e agli arresti domiciliari cinque persone, tra cui Rodolfo Citterio, membro della Commissione comunale di vigilanza sui locali, da cui dipendono licenze e permessi per aprire un’attività.
E qui il nostro ha fatto un bel distinguo: una cosa sono i consumatori, “da curare”; "un conto è avere un problema, una malattia o un vizio, cioè essere succubi della droga, quindi essere in una situazione di dipendenza", e già qui sbaglia, perché un consumatore non è per forza malato, viziato e succube, il famigerato consumatore zombie che popola i suoi sogni. Sarebbe come dire che chi beve due bicchieri di vino in compagnia è un alcolizzato.
Ben altra cosa, ha proseguito Giovanardi, è il comportamento di chi va in televisione a "incitare i giovani a usare la cocaina, sostenendo che abbia delle proprietà terapeutiche"; si riferisce a Morgan, colpevole di non aver seguito la moda della negazione che va per la maggiore ( Mele, Marrazzo, Zaccai, ecc.ecc. ) e di aver fatto una dichiarazione sincera alle telecamere su un suo fatto personale.
"Quindi da una parte abbiamo una persona che va aiutata, mentre dall’altra parte abbiamo una persona che assume atteggiamenti che rischiano diffondere il problema”.
Dunque l' Italia vanta un sottosegretario con delega alle politiche sulle droghe che non sa distinguere fra consumo e abuso/dipendenza, che preferisce l'ipocrisia al dibattito.
A diffondere il problema, del resto, non importa che ci pensi Morgan, c'è già un sistema globale di grande successo che attraverso il proibizionismo gestisce un giro d'affari sempre in salita e sparge violenza e corruzione in tutto l'orbe terracqueo.


24/07/10

Caccia alla strega



Proseguono in tutta Italia i rastrellamenti casa per casa alla ricerca di piante di canapa, in una caccia alle streghe della quale non si riesce ad afferrare il movente.
Sono mesi che i vertici delle forze dell’ordine hanno scatenato una vera e propria persecuzione nei confronti dei siti, e dei negozi, che vendono semi di canapa e attrezzature per la coltivazione, peraltro tutta merce perfettamente legale e autorizzata; persecuzione che ha colpito anche una ditta produttrice di birra “alla canapa” (Mary Jo) e di una bibita “alle foglie di coca” (Kdrink), tutte e due in piena regola con i controlli e le autorizzazioni. Questa la politica di Giovanardi, che ha pure il coraggio di vantarsi dei primi risultati. Nella sua Relazione del giugno 2010, infatti, sottolinea come sia diminuito il consumo di cannabis ( - 9 % ) e aumentato quello dell’alcool ( + 18 %), ricevendo il plauso di Berlusconi che ha dichiarato “Meno consumo di droga significa togliere ingenti risorse alla criminalità organizzata e al terrorismo internazionale… “.
Non si capisce davvero il nesso logico, sia perché con l’accanimento sui consumatori di cannabis si è prodotto un aumento del prezzo dovuto al maggior rischio, sia perché, se veramente interessa togliere risorse al narcotraffico, l’acquisto su strada dovrebbe essere punito, eventualmente, con maggior rigore rispetto alla autoproduzione.
Non è così. Oggi chi acquista volta per volta dosi per uso personale ( quindi al maggior prezzo possibile ) dai piccoli spacciatori, in maggioranza poveri extracomunitari che non riescono a sopravvivere altrimenti, rischia una sanzione amministrativa; chi coltiva in casa canapa rischia, come ci ricordano i solerti inquirenti, dai 6 ai 20 anni di carcere.
Qualunque madre assennata ed informata, quando la mattina rimette in ordine la stanza dove il figlio ha trascorso la serata con amici, anche se si augura di non trovare alcun residuo, preferisce di gran lunga trovare cicche di spinelli che bottiglie di vodka e pacchetti di sigarette; perché ha a cuore la salute dei suoi figli. Se poi il figlio possiede la manualità e l'intelligenza per autoprodursi la canapa, evitando così le incertezze e i pericoli del mercato nero, meglio. Non la pensa così Giovanardi, che pare ignorare i drammi prodotti dalla sua politica, nel migliore dei casi, o, nel peggiore, se ne frega altamente e conta i guadagni.

16/07/10










Il 12 luglio, dopo otto giorni di Camera di Consiglio, e 5 anni di processo, il capo dei ROS, generale Ganzer, è stato condannato a 14 anni di carcere per “irregolarità” che rientrano nei capi di imputazione di traffico di stupefacenti e peculato.

Per motivi di carriera, visibilità e prestigio, la squadra di Ganzer avrebbe derogato oltre il limite del consentito alle leggi vigenti, acquistando, detenendo, comprando droga, e in particolare cocaina colombiana, con troppa leggerezza e qualche guadagno.

La sentenza ha visto reazioni opposte; da una parte un popolo inferocito dalla fredda e ottusa pervicacia dello Stato e delle forze dell’ ordine nel perseguire i cittadini qualsiasi per pochi grammi di canapa si è prodotto in battute e schiamazzi per la gioia di vedere un caporione in divisa condannato per spaccio, dall’altra ministri e autorevoli uomini delle istituzioni hanno rinnovato la fiducia a Ganzer e alla sua rivendicazione di un metodo di lavoro.

“La corruzione o l'uso di metodi discutibili da parte delle forze di polizia e della politica è uno degli aspetti più comuni e devastanti del proibizionismo. Succedeva durante il proibizionismo sull'alcool negli anni 1920 negli Stati Uniti, succede oggi in tutto il mondo sulle droghe”, scrive il sito dell’ ADUC, la miglior fonte, per informazione e correttezza, delle notizie sulle droghe, in Italia. Ed ha ragione.

Vorrei però pure sottolineare come sarebbe necessario anche fare il conto di quanto ci è costato, in euro, l’insieme delle operazioni di Ganzer e del processo a Ganzer; poi rivolgere un pensiero alle decine di migliaia di carcerati per reati di droga, spesso per pochi grammi: detenuti in carceri per le quali non si trovano soldi neanche per la carta igienica.


La buzzolona


c.sterzi
c.sterzi
12/07/2010 - 06:44
Arrestata la "opinionista" di "Uomini e donne" con 11 grammi di cocaina e un bilancino; già rilasciata, attende a casa il processo per direttissima.
Danielona Ranaldi, la strabordante signora che siede, o sedeva, alla destra di Maria De Filippi pontificando sulle presunte storie d'amore tra "Uomini e donne", è stata attenzionata dalla Polizia di Roma che, dopo averla tenuta sotto controllo per qualche giorno, l'ha trovata in possesso di 11 grammi di cocaina e un bilancino. Rimessa in libertà "in quanto incensurata", attende per venerdì un processo per direttissima.
Va benissimo, ci mancherebbe; dispiace per tutti quei ragazzi qualsiasi che con 11 grammi di droga pesante sarebbero finiti al gabbio di corsa, per uscirne chissà quando e con quanti lividi.
Proibizionismo di classe - Marrazzo dopo la sosta in convento si è reintegrato in RAI, Zaccai è stato dimesso senza la pur minima traccia di un test antidroga, Lapo si è disintossicato in America; suo zio, l' Avvocato, non ci ha mai neanche provato, a disintossicarsi.
Invece, per il cittadino qualsiasi, umiliazioni, orrori, condanne penali e sociali, allontanamento dei figli, ecc.ecc.
La settimana scorsa i carabinieri solerti hanno sequestrato merce a una ditta che produce il Kdrink, una bevanda a base di foglie di coca certificata assolutamente esente da principi droganti, mettendo a dura prova i nervi e l'economia dei titolari e dei dipendenti.
Tanti auguri, Danielona; per te, comunque vada, sarà un successo ...

