21/09/14

Verso Vienna 2015

Conferenza Latinoamericana sulle politiche per le droghe, in San José, Costa Rica

“Sintesi finale
L’America Latina ha una propria voce e cerca di essere protagonista nella trasformazione di un percorso che fino ad ora ha portato solo guerra, violenza e la criminalizzazione dei settori più deboli dei nostri popoli”. Con questa frase del Coordinatore Generale del Comitato organizzatore, Pablo Cymerman, si potrebbe riassumere la prospettiva che ha concluso questa V^ Conferenza Latinoamericana sulle politiche per le droghe, realizzata in San José, Costa Rica, organizzata dalla Confederazione CONFEDROGAS e l’organizzazione locale ACEID.
Due giorni di intenso dibattito, con la partecipazione delle più alte autorità del paese ospite e funzionari dei governi della regione, dei rappresentanti delle principali agenzie delle Nazioni Unite e della Organizzazione degli StatiAmericani, OEA, dei principali esperti e attivisti della società civile, hanno reso chiaro che l’America Latina cerca di dirigersi verso un cambiamento di paradigma nelle politiche sulle droghe, che rispetti i diritti umani, che consideri i consumatori di droghe come soggetti di diritto e affronti il consumo problematico di droghe facendone una questione di salute pubblica. E stata sollevata anche la necessità di avanzamenti nelle politiche di regolamentazione del mercato delle droghe.
Gli Stati della regione saranno presenti, con le conclusioni della V^ Conferenza, nella Assemblea Generale Straordinaria dell OEA sulle droghe, che avrà luogo il 19 settembre in Città del Guatemala.
Più di 500 partecipanti arrivati da tutti i paesi della regione hanno riempito il salone principale dell’Hotel Radisson per seguire attentamente lo svolgersi delle commissioni e parteci pare ai numerosi eventi satelliti nell’incontro più importante dell’America Latina riguardo alle politiche sulle droghe. Ha avuto incarico di pronunciare le prime parole Celso Gamboa, Ministro della Sicurezza in Costa Rica, che ha aperto la conferenza in nome del presidente di Costa Rica, Luis Guillermo Solís. “Gran parte della lotta contro il narcotraffico ci porta alla criminalizzare la povertà”, ha sottolineato, rimarcando che si debbono concentrare gli sforzi contro quelli che maneggiano i capitali economici”. “Abbiamo combattuto la violenza con la violenza e il risultato non è stato utile se non a generare più violenza ancora. Il Ministro ha detto che “il Parlamento sta discutendo della legalizzazione della cannabis a fini terapeutici, questo dimostra che siamo un paese aperto alla discussione e permeabile alle nuove idee”; ha poi concluso: “dobbiamo rifondare le strategie con uno sguardo alla sanità pubblica ma anche alla questione economica, è ora di finirla con la punizione come soluzione a questo problema. Se non ci concentriamo sulla prevenzione raccoglieremo frutti avvelenati”.
Fonte: CONFEDROGAS