13/05/10

Uso terapeutico cannabis: il caso paradossale di Fabrizio Pellegrini

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo appello dell'associazione Pazienti Impazienti Cannabis.
La mattina del 18 maggio si svolgeranno a Chieti 2 processi per lo stesso reato a carico di un paziente e membro dell'associazione Pazienti impazienti cannabis, Fabrizio Pellegrini, accusato di aver coltivato poche piantine di cannabis sul suo balcone a fini di spaccio.
La storia di Fabrizio, 41 anni, musicista e pittore, parte una dozzina di anni fa. Scopre allora che gli effetti benefici di questa pianta gli permettono di alleviare i sintomi della fibromialgia che da un po' di tempo gli rende difficile svolgere le sue attività artistico-lavorative. Ma scoperta la cura sono iniziati problemi di altra natura. Come per molti altri malati il primo interrogativo di Fabrizio fu: come accedere alla medicina? In quel periodo le possibili risposte a questa domanda erano soltanto due: o rivolgersi al mercato nero o autocoltivarsi la propria medicina.
Fabrizio, come molti altri sceglie la seconda strada. Non vuole finanziare la criminalità organizzata, non vuole correre il rischio di assumere sostanze adulterate di bassa qualità e non ha comunque la possibilità economica di sostenere i costi del mercato illegale. Decide che l'unica soluzione praticabile in assenza di alternative, e in teoria la più semplice, auspicata dalla maggior parte dei malati a livello mondiale, sia quella di coltivarsi la sua medicina.
Nel frattempo Fabrizio conosce il nascente pic, altre persone che come lui rivendicano il diritto a curarsi con questa pianta, e partecipa fin dai primi momenti alla vita del gruppo. Quando, dopo, si apre la possibilità di utilizzare la cannabis medicinale prodotta in Olanda e importata attraverso le farmacie delle Asl, Fabrizio riesce a consegnare la richiesta del medico ed ottenere una prima fornitura, ma i problemi economici e la negazione della sua Asl di farsi carico dei costi non gli permettono di proseguire la cura. Rimane sempre la soluzione precedente e Fabrizio a primavera rimette i vasetti sul balcone. Ma quasi ogni anno riceveva una visita delle FF.OO. e l' ultima casualmente proprio il giorno del suo 40esimo compleanno.
Fabrizio Pellegrini è una persona che come noi ha trovato beneficio nell'utilizzare la cannabis come medicina, ma il 18 maggio sarà un'altra volta davanti al giudice per difendere il suo e il nostro diritto alla salute. Un diritto che dovrebbe essere garantito a tutti ma che sembra non valere quando per curarsi si utilizza questa pianta. Fabrizio ha già subito arresti, condanne, prigione ed ha altri processi in corso solo per aver scelto di curarsi con una pianta. Viene considerato come uno dei peggiori criminali, rischia oltre 20 anni di galera, e soprattutto continua a non poter alleviare le sofferenze dovute alla malattia e a non poter migliorare la sua qualità di vita.
Tutto questo nonostante nel nostro paese il THC, unico principio attivo psicotropo della cannabis, sia inserito nella tabella 2b dei farmaci stupefacenti e quindi legalmente prescrivibile, e in teoria tale prescrizione sia l'unico requisito richiesto per ottenere l'importazione della medicina a lui necessaria dall' Olanda.
Fabrizio ha bisogno della solidarietà di tutti, di poter far conoscere la sua storia e di non essere lasciato solo. Chi volesse può portare il suo contributo con la presenza davanti al tribunale di Chieti la mattina dei processi.

Per scrivergli:
Fabrizio Pellegrini
www.pazienticannabis.org
info@pazienticannabis.org

10/05/10

MILLION MARIJUANA MARCH – uno sguardo radicale.

Si è svolta ieri, sabato 8 maggio 2010, la Million Marijuana March, una “iniziativa mondiale lanciata nel 1999 dal sito statunitense Cures not wars. Sbarcò nel nostro paese il 5 maggio 2001 con la campagna di autodenuncia di massa "Signor giudice ho piantato un seme" che raccolse circa 1100 autodenunce tra Palermo, Milano e Roma dove il 05-05-01 furono consegnate 645 autodenunce assieme ad alcune piantine di cannabis alla caserma dei carabinieri di piazza Venezia da una delegazione di nove persone al termine di una street antiprò partita da piazza della Repubblica e aperta da una delegazione di indiani Lakota”. … Da allora ogni anno il primo fine settimana di maggio l'Italia partecipa con Roma all'iniziativa mondiale che, partita dalle poche decine di città del 1999, coinvolge ormai più di 300 città su tre punti rivendicativi da sempre uguali in tutto il mondo: 1) fine delle persecuzioni per i consumatori. 2) diritto all'uso terapeutico della Cannabis per i Pazienti 3) diritto a coltivare liberamente una pianta che è parte del patrimonio botanico del Pianeta” ( dal sito Million Marijuana March )

Dopo aver letto i tre “punti rivendicativi” o obiettivi, come segretaria dell’ Associazione Radicale Antiproibizionisti, li ho condivisi; anche l’affermazione “la coltivazione della cannabis è un diritto naturale”, mi trova concorde.
L’anno scorso avevo partecipato da privata cittadina, seppure con la spilla della Lista Pannella Bonino. Quest’ anno ho aderito ufficialmente, il che ha preoccupato un po’ il Signor Mefisto, spero non si offenda se lo chiamo signore :), organizzatore storico della MMM in Italia, che mi ha telefonato avvertendomi che non erano ammesse insegne di partito. In effetti già avevo visto sul sito il deciso cambio dell’ organizzazione, “non saranno ammesse bandiere e striscioni di partito, di nessun partito, nè saranno ammessi camion non preautorizzati con musica diversa dal REGGAE”. Una presa di posizione piuttosto netta che si rendeva necessaria per poter gestire il marasma esplosivo che derivava dalla mescolanza della cultura della canapa con quella dei rave; non che non si vedessero più giovani ridotti con la bava alla bocca, chè alcool e skunk olandese sono più che sufficienti a ridurre un giovane metropolitano all’ ombra di se stesso, ma la manifestazione ha avuto una allure e una atmosfera più mite, più distratta, più pacifica anche nell’atteggiamento verso le forze dell’ordine che invece l’altro anno avevano ricevuto una bella dose di insulti lanciati anche dagli organizzatori.
Gli unici a rivolgersi ai poliziotti sono stati due reduci degli anni ’70, con lunghi capelli bianchi, maglietta Canapisa, che hanno sventolato loro a mezzo metro dal viso un volantino con le immagini di Cucchi, Aldovrandi, Bianzino, Eliantonio, e ne dimentichiamo sempre tanti.
Da uno dei due carri presenti sono stati invece lanciati slogan contro la libertà di manifestare dei cosiddetti “fascisti di merda”, una categoria che esiste ormai solo nei sogni inquieti dei vecchi comunisti e ahimé dei loro figli; d’ altra parte è vero che le leggi proibizioniste sono spesso ascrivibili alla destra, e pure le uccisioni in carcere, ma anche la sinistra ha fatto il suo sporco lavoro in questo senso, se non altro con l’ignavia quando non peggio.
Per esempio negando a centinaia di migliaia di giovani interessati ai temi dell’antiproibizionismo una informazione completa che comprendesse le battaglie radicali, dalla disobbedienza civile di Marco Pannella del 1975, a quelle più recenti di Rita Bernardini, battaglie parlamentari, referendarie, nonviolente.
La felice assenza dei carri tekno, che l’ anno passato rendevano impossibile la comunicazione, ha fatto però emergere la mancanza di un qualunque tipo di informazione sia politica che divulgativa e scientifica; l’informazione corretta è l’arma nonviolenta che l’antiproibizionismo oppone alle armi coercitive del sistema giudiziario e penale. Per depenalizzare, e legalizzare, è necessaria l’informazione, che incoraggia usi e costumi responsabili e autonomi; così come la legge che legalizzò in Italia l’aborto era accompagnata da norme mai realizzate, in tema di informazione biologica, sessuale e riproduttiva.
Nel metodo radicale di lavoro su obiettivi comuni anche con forze diverse, sono molti i contatti che durante la MMM l’ @.r.a. e i compagni di Radicaliroma hanno coltivato, è il caso di dire! : l’organizzazione della marcia, i Pazienti Impazienti, la coalizione Legalizziamolacanapa.org, i Giovani Antiproibizionisti, e altri.
Oggi che segnali da tutto il mondo danno come imminente un cambio deciso nelle politiche sulle droghe, dal Portogallo dove una sperimentazione di depenalizzazione del consumo avvenuta nel 2001 sta dando risultati statistici di grande rilievo, come l’abbattimento dei numeri dei sieropositivi e delle morti per droga, oltre che dei consumatori, alla zona di confine USA – Messico, straziata dalla violenza, dalla criminalità e corruzione politica derivate dalle politiche proibizioniste, in Italia, dove abbiamo una delle legislazioni peggiori rispetto a molti altri paesi “occidentali”, è necessario insistere con sempre maggior forza, tutte le forze antiproibizioniste insieme, perché si apra uno spiraglio di civiltà e di intelligenza.

05/05/10

Million Marijuana March 2010 - 8 maggio, Roma - Adesione dell' @.r.a.


Gli organizzatori della MMM comunicano: "Tre sono gli obiettivi dell’iniziativa, uguali in tutto il mondo: fine delle persecuzioni per i consumatori, diritto all’uso terapeutico della cannabis per i pazienti, diritto a coltivare liberamente una pianta che è parte del patrimonio botanico del pianeta."
Questi obiettivi sono perfettamente concordi con gli obiettivi dell'Associazione Radicale Antiproibizionisti, che quindi aderisce all' iniziativa e sarà presente. La difesa dei diritti dei consumatori, dei malati, dei coltivatori vede infatti impegnati da più di trenta anni i radicali, dalla prima disobbedienza civile di Marco Pannella del 1975 attraverso iniziative referendarie, legislative e nonviolente.
Condividiamo anche la dedica di questa edizione, a «tutte le vittime del proibizionismo massacrate di botte in galera o ancora prima di arrivarci», e vogliamo aggiungere alla dedica anche tutti i consumatori, i tossicodipendenti e i coltivatori segregati nelle carceri italiane; l'iniziativa nonviolenta in corso, dell' On. Rita Bernardini, deputata radicale, in sciopero della fame da tre settimane per l'approvazione di urgenti misure alternative alla detenzione, riguarda anche loro, visto che il 40% degli arresti in Italia avviene per violazione della legge sulle droghe.

29/04/10

Bolzano - 26 aprile 2010 - incontro su cannabis terapeutica


CANNABIS TERAPEUTICA A BOLZANO

27 aprile 2010
Il 26 aprile scorso si è svolto a Bolzano un incontro pubblico su “Cannabis terapeutica: quadro nazionale e esperienza sudtirolese; un appuntamento della Lista Bonino Pannella, presente alle elezioni comunali di Bolzano in collegamento con il candidato Spagnolli, che ha riunito forze politiche, associazioni di settore, malati, medici, giovani antiproibizionisti e cittadini diversamente interessati al tema della cannabis e della cannabis terapeutica.


Ha condotto il dibattito Donatella Trevisan, candidata nella Lista e al nono giorno di sciopero della fame in sostegno all’ iniziativa nonviolenta, svolta dalla deputata radicale Rita Bernardini, per l’ approvazione urgente di misure di pena alternativa come argine alla disfatta del sistema carcerario, e giudiziario, italiano.

Come è noto circa il 40% dei detenuti nelle carceri italiane viene arrestato per violazione diretta della legge sulle droghe; fra loro anche piccoli coltivatori di canapa, a volte a scopo terapeutico. La questione è stata richiamata nel corso della discussione, insieme alle possibili iniziative a livello comunale per garantire il diritto alla libertà di terapia e di cura, alla storia della battaglia sulla cannabis terapeutica; nella provincia di Bolzano ci sono 500 malati di sclerosi e solo una ventina di loro hanno accesso ai farmaci cannabinoidi, nonostante si tratti di farmaci legali e prescrivibili. Gli ostacoli individuati sono la disinformazione dei medici, il disinteresse dei politici, e la stigmatizzazione della canapa operata dal proibizionismo.

Hanno parlato della loro esperienza Claudia Sterzi, segretaria dell’ Associazione radicale antiproibizionisti, Christoph Mamming, Presidente dell’ Associazione Sclerosi Multipla Alto Adige, Stefano Balbo, vicepresidente di Associazione Cannabis Terapeutica, Achille Chiomento, medico di base e candidato della Lista BP e Ugo Beltram, malato tetraplegico in cura con cannabis.

Abbiamo ricostruito la storia della battaglia sulla cannabis terapeutica, e sul libero accesso ai farmaci cannabinoidi, a partire, sul fronte medico, dalla prima sperimentazione clinica italiana, nell' Ospedale di Bolzano, del Sativex, prima ancora che nel 2007 la cannabis e i suoi principi venissero inseriti nelle tabelle nazionali del ministero della salute delle sostanze terapeutiche; sul fronte politico, abbiamo ricordato le battaglie radicali nonviolente di disobbedienza civile, i trenta processi che Rita Bernardini e decine di militanti e dirigenti radicali hanno subito per le loro iniziative di disobbedienza civile sul tema delle "droghe leggere" o "nondroghe" o canapa, alcune specifiche sulla cannabis terapeutica. Processi che si sono conclusi o si trascinano con sentenze ognuna diversa dall'altra.

L' azione congiunta dei radicali con le associazione di settore e con altre forze politiche ha portato ad alcuni significativi passi avanti, come l' Ordine del giorno votato in gennaio al Senato, la sentenza di Avezzano di febbraio , la delibera della Regione Puglia, la proposta dell' ALC.

La discussione è spesso scivolata dalla cannabis terapeutica alla cannabis e all' antiproibizionismo, essendo evidente il doppio legame tra gli argomenti; da una parte la libertá di cura e di terapia e di ricerca scientifica é una battaglia antiproibizionista, dall' altra anche la liberazione della canapa dalla stigmatizzazione é una battaglia antiproibizionista. Motivi che hanno portato ad un gemellaggio su un obiettivo comune di forze diverse che ha dato i suoi buoni risultati; i due punti indicati non sono stati realizzati, ma la battaglia ha fatto passi veloci e continui.

L'assenza di registrazione se ha reso impossibile ad altri usufruire del dibattito ha facilitato una comunicazione più conviviale e rilassata; con l'occasione sono stati consolidati i contatti tra i vari attori diversamente impegnati localmente (malati, medici, informatori del farmaco, politici, antiproibizionisti).

Rovigo - Firenze - Puglia, un triangolo verde?
























Gentili concessioni ADUC www.aduc.it e ALC www.lucacoscioni.it

22 aprile 2010
Il 20 aprile una delegazione dell'associazione radicale Coscioni composta da Andrea Trisciuoglio, Giuseppe Simone e Nicola Scistri ha incontrato il Dirigente Assistenza Farmaceutica della Regione Puglia, Leoci, al fine di prospettare una convenzione tra Regione e Centro di Canapicoltura dell'Ente CRA (Consiglio di Ricerca per la Sperimentazione in Agricoltura) sez. di Rovigo. La convenzione dovrebbe di incrementare le metodologie di ricerca sulla cannabis terapeutica "made in Italy". In tal modo, come si legge nella nota dell’associazione Luca Coscioni, si potrebbe evitare la fuga di cervelli dall'Italia inserendo nel settore giovani ricercatori. L'eventuale convenzione rappresenterebbe il primo caso in Italia e costituirebbe un precedente molto importante. Come spiega all’Attacco Andrea Trisciuoglio: “L’unico approvvigionamento per malati terminali o per malati di sclerosi multipla come me proviene dal Ministero che a sua volta deve chiedere il farmaco a governi stranieri. All’Olanda e al Canada. Questi farmaci non provengono mai dall’Italia, pur avendo noi un centro di eccellenza a Rovigo. I cannabinoidi arrivano, ma con una lunghissima trafila burocratica”. Sino allo scorso 9 febbraio i malati pugliesi dovevano pagare il farmaco ad un prezzo medio di 7,25 euro al grammo, per una spesa che si aggirava attorno ai 140 euro al mese. Da febbraio, la Regione si è sobbarcata, come dice Trisciuoglio, il costo dei cannabinoidi, che sono quindi pagati dalle Asl. La somministrazione viene dispensata in Ospedale in day hospital. Con l’incontro di martedi', come rileva Trisciuoglio, ancora una volta la Regione Puglia ha dimostrato grande attenzione verso tutti quei pazienti affetti da varie patologie che potrebbero trovare benefici dai prodotti a base di cannabis. In precedenti incontri con i vertici della Regione, l’associazione Luca Coscioni invocò e ottenne un “piano d’azione” che portasse all’approvazione del testo di delibera per la fruibilità dei cannabinoidi (del. 308 del 9.2.2010). Tutto ciò concorrerebbe ad evitare il ricorso ai mercati illegali e l’approvvigionamento dai Paesi Esteri.
L'art. 26 della 309/90 è quello che crea il problema della produzione ai fini di commercio ma lascia però aperta la possibilità di fare ricerca con i derivati della cannabis. La convenzione tra l’Ente CRA e la Regione Puglia farebbe da apripista ad una successiva convenzione con un ospedale o con farmacie comunali o con chi sia poi in grado di gestire uno studio per la valutazione sullo stadio di malattia di un campione di pazienti. La fase di osservazione potrebbe durare 2 o 3 anni.

Dialogo con la Regione Puglia


Gentili concessioni ACT (Associazione cannabis terapeutica), PIC (Pazienti Impazienti cannabis), ADUC (Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori)