20/09/14

Aggiornamenti dalla Cina

Le prime notizie sono uscite intorno a metà agosto, sul Beijing Times: l’attore Jaycee Chan, figlio della star del cinema di azione e di arti marziali di Hong Kong, Jackie Chan, fermato dalla polizia di Pechino e arrestato. Risultato positivo alla marijuana, il figlio del divo, 32 anni, noto in Cina come musicista, cantante e attore, è finito in manette insieme all’amico e collega taiwanese Ko Chen Tung, altro volto noto del cinema orientale. La polizia cinese ha rinvenuto nell’abitazione del figlio di Chan 100 grammi di marijuana, sufficienti a far scattare l’arresto avvenuto il 14 agosto scorso.  Jin Zhihai, direttore dell’Ufficio antidroga di Pechino, ha dichiarato: “Se c’è un giro di vite sulla droga, il numero dei trasgressori trovati in flagrante è destinato a salire anche tra le celebrità”.
La Cina è saldamente impostata su un percorso proibizionista e per l’opinione pubblica "i bravi ragazzi non usano droghe"; la società cinese è apparsa, o si è voluto farla apparire, sconvolta dalla notizia. Il presidente Xi Jinping ha dichiarato l'intenzione di "reprimere duramente" droghe, edonismo e stravaganza tra i ricchi cinesi, prendendo di mira deliberatamente l'industria del divertimento, un modo di rispondere alla insoddisfazione sul crescente divario di ricchezza nel paese; l'intenzione dichiarata è di eseguire arresti di alto profilo per dare un avvertimento alla società in generale, con un messaggo: Non importa chi tu sia, l'uso di droghe è inaccettabile.
La situazione dei tossicodipendenti in Cina è tristemente famosa e l'uso di droghe è affrontato come un problema legale, giudiziario e di polizia; la risposta primaria è una severa applicazione della legge. Eppure la Cina si trova ad affrontare una realtà sempre più difficile e a livello nazionale ci sono 2.580.000 tossicodipendenti registrati, ma il numero effettivo di persone che fanno uso di droghe illegali regolarmente è stimato in 12 milioni, al minimo. Eroina, droghe sintetiche come la metamfetamina, ecstasy e ketamina sono in aumento e la rapida crescita economica della Cina ha creato una vasta classe media, dove le droghe sintetiche sono sempre più popolari. L'uso di crystal meth è comune tra i lavoratori del sesso e i loro clienti (un documento 2009 ha stimato che fino a 10 milioni di lavoratori di sesso femminile in Cina vedono regolarmente oltre il sei per cento della popolazione maschile di età compresa tra i 20 ei 64 anni). Il numero di infezioni da HIV è sconosciuto, ma come sempre laddove non sono attivi i principi della riduzione del rischio, e di un trattamento sanitario invece che poliziesco, la diffusione di HIV, AIDS, epatite C ecc. è ben più alta che nei paesi che ne riconoscono invece la validità. Sempre nel 2009, comunque, un rapporto del governo cinese ha ammesso l'HIV / AIDS come causa principale del paese di morte tra le malattie infettive.
Il possesso di droga per uso personale è tecnicamente classificato come un reato amministrativo minore in Cina, ma la punizione è molto dura lo stesso, una multa e fino a 15 giorni di “detenzione amministrativa”; la pubblica sicurezza può inviare coloro che sono ritenuti tossicodipendenti in un centro di disintossicazione obbligatoria per un massimo di tre anni, e fino a tre anni successivi di "riabilitazione alla comunità." In tutto, sei anni di detenzione, sanzione che può essere imposta anche esclusivamente a discrezione della polizia, senza passare attraverso un tribunale. La politica cinese mira a rilevare e a schedare i consumatori di droga, ma prevede un trattamento molto limitato per le persone che sono dipendenti.
La politica della Cina gira ancora intorno ai centri di disintossicazione obbligatorie; anche se il paese ha abolito la rieducazione attraverso il lavoro, esiste una rete di 300 campi per la punizione di una serie di reati minori e dissenso politico e alcune ex strutture di campi di lavoro sono ora semplicemente stati trasformati in centri di disintossicazione obbligatori.
Un ultimo  aggiornamento sul caso Jaycee Chan è uscito su El Universal del 18 settembre:
“PECHINO - Jaycee Chan, il primogenito dal famoso attore di arti marziali Jackie Chan, è stato formalmente arrestato con l'accusa di droga, quasi un mese dopo che la polizia lo ha sorpreso a fumare marijuana a Pechino.
I procuratori del distretto Dongcheng di Pechino hanno confermato l'arresto di Jaycee Chan, con l’accusa di "ospitare tossicodipendenti", un reato che può costare fino a tre anni di carcere, secondo quanto ha pubblicato oggi la stampa locale. La conferma dell ’arresto significa che il caso  Jaycee