5 marzo 2010

Pubblichiamo questa lettera inviata ai componenti della Giunta Regionale della Regione Puglia da Francesco Crestani, medico e presidente dell’Associazione Cannabis Terapeutica.
Abbiamo appreso dai mezzi di informazione che la Giunta Regionale ha regolamentato le modalità di erogazione dei farmaci a base di Cannabis, a carico del Servizio sanitario regionale, utilizzati per la terapia del dolore per pazienti terminali o affetti da patologia cronica.
Apprezziamo la volontà di dare una risposta a tanti pazienti che non trovano, o non trovano più, una risposta alle loro sofferenze con l’uso di farmaci presenti sul mercato nazionale.
I cannabinoidi, reperibili in vari paesi stranieri, possono in alcuni casi essere considerati perlomeno un tentativo terapeutico palliativo basato comunque su una ricca bibliografia di ricerche sperimentali e una ormai abbondante mole di studi clinici.
Su questa linea si colloca il Decreto Ministeriale 18.04.2007 che inserisce nella Tabella II, sezione B, i derivati naturali e di sintesi dei cannabinoidi.
Facciamo riferimento a questo Decreto, nonché al DPR 309 del 9.10.1990, testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope.
Nella delibera in oggetto sono evidenti molte luci, che contrastano con alcune ombre che andiamo ad evidenziare.
Innanzitutto consideriamo importante che, al contrario di quanto deliberato ad esempio dalla Regione Marche, si siano ricordati tra i possibili specialisti ai quali è data la possibilità di prescrivere tali farmaci, oltre ai neurologi e agli oncologi, anche i medici “preposti alla terapia del dolore acuto e cronico”, comunque alle dipendenze da strutture sanitarie pubbliche. Peraltro tutte le altre figure mediche sono state lasciate fuori, a meno che per medici "preposti al trattamento della terapia del dolore cronico e acuto" non si intendano tutti coloro che si occupano dei sintomi di dolore nel paziente, e in questo caso potrebbero rientrare, a tutto diritto, non solo i palliativisti, gli antalgologi e gli anestesisti, ma anche gli stessi Medici di Medicina Generale che hanno in carico il malato; ma questa interpretazione ci sembra forse azzardata. Se così non fosse, come probabilmente non è, si potrebbe avere il caso ad esempio di un valido specialista neurologo convinto ad attuare nel suo paziente una terapia con cannabinoidi, ma impossibilitato a farlo in quanto libero professionista o dipendente da una clinica privata. Tale medico dovrebbe a questo punto inviare il suo paziente a un collega appartenente al servizio sanitario pubblico "sperando" che quest'ultimo concordi con la sua prescrizione!
Rimane il controsenso di farmaci ben più pericolosi prescrivibili liberamente da qualsiasi medico di base, ad esempio morfina, fentanile, buprenorfina, mentre i cannabinoidi non lo possono essere, parificandoli quasi ai farmaci di esclusivo uso ospedaliero, tipo gli anestetici e i curari.
Qui arriviamo a un altro punto: l'obbligo che l'inizio della terapia venga effettuato "in ambito ospedaliero o in strutture ad esso assimilabile, stante gli effetti terapeutici attesi connessi alla risposta individuale". Considerando appunto la scarsa tossicità dei cannabinoidi, quest'obbligo ci sembra quasi punitivo nei confronti dei pazienti. L’affermazione “gli effetti terapeutici attesi sono condizionati dalla risposta individuale” è lapalissiana e valida per qualsiasi altro farmaco, e ricordiamo che i cannabinoidi hanno di per sé un alto indice terapeutico, infatti la loro Dose Letale è solo teorica, essendo circa 40.000 volte la Dose Terapeutica. L’ospedalizzazione forzata ci appare arbitraria, e la dispensazione di questi farmaci può essere facilmente compiuta in regime di Day Hospital, come peraltro sta già avvenendo in varie realtà sanitarie italiane.
Encomiabile che non si faccia una lista positiva dei cannabinoidi, evitando così di lasciarne fuori alcuni, magari resi disponibili in futuro dalla ricerca.
Buona anche la possibilità che gli specialisti di altre regioni possano prescrivere farmaci per i pazienti residenti nella Regione Puglia.
Un punto critico è la lista delle patologie : spasticità secondaria a malattie neurologiche, nausea e vomito non sufficientemente controllati indotte da chemioterapia o radioterapia, dolore cronico neuropatico non responder ai farmaci disponibili.
Vengono così,almeno formalmente, escluse alcune patologie per le quali vi è ormai sufficiente certezza in campo scientifico: ricordiamo che ormai dal 1985 la severa Food and Drugs Administration americana permette la commercializzazione del tetraidrocannabinolo (nome commerciale Marinol) con l’indicazione della Sindrome da deperimento nell’AIDS. Tale classe di pazienti verrebbe esclusa quindi dalla somministrazione dei cannabinoidi in Puglia, e, tra l’altro, i medici infettivologi che li seguono non glieli potrebbero prescrivere. Non solo: da alcuni anni ormai l’estratto farmacologico di Cannabis denominato Sativex ha in Canada l’indicazione del dolore da cancro (che non è sempre di tipo neuropatico!). Ecco un’altra classe di pazienti, particolarmente fragile, che si vedrebbe negata la possibilità di cura. Senza pensare inoltre a tutta una serie di patologie per le quali, anche se ancora non ci sono grosse certezze cliniche, i cannabinoidi potrebbero essere utilizzati almeno come tentativo terapeutico palliativo, una volta esaurite le possibilità con i farmaci di uso corrente. Pensiamo all'epilessia farmaco resistente, al dolore reumatico articolare (artrosi, artriti, fibromialgie), all'emicrania grave, al glaucoma, alla sindrome di Tourette tanto per citarne alcune!
Per tutti i succitati motivi, si chiede a codesta Giunta Regionale di porre le opportune correzioni alla delibera in oggetto.
In particolare si chiede che, a norma di legge, a norma del buon senso e del principio di realtà:
1. si tolga la possibilità di prescrizione dei farmaci cannabinoidi da parte dei soli medici dipendenti da strutture pubbliche e da parte dei soli specialisti in neurologia e oncologia e preposti alla terapia del dolore acuto e cronico
2. si tolga il ricovero coatto per i pazienti all’inizio della terapia
3. si lascino le indicazioni della terapia alla scienza e coscienza dei medici
Si resta in attesa di riscontro, e si porgono distinti saluti.

Questa un commento di P.i.c. (Pazienti Impazienti Cannabis)
Non possiamo che concordare con le perplessità del dr. Crestani, le stesse già espresse dopo l' approvazione nel 2008 della delibera 470 da parte della giunta regionale delle Marche, di cui questa nuova delibera condivide il testo con poche modifiche minori.
Ci preme però inquadrarne il contesto.
La recente delibera 308 della regione Puglia http://www.regione.puglia.it/index.php?page=burp&opz=getfile &file=8.htm&anno=xli&num=41 non costituisce per quella regione un canale esclusivo di accesso alla terapia con cannabinoidi, dato che restano pienamente in vigore le modalità vigenti a livello nazionale, cioè l' importazione tramite Asl su prescrizione del medico specialista o mmg "di famiglia", ai sensi del DM 11-2-97, e la prescrizione su ricetta semplice non ripetibile di preparazione galenica, allestita da una qualunque farmacia dotata di laboratorio. La 308 è anche nelle intenzioni della Regione, almeno così ci auguriamo, una modalità aggiuntiva "agevolata" per malati affetti da dolore cronico acuto e, spesso, disabilità motoria.
Come ben sappiamo, oggi gli ostacoli all' accesso a tale terapia sono sostanzialmente di due generi: la non disponibilità dei medici, spesso per ignoranza della procedura, ad avvalersi della possibilità di prescrivere tale terapia, ed il costo da sostenere nella maggior parte dei casi una volta ottenuta la prescrizione, che per i pazienti è intollerabilmente alto.
A questi si aggiunge l' ostilità da parte delle direzioni ospedaliere, che causa un illecito rifiuto da parte delle farmacie ospedaliere di dar seguito alle legittime richieste di importazione sottoscritte dagli specialisti interni, ai sensi del DM 11-2-97 e della stessa delibera 308 pugliese, dove si conferma che "La rimborsabilità di farmaci importati in applicazione del più volte citato Decreto restano a carico del SSR qualora il medico richiedente sia alle dipendenze di struttura pubblica ed il paziente sia trattato in regime di ricovero o soggetto a day hospital o percorso ambulatoriale".
" fatti salvi i vincoli di bilancio e quelli eventualmente posti dalla normativa regionale", specifica però il DM.
Di ulteriori vincoli posti dalle normative regionali noi pazienti non sentiamo appunto il bisogno, tanto più di limitazioni all' impiego di tali farmaci per le sole indicazioni "terapia del dolore" e "nausea da chemio o radioterapia".
Il recente intervento del sottosegretario Giovanardi ha finalmente confortato le nostre dichiarazioni controcorrente: in nessuna parte del recentemente approvato Ddl 1771 su terapie del dolore e cure palliative si intendono i cannabinoidi come inclusi tra i farmaci oppiacei utilizzabili a tale scopo, nè tantomeno che il loro utilizzo sia limitato esclusivamente a tali indicazioni terapeutiche, chiarendo così un equivoco purtroppo molto diffuso.
In coerenza con tutto ciò, alle richieste di correzioni suggerite vorremmo quindi aggiungere:
1- la cancellazione dell' improvvida frase "...delibera di autorizzare le Farmacie Ospedaliere delle Aziende Sanitarie a garantire l’erogazione dei cannabinoidi a carico del Servizio Sanitario Regionale ... per le sole indicazioni approvate"
2- la possibilità esplicita per TUTTI gli specialisti ospedalieri di prescrivere ed utilizzare tali farmaci e preparazioni galeniche in ambito ospedaliero e ambulatoriale. Vorremmo anzi leggere la volontà della Regione Puglia di eliminare gli ostacoli amministrativi alla fruizione concreta di quanto sopra, già pacifico e previsto dal sopracitato DM ma tuttora inattuato.
Solo così le indicazioni della terapia rimangono alla scienza e coscienza dei medici, che auspicabilmente cesseranno di aver paura di esporsi a rappresaglie professionali per questo, e si ristabilisce un clima scientifico sereno e degno di un Paese civile, che permetta di mettere al centro le necessità dei malati.

Cannabis free ad Avezzano


Gentile concessione ADUC
9 febbraio 2010

Per la prima volta in Italia, un tribunale ha riconosciuto il diritto di un malato ad ottenere gratuitamente dalla propria Asl un farmaco a base di cannabis. Il tribunale di Avezzano (L'Aquila) ha dato il via libera in base all'articolo 32 della Costituzione, che riconosce il diritto inviolabile alla salute.
C'e' purtroppo da constatare ancora una volta che per ottenere il rispetto di un diritto costituzionale cosi' elementare, un cittadino e' stato costretto a rivolgersi ad un legale e fare causa. Solo poche aziende sanitarie in Italia, grazie a dirigenti e medici illuminati, rimborsano i farmaci a base di cannabis, che devono essere importati dall'estero attraverso complicate e costose procedure. Questo perche' la politica fatica a decidere sulla base dell'evidenza scientifica, preferendo invece agire sulla base di ideologie che vedono il male in tutto ciò che e' derivato dalla cannabis.
Eppure, persino le organizzazioni mediche più conservatrici come l'American Medical Association hanno da tempo annoverato i farmaci cannabinoidi fra i piu' efficaci contro i sintomi di numerose patologie, dalla sclerosi multipla all'Aids, dal dolore cronico al cancro.
Lo scorso mese, il Senato ha approvato un ordine del giorno bipartisan in cui si chiedeva al Governo di promuovere una sperimentazione per la produzione di farmaci cannabinoidi in Italia. Abbiamo gia' il know-how e istituti pubblici pronti a darsi da fare, il tutto con costi modesti per i cittadini rispetto a quelli che oggi siamo costretti a pagare a produttori farmaceutici stranieri.
Basta la volonta' politica del Governo, e quella in particolare del ministro della Salute Ferruccio Fazio, perche' migliaia di cittadini possano migliorare drasticamente la qualita' della loro vita senza dover ricorrere a spese insostenibili (anche 500 euro al mese) o peggio ancora rischiare il carcere con autocoltivazioni di fortuna o recandosi dal pusher sotto casa.

28/01/10

DA ROVIGO A FIRENZE AVANTI TUTTA

L' ordine del giorno approvato al Senato nei giorni scorsi è un primo segnale positivo sulla via del libero accesso ai farmaci cannabinoidi da parte dei malati. La possibile produzione di un farmaco italiano, la mancata distruzione delle piante che vengono coltivate a Rovigo e del principio attivo, il suo utilizzo come farmaco attraverso l'Istituto Farmaceutico Militare di Firenze, sono le soluzioni più semplici per abbattere i costi e i tempi dovuti all'importazione. Dispiace solamente che si debba tanto lottare e tanto applaudire per cose di una razionalità e di una linearità totali, che dovrebbero essere già acquisite. Troppo è il tempo, perso ai diritti dei malati, passato ad elaborare e a ribattere a obiezioni come quelle di Quagliarello, che teme un "escamotage" verso la liberalizzazione, nascosto sotto la produzione del farmaco. Obiezione disonesta: la vera liberalizzazione è quella che oggi ci vede primi nel consumo europeo, con ogni tipo di sostanze illecite vendute al mercato nero, in ogni piazza, senza controllo se non quello della mafia, che da tale mercato trae, secondo la Confesercenti, un fatturato complessivo oltre i 135 miliardi di euro e un utile che sfiora i 70 miliardi al netto di investimenti e accantonamenti.
Inoltre, sarebbe come tornare alle operazioni senza anestesia, per non favorire la diffusione degli anestetici. Assurdità medioevali, che ben si accompagnano all' incarcerazione di coltivatori di qualche pianta di canapa, malati o no che siano.
Claudia Sterzi, segretaria Associazione Radicale Antiproibizionisti

27/01/10

CANAPA MEDICA DA ROVIGO A FIRENZE APPROVATO O.D.G. AL SENATO

Cannabis terapeutica. Da Rovigo e Firenze parte la produzione italiana? Approvato ordine del giorno in Senato

Dichiarazione dei senatori Donatella Poretti e Marco Perduca, Radicali-Pd

Il centro di ricerca per le colture industriali di Rovigo, istituto pubblico autorizzato alla produzione di cannabis per scopi di ricerca, potrebbe inviarla allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze e far partire una produzione italiana di farmaci a base di cannabinoidi. Questo il senso di un ordine del giorno da noi proposto e fatto proprio dal Governo per porre fine all'odissea cui sono sottoposti i pazienti costretti alla pratica dell'importazione burocraticamente complessa ed economicamente costosa di questa sostanza.
Un farmaco come il Sativex, a base di cannabis, potrebbe cosi' essere prodotto in Italia da strutture pubbliche con grande risparmio anche per il Ssn e per quelle Asl che ne prevedono il rimborso.
La ragionevolezza delle argomentazioni dei senatori di maggioranza tra cui Saia, Longo, Fleres e Baldassarri hanno trovato la disponibilita' del ministro della Salute Fazio a fare proprio il nostro ordine del giorno.
Ci rallegriamo del fatto che grazie ad un approfondito dibattito parlamentare per la prima volta la cannabis terapeutica trova un riconoscimento istituzionale e un impegno concreto per la sua produzione!

Qui alcuni approfondimenti:
http://blog.donatellaporetti.it/?p=1148
http://blog.donatellaporetti.it/?p=1138

21/01/10

STENOGRAFICO DEGLI INTERVENTI DEI SENATORI RADICALI IN MATERIA DI CURE PALLIATIVE, TERAPIE DEL DOLORE E CANNABINOIDI

PERDUCA (PD). Signor Presidente, in effetti oggi inizia la discussione generale su un importantissimo provvedimento che - come è stato già ricordato dal relatore e dalla senatrice Bassoli - se adottato, riuscirà finalmente - dico finalmente perché fino a 2-3 anni fa l'Italia, nella classifica stilata a livello internazionale in relazione alle cure palliative, seguiva addirittura la Namibia - a farci acquistare una posizione degna di uno Stato fondatore dell'Unione europea.

Riteniamo che si tratti di questioni rilevanti e su queste incentro il mio intervento in discussione generale.

Devo però lamentare il limitato tempo che ci è stato concesso nella giornata di ieri relativamente alla preparazione dei documenti, non dico soltanto dal punto di vista emendativo ma anche da quello dell'indirizzo generale: dalle ore 15,30 alle ore 21, o poco più, in una giornata in cui si doveva affrontare in Aula una situazione molto delicata come quella della giustizia italiana, il che non ha consentito a me ed alla senatrice Poretti di affrontare tutte le problematiche di tale provvedimento. Sono questioni che hanno tanto a che fare con l'amministrazione nazionale quanto, ahinoi, e poi cercherò di entrare nel dettaglio, con un'architettura internazionale che da 49 anni regolamenta la presenza nel mondo, nel tentativo di controllarla, delle piante, e dei loro derivati, che possono produrre sostanze sicuramente tossiche (le cosiddette droghe e le sostanze stupefacenti) ma, allo stesso tempo, medicine e per l'appunto tutti i derivati che in parte sono già utilizzati nella cura del dolore.

Nel 1961 la comunità internazionale adottava la prima Convenzione delle Nazioni Unite per il controllo delle sostanze psicotrope, nella quale dove però in maniera arbitraria si elaboravano quattro tabelle che mettevano sotto strettissimo controllo tanto le piante quanto i derivati. Ne deriva quindi che la canapa indiana, il papavero e la foglia di coca sono trattate alla stregua dei loro derivati, sia che si tratti di derivati fortemente tossici sia che si tratti di derivati da cui si possono produrre anche delle medicine. Tale architettura, che poi con gli anni è stata ulteriormente rafforzata con altre due Convenzioni, nel 1971 e nel 1988, che hanno ulteriormente ristretto l'ambito in questione, è stata poi declinata a livello nazionale con l'incorporazione di queste norme nei vari Stati che hanno ratificato i documenti.

L'Italia - ahinoi! - alla fine degli anni Ottanta adottò la famigerata legge Iervolino-Vassalli, una delle più proibizioniste del mondo che però - unico caso al mondo - nel 1993, grazie ad un referendum dei radicali fu fortemente emendata per porre rimedio ad un regime che secondo noi non soltanto ledeva fortemente la libertà di scelta degli individui, ma allo stesso tempo poneva anche molti limiti a tutta una serie di possibili riduzioni del danno; in quel caso non si parlava di cure palliative ma di tossicomania, che il proibizionismo ha sempre portato con sé.

Le Nazioni Unite, dopo aver adottato questi tre documenti, hanno creato anche un'agenzia specifica, che ha sede Vienna e che l'Italia negli ultimi 25 anni ha sempre diretto con varie personalità (oggi c'è l'economista Enrico Maria Costa), che cerca, da una parte, di farsi garante delle Convenzioni e, dall'altra, insieme alla Giunta internazionale per le sostanze stupefacenti, di regolamentare quanto è possibile all'interno delle convenzioni, e cioè una produzione sia delle piante che delle sostanze raffinate per fini medici e scientifici, tra i quali rientrano chiaramente sostanze come la morfina, la codeina ed i derivati della canapa indiana e della foglia di coca.

Nel 1960 (se dovessimo rimanere a uno degli analgesici più potenti, cioè la morfina) il papavero veniva prodotto in due Stati: la Turchia e l'India. Al momento in cui si decise di regolamentare la presenza di queste piante nel mondo si fece la fotografia e si disse che l'80 per cento della produzione mondiale di questa pianta doveva comunque rimanere possibile in questi due Stati e che le quote eccedenti potevano essere distribuite in giro per il mondo. Si fecero avanti l'Australia (forse non tutti sanno che l'isola della Tasmania è il più grande produttore di papavero che poi viene utilizzato per l'oppio), ma anche l'Europa: in alcuni Paesi dell'ex blocco del Patto di Varsavia, come l'Ungheria o la ex Cecoslovacchia il papavero fa parte della cultura alimentare locale; anche in Spagna e in Francia è consentito produrlo per farne poi morfina e codeina.

Stiamo parlando però del 1961 (ricordo la Baia dei porci; da poco, poi, si era entrati nello spazio) e su quei dati - la cui elaborazione, ahimé, era chiaramente relativa alla disponibilità di dati che potevano essere condivisi in un mondo diviso dalla Guerra fredda - si è tarato un sistema che, a livello centrale, la Giunta internazionale per il controllo delle sostanze stupefacenti da Vienna cercava di governare, o quantomeno di far rientrare all'interno dell'architettura legale nata con la Convenzione del 1961. Quindi stime, molto spesso stime di stime, perché sappiamo che nel 1961 - ma anche oggi - un terzo dei Paesi facenti parte delle Nazioni Unite non possono essere considerati, non dico democrazie, ma Stati efficienti dal punto di vista amministrativo. Pertanto, i dati forniti dal Ministero della salute al Presidente del Consiglio e inviati quindi alle Nazioni Unite sono, se non fallaci, molto spesso inesistenti: Paesi come l'Arabia Saudita, ad esempio, non forniscono alcun tipo di dato alle Nazioni Unite, e lo stesso dicasi per tutta l'Africa subsahariana. Allo stesso tempo, credo che sia impossibile ritenere che in quei Paesi non esista il dolore o, addirittura, che non esistano quelle poche sostanze che possono essere utilizzate per la cura dello stesso.

Questa architettura, che la Giunta internazionale per il controllo delle sostanze stupefacenti (INCB) cerca di gestire, stabilisce le quantità che legalmente possono essere prodotte nel mondo, sulla base dei dati che vengono forniti dagli Stati a Vienna. Tale meccanismo è definito di domanda legale, alla quale deve corrispondere necessariamente un'offerta legale di quantità pressoché simili, salvo delle piccole eccedenze che possono essere stoccate in luoghi che sono molto più vicini a delle basi militari che non a dei veri e propri magazzini: stiamo parlando infatti di sostanze che, se deviate in alcuni contesti e ulteriormente raffinate, possono sicuramente diventare sostanze tossiche anche letali, come per esempio l'eroina.

Se tutti i Paesi del mondo, attraverso un processo legislativo come quello che entro le prossime settimane speriamo di portare a conclusione, dovessero andare nella direzione di rendere molto più facile la prescrizione di analgesici derivanti dalle sostanze catalogate nelle tabelle della Convenzione ONU del 1961 sulle sostanze psicotrope, è chiaro che la domanda reale di analgesici derivati da queste sostanze crescerebbe esponenzialmente, a fronte però della domanda legale, quella cioè che viene quantificata dalla Giunta sulla base dei dati forniti, che vengono elaborati e trasferiti poi a Vienna.

Credo che tutto questo debba essere tenuto in conto, non perché siano dei ragionamenti astrusi, ma perché se un domani l'Italia dal 150° posto - qual era l'ultima volta che ho controllato le classifiche relative alla disponibilità di cure palliative nel mondo - dovesse salire al 10°, al 15° o al 20°, vorrebbe dire che decuplicherebbe la nostra domanda reale e quindi - visto e considerato che abbiamo un'amministrazione pubblica che funziona - conseguentemente la domanda legale di oppiacei, ma anche di derivati dalla canapa e un domani, chissà, anche di derivati dalla foglia di coca, perché questo non è che un primo passo verso una direzione che può rendere sempre più possibili e diffuse queste sostanze nel nostro Paese. La nostra domanda magari centuplicherebbe, perché in effetti oggi, ahinoi, si soffrono ancora le pene dell'inferno quando si sta male, non potendosi avere accesso alla morfina, che è invece consentito negli Stati Uniti d'America.

Cosa farà l'Italia a quel punto? A me non pare di aver scorto in questo provvedimento - ma magari misure in tal senso potranno essere adottate successivamente - una modifica della legge che regolamenta la possibilità per l'Italia attraverso il meccanismo internazionale di approvvigionarsi di una quantità di morfina che va ben oltre la soglia posta alla legge attuale.

Se noi oggi parliamo di "x" e l'anno prossimo dovessimo parlare di "x al quadrato" o "x al cubo", non so se l'Italia legalmente riuscirebbe facilmente ad approvvigionarsi di queste sostanze senza mettere mano alla legge nazionale che le consente di comprare più morfina rispetto a quella prevista per l'anno in corso in una percentuale del 10 per cento (così mi pare dica la legge). Comunque, si troverebbe sicuramente sbilanciata all'interno dell'Unione europea e all'interno delle Nazioni Unite in questo boom di domanda di sostanze oppiacee.

Tutto questo dev'essere preso in considerazione e mai però è emerso nel dibattito che è stato fatto in Commissione in maniera un po' affrettata, visto e considerato che ieri è stato concluso alle ore 15,30 e abbiamo avuto cinque ore scarse per preparare i documenti.

È un peccato che non sia in Aula il sottosegretario Mantica, perché questo ha a che fare con la nostra presenza all'interno dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine di Vienna e avrà a che fare magari, se l'Italia riterrà di prendere in considerazione questi nostri suggerimenti contenutinelle cinque pagine di ordine del giorno che ho preparato insieme alla senatrice Poretti, con la 53a sessione della Commissione droghe di Vienna che si terrà a metà marzo. È lì che la questione va sollevata dicendo che quanto era stato fotografato nel 1961, 1971 e 1988 dalle Convenzioni internazionali oggi non vale più per tanti motivi, e non perché si vogliano legalizzare le droghe (anche se noi, antiproibizionisti radicali, le vogliamo legalizzare per regolamentarle: ma questo è un altro tipo di problema), ma perché si ritiene che la quantità di piante e loro derivati prodotti per uso medico e scientifico debba essere aumentata.

In Italia, per consentire questa presenza legale e regolamentata, abbiamo cambiato nei mesi di gennaio e febbraio la nostra legge e, quindi, da domani l'Italia vuole avere una quantità di sostanze per la cura del dolore pari a quella degli Stati Uniti. Questo va a sconvolgere gli equilibri a livello internazionale.

Non è che noi abbiamo una risposta dal punto di vista tecnico, ma abbiamo una proposta dal punto di vista politico che abbiamo già fatto negli anni scorsi a livello formale e che nella XV legislatura fu fatta propria dal Governo Prodi per essere portata alle Nazioni Unite. Posto appunto che però va sollevato il problema della modifica di questo meccanismo che bilancia le quote legali di produzione, di acquisto e distribuzione dei derivati delle sostanze contenute nelle convenzioni delle Nazioni Unite, occorre andare a trovare nel mondo chi possa fornirle qualora tutti gli altri 26 Stati dell'Unione europea dovessero adottare una legislazione simile alla nostra.

In effetti, i Paesi nordici già l'hanno adottata e lì, ora, è più facile essere curati con morfina e codeina, ad esempio. In alcuni Stati, inoltre, si iniziano ad utilizzare i derivati della canapa indiana (e noi abbiamo presentato anche degli emendamenti in questo senso). Negli Stati Uniti 14 Stati su 50 ormai hanno legalizzato la marijuana come medicina. Si sta quindi creando un movimento, finalmente, non di opinione pubblica o politica, ma di buon senso che, riconoscendo queste piante e i loro derivati come medicine, dice di utilizzarle come tali perché fanno del bene e addirittura cancellano il dolore.

Noi riteniamo, in maniera non provocatoria, ma per il governo di un fenomeno che ha, se non altro, due aspetti, quello delle cure palliative e quello geopolitico e geostrategico, che l'Italia, proprio in vista della Conferenza che si terrà a Londra il 28 gennaio sull'Afghanistan, di concerto con gli altri partner europei, debba assumersi la responsabilità di proporre la possibilità di trasferire nel mercato legale tutto l'oppio che viene prodotto in Afghanistan; altrimenti si è certi (checché ne dicano gli ex zar antidroga come l'europarlamentare dell'Italia dei Valori Pino Arlacchi, qualcuno che è stato sospeso dalle Nazioni Unite per la sua mala condotta, o anche l'attuale direttore dell'ufficio di Vienna, dottor Costa, che ritiene che la situazione sia sotto controllo) che questo altro oppio verrà trasferito nei laboratori che sono presenti in Afghanistan e nei Paesi limitrofi, trasformato in eroina per essere poi sicuramente venduto nelle ex Repubbliche sovietiche e in Europa. Si compri, quindi, si stocchi e si elabori quel derivato del papavero in morfina e codeina e tutti gli altri analgesici oppiacei.

Mi avvio alla conclusione del mio intervento sottolineando - per chi fosse ulteriormente curioso di avere dati elaborati non da noi ma dalla Nazioni Unite - che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità l'80 per cento degli oppiacei prodotti nel mondo viene utilizzato da dieci Paesi. Pertanto, su poco più di sei miliardi di persone, neanche un decimo ha accesso facile a questo tipo di cure; il resto del mondo patisce. Potrebbe farvi parte anche l'Italia: nel nostro Paese, però, anche prima del provvedimento in esame, con un minimo di sforzo si poteva avere la fortuna di ottenere un'iniezione che calmava il dolore. Si tratta di persone che hanno un tumore, che hanno subìto un incidente o un cataclisma naturale. In ogni caso, vi sono Paesi nei quali questa possibilità non esiste, magari perché non vi è neanche un'amministrazione o uno Stato oppure perché, qualora questo esista, è povero e non può permettersi cure palliative.

Allora, se oggi l'Italia (così come il resto dell'Europa) non modifica la legge e si fa promotrice anche nei Paesi con i quali intrattiene rapporti di aiuto e cooperazione allo sviluppo di modifiche legislative o addirittura di aiuti umanitari, in virtù del nostro tradizionale impegno nei Paesi poveri, specialmente nel settore della sanità, è chiaro che il sistema non regge più. Dunque, se ci si fa promotori delle terapie del dolore, credo che nello stesso tempo ci si debba assumere la responsabilità delle modifiche legislative.

Nell'ordine del giorno G103, che viene illustrato oggi ma che probabilmente verrà discusso la prossima settimana, chiediamo che tutto ciò venga preso in qualche modo in considerazione. Vi risparmio tutte le premesse e mi limito a leggere quello che chiediamo al Governo. Tra l'altro, considerato che negli ultimi giorni il mondo è - ahinoi - bombardato dalle drammatiche e tragiche notizie provenienti da Haiti, l'Italia, che promette alle Nazioni Unite di sostenere alcune iniziative ma non sempre mantiene la parola data, dovrebbe attivarsi, a parte l'invio delle portaerei, anche con contributi alle agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di questo. Ne esiste una, in particolare, che si chiama United Nations Central Emergency Response Fund.

Chiediamo, dunque, al Governo che mantenga gli impegni assunti relativamente al contributo per quell'agenzia, alla quale peraltro vanno a finire le richieste di analgesici. Chiediamo inoltre, che il Governo prenda in considerazione in termini strategici le raccomandazioni avanzate dal Parlamento europeo nell'ottobre 2007 circa la possibilità di lanciare progetti pilota di coltivazione di papavero per la produzione di analgesici (in particolare in Afghanistan); persegua politiche che, tenendo conto del contesto nazionale afgano, non avviino l'estirpazione forzata delle colture per non contribuire a creare ulteriori situazioni di conflitto con la popolazione civile, in particolare con le migliaia di contadini che lavorano nel settore della produzione di papavero (si tratta del 16 per cento della popolazione afgana); iscriva finalmente all'ordine del giorno della 53ª sessione della Commissione ONU sulle droghe dell'8-12 marzo prossimi la necessità di rivedere in sede multilaterale il meccanismo che alloca le quote di produzione legale del papavero per oppiacei ipotizzando l'inclusione dell'Afghanistan tra i Paesi che oggi coprono la cosiddetta domanda legale internazionale.

Questi temi purtroppo non sono rientrati perché il dibattito è stato svolto prevalentemente in Commissione igiene e sanità nelle settimane scorse, ma - a nostro avviso - dovrebbero essere posti al centro dell'iniziativa politica, non solo nazionale, ma anche multilaterale dell'Italia. Infatti, un'esplosione di domanda reale, e quindi legale, a livello nazionale inciderebbe sugli equilibri internazionali. (Applausi dei senatori Poretti e Saia).


...

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Poretti. Ne ha facoltà.


PORETTI (PD). Signor Presidente, questo suo accenno ai lavori mi sembra utile per avviare il mio intervento. Infatti, questo disegno di legge, che, ricordo a tutti, è uscito con un voto unanime dalla Camera dei deputati e, quindi, ritengo avesse ottime possibilità per vedere una corrispondente situazione di unanimità anche al Senato, ha però visto un iter che, secondo me, non ci fa onore come Parlamento.

Questo testo è stato assegnato alla Commissione sanità alla fine di settembre; tale Commissione si è evidentemente occupata, prevalentemente e ossessivamente, di un'unica questione, da settembre a dicembre, che è stata un'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva RU-486. Questo disegno di legge è stato pertanto accantonato; a dicembre l'abbiamo ripreso, fissato nottetempo il termine per gli emendamenti in Commissione, votati subito alla ripresa dei lavori, e ieri, l'ultimo atto - a mio avviso - di spregio alle istituzioni è stato che questo testo è uscito dalla Commissione alle ore 15,30 e alle ore 20 veniva fissato il termine per gli emendamenti per l'Aula. Io, che ho seguito i lavori in Commissione, ho visto in due giorni il testo cambiare radicalmente - non sempre in negativo, anche in positivo, ma comunque cambiare - in tutti gli articoli, ma non avevo il nuovo testo che è arrivato oggi in Aula; l'ho avuto soltanto ieri sera, alle ore 19, in Aula, quando dovevo intervenire sulla Relazione annuale del Ministro della giustizia. Pertanto, mentre ascoltavo il ministro Alfano, intervenivo e ascoltavo la sua replica, predisponevo gli emendamenti per l'Aula. Io che ho seguito tutto l'esame del provvedimento, dico fin da subito che avrei voluto proporre un emendamento per ripristinare l'articolo 10 così come uscito dalla Camera, che invece non troverete perché mi è sfuggito; è sfuggito a me che ho seguito i lavori in Commissione su questa materia dalla prima all'ultima seduta. Immagino dunque come possano intervenire nella discussione, o facendo uso degli altri strumenti che ha a disposizione il parlamentare (gli ordini del giorno, gli emendamenti), senatori che non hanno partecipato al dibattito in Commissione. Credo che nemmeno sapessero che ieri si fosse licenziato un testo e quindi non credo che ieri pomeriggio abbiano potuto presentare emendamenti.

Dico questo, poi, con una Commissione che non ha neppure svolto delle audizioni. Io stessa, che spesso le sollecito, non le ho richieste perché ritenevo che quel testo accolto all'unanimità dalla Camera non sarebbe stato stravolto dal Senato; gli interventi, invece, sono stati molti e forse allora qualche audizione sarebbe stata utile. Le uniche audizioni che sono state svolte (alle ore 8,30 della mattina) in Commissione sono state quelle di tecnici del Ministero della salute e di tecnici e funzionari del Dipartimento per le politiche antidroga.

Ora, è certo ottimo l'aver tenuto questo tipo di audizioni, di interlocuzione, ma credo che anche altre audizioni a questo punto sarebbero risultate utili. Lo dico riferendomi ad un particolare aspetto di questa legge, cioè la semplificazione della ricettabilità e della somministrazione dei farmaci antidolore e delle cure palliative anche a domicilio: quindi, chi e come può prescrivere, che è un punto nodale della diffusione, nella pratica, della possibilità di prescrivere per i medici. Abbiamo interpellato, ciascuno di noi, palliativisti e dottori che non conoscevamo per interpretare l'articolo 10 approvato dalla Camera e poi, alla fine, alle ore 15,30 di ieri, uscito dalla Commissione qui al Senato; ebbene, tecnici del settore che tutti i giorni hanno a che fare con queste leggi davano continuamente pareri differenti. Poi, magari, con dei colloqui, si riaccordavano, però che la materia non sia semplice credo che ci trovi tutti concordi, così il procedere ad interventi in cui si va a toccare un comma, una lettera, di un testo unico sugli stupefacenti che a sua volta nel corso degli anni è stato modificato crea una legge di difficile interpretazione.

Allora, io l'ho capita così (poi qualcuno mi smentirà e dirà invece che la mia interpretazione era sbagliata): secondo il testo della Camera tutti i medici, con qualsiasi tipo di ricettario (quello speciale per gli stupefacenti, quello rosso del Servizio sanitario nazionale e perfino quello bianco) potevano prescrivere perfino la morfina per via endovena, anche a domicilio. Certo, ci sono ricette che sono tracciabili: mi riferisco in particolare alla ricetta rossa e al ricettario speciale per gli stupefacenti. La ricetta bianca, invece, non è così tracciabile e allora la cautela che aveva introdotto la Camera era la seguente: il farmacista trattiene le ricette e poi le invia all'Ordine dei medici, da una parte, e all'ASL, dall'altra, per consentire di verificare se effettivamente un dato medico faccia "abuso" di ricette di morfina a domicilio, nel qual caso si potrebbero eseguire ulteriori controlli e verifiche.

Questo, a quello che ho capito io, era il testo della Camera. Quello che è uscito ieri pomeriggio alle ore 15,30 sinceramente non l'ho ancora ben capito, anche perché non ho avuto il tempo di rifare tutto quel giro di palliativisti e di esperti del settore che ne diano una corretta interpretazione. Mi pare di capire che si sia arrivati alla conclusione che la ricetta, oltre a quella speciale per stupefacenti, è anche quella rossa, cioè quella in carico al Servizio sanitario nazionale. Se così fosse si sarebbe fatto un passo indietro, perché non tutti i medici hanno il ricettario rosso e quello speciale. Vedo che già il Ministro mi fa segno di no con la manina: quindi, come vedete, siamo ancora qui a cercare di capire che cosa prevede questo testo, su cui ormai il termine per eventuali emendamenti è scaduto.

Quindi, mi affido al buon cuore, alla buona scienza del ministro Fazio, anche se non credo che un parlamentare si debba affidare e fidare di un Ministro, ma non perché io sono dell'opposizione e lui è della maggioranza, ma solo perché non credo sia questo il compito del legislatore, né tanto meno quello di fare leggi interpretabili; infatti, se il testo già è interpretabile qui, come era interpretabile in Commissione, mi immagino cosa potrà succedere quando la legge verrà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Si aprirà un dibattito su chi interpreta questo testo e se lo fa correttamente. Chiudo questa parte che rappresenta una sorta di intervento a carattere generale su come si fanno le leggi. Vorrei che le leggi che si approvano fossero veramente più chiare; mi sembra peraltro che vi sia stato un intervento normativo per cui nell'ambito di una legge non si possono prevedere rimandi a diecimila altre leggi, magari sopprimendone un comma, una lettera o un articolo, perché in tal modo non ci si capisce davvero più niente.

Aggiungo, tra l'altro, che questo provvedimento, esaminato solo presso la Commissione sanità, in quanto dovrebbe interessare il diritto alla salute e la libertà di terapia dei cittadini, in realtà prevede una parte corposa che fa riferimento al decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, vale a dire il Testo unico sugli stupefacenti. Non so se su questa materia, in qualità di componenti della Commissione sanità, eravamo sufficientemente competenti; forse sarebbe stato necessario anche il supporto della Commissione giustizia.

Per quale motivo poi in Italia siamo agli ultimi posti con riferimento alle terapie del dolore. È solo un problema culturale? Non credo che gli italiani provino piacere a soffrire, non soltanto nella fase terminale della loro vita, cosa che comporta terapie palliative, ma anche nei momenti gioiosi. È stato ricordato che il parto in Italia ancora avviene in maniera tribale, con le donne che urlano perché non possono essere assistite da interventi di analgesia. Questa continua a rimanere un miraggio, anche se non credo che le donne vogliano partorire con dolore, come recitava un testo antico: credo invece che il problema stia piuttosto nello stigma che viene messo su certe sostanze, per cui quando una sostanza finisce tra quelle proibite cui si fa riferimento nel Testo unico sugli stupefacenti, scatta un divieto che porta con sé una serie di conseguenze, a grappolo, dannose anche per usi diversi - in particolare quelli terapeutici - da quelli per i quali la sostanza era stata inserita nell'elenco del sostanze proibite.

È il problema di fondo delle tabelle contenute nel Testo unico sugli stupefacenti: se si vieta la sostanza, ma non l'uso della sostanza, nei fatti si mette lo stigma alla sostanza e se ne impedisce poi la diffusione, la promozione e quant'altro. Se questo è quanto avviene con la morfina, che perlomeno si chiama diversamente dall'eroina, anche se la pianta da cui hanno origine entrambe le sostanze è la stessa, è ancora più incredibile che ciò accada con la cannabis terapeutica. Utilizzare lo stesso termine forse non aiuta, per cui si potrebbe forse provare ad utilizzare il nome dei farmaci, quali il Sativex o il Bedrocan.

Nei fatti, l'avere origine da quella sostanza, da quella stessa pianta che esiste in natura e che si vieta per legge, porta con sé una serie di proibizioni dannosissime. Il fatto che questa nuova versione dell'articolo 10, di cui si stava parlando, suggerisca che il Ministero della salute per spostare una sostanza tra le varie categorie - quelle maggiormente proibite, quelle meno proibite o quelle proibite, ma alle quali viene riconosciuta un'attività farmacologica - debba sentire il Consiglio superiore della sanità - ed è giusto - ma, anziché sentire l'Istituto superiore di sanità, debba sentire il Dipartimento delle politiche antidroga, sia già di per sé un segnale davvero negativo.

Non credo, infatti, che il Ministero della salute operi a favore degli spacciatori, a meno che si abbia una mala visione del medico che spaccia farmaci o sostanze che creano dipendenze nei pazienti. Sulle dipendenze potremo poi intavolare un altro discorso, dal momento che si sentono rivolgere critiche perfino in merito a somministrazioni troppo prolungate di morfina o di altro perché in un malato terminale - non è ironico - possono creare una dipendenza. A parte il fatto che affermazioni così grottesche fanno venire i brividi o addirittura sorridere, credo che in questo punto risieda molto della problematica dell'argomento al nostro esame.

Quanto alla cannabis terapeutica o ai farmaci a base di principi attivi presenti nella pianta della cannabis, ne esistono molti per curare ed alleviare una serie di dolori importanti legati espressamente - faccio un breve elenco - alla terapia del dolore neuropatico, del dolore tumorale, dell'emicrania, della sindrome di Tourette, dei glioblastomi e dell'artrite reumatoide. Premetto che sono oltre 17.000 gli studi al riguardo; non si parla di gente che si fa uno spinello e alla fine sostiene che gli ha fatto passare il mal di testa, ma si parla di riviste scientifiche. Tengo ancora una volta a separare le cose e a sottolineare io stessa quanto spesso esse si possano intersecare. Secondo studi scientifici, riviste scientifiche riconosciute dalla comunità internazionale e oltre 17.000 studi, queste terapie aiutano e per le malattie che sto per elencarvi possono aversi delle ricadute positive attraverso i principi attivi della cannabis. Esse sono: malattie infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohn, colite ulcerosa); tumorali; lesioni midollari; malattie neurodegenerative (morbo di Alzheimer, corea di Huntington, morbo di Parkinson); epilessia; malattie autoimmuni (lupus eritematoso); sindromi ansioso-depressive; patologie cardiovascolari (ipertensione arteriosa, aterosclerosi); sindromi da astinenza nelle dipendenze da sostanze da abuso (alcool e fumo).

Ne aggiungo un'altra. Recenti studi hanno dimostrato l'utilità dell'applicazione dei derivati della cannabis nella cura dello stress post-traumatico che colpisce frequentemente i militari di ritorno dalle zone calde di guerra e che subiscono traumi per combattimenti ed attentati terroristici. Da qualche anno il Governo israeliano sta utilizzando questi principi per i propri militari, e credo che ciò sia utile a separare nuovamente gli usi diversi che possono essere fatti di una sostanza che deriva da una pianta esistente in natura.

Gli studi compiuti ci sono di aiuto e ci riportano alla situazione italiana. Prima del 2007, tutto quello che riguardava la parola cannabis e i suoi derivati era contenuto nella tabella 1 della normativa sugli stupefacenti, e quindi meramente proibito. Nel 2007 l'allora ministro Livia Turco fece un'operazione davvero saggia, razionale - non saprei come definirla - logica. Decise che il cannabis delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) dovesse essere inserito nella tabella 2. Gli studi stavano a testimoniare che aveva effettivamente una riconosciuta attività farmacologica. Dopodiché siamo in uno stato di limbo, per cui a quel principio è riconosciuta un'attività curativa medica, ma esso non viene prodotto in Italia, nel senso che nessuna azienda ha chiesto di fare la produzione. Nei fatti, quei pazienti che vogliono utilizzare farmaci a base di detto principio devono sentire il proprio medico, passare attraverso l'ASL, seguendo un iter burocratico davvero complicato e alla fine importarlo dall'estero.

Questo avviene per terapie che non durano più di due mesi. Faccio un esempio pratico: una persona va dal medico, avvia tutto questo iter, che va pure a buon fine, e si vede recapitare per due mesi a casa un farmaco, che costa sul mercato intorno ai 50 euro, ad un costo di circa 500-600 euro. Questo aggravio di spesa deriva semplicemente dai costi dell'importazione. In alcuni casi ci sono pazienti fortunati, pochissimi in Italia, che appartengono ad alcune ASL che hanno deciso di rimborsare tale farmaco; i meno fortunati si trovano invece, dopo un paio di volte, a desistere da questa pratica. Se per un farmaco che costa 50 euro devo spenderne 500 al mese diventa difficile e diventa ancor più difficile quando quella stessa sostanza la si trova all'angolo della strada ai soliti 50 euro.

Pensiamo, per esempio, al Bedrocan (che altro non è che la puntina della pianta della cannabis, e che è prodotto dal Ministero della sanità olandese): se io lo compro attraverso questa procedura mi costa 600 euro; se io quella stessa pianta la coltivo a casa finisco in carcere per coltivazione illegale di stupefacenti. Uno Stato che però mi spinge a fare ciò indotta dal bisogno economico (a fronte di un costo pari a zero dell'autoproduzione in casa, se si vuole acquistare la stessa sostanza attraverso le vie legali occorre spendere 600 euro al mese) non credo sia uno Stato che guarda al benessere dei cittadini e che tutela il diritto alla salute e la libertà terapeutica, ma uno Stato di tipo criminogeno, cioè che mi porta a commettere un reato, un illecito, in alcuni casi amministrativo. Se infatti, invece che coltivare tale sostanza, me la compro dallo spacciatore, allora vengo "solo" segnalata al prefetto per una contravvenzione.

Ho finito il tempo a mia disposizione e qui termino, appellandomi al Parlamento, anzitutto affinché siano rivisti, se possibile, i termini per la presentazione degli emendamenti, visto che non votiamo il disegno di legge oggi ma la prossima settimana, e poi per invitare tutti ad eliminare per davvero gli schemi ideologici: è assurdo vietare le sostanze, comporta solo effetti negativi sui pazienti; regolamentiamone l'uso. (Applausi del senatore Perduca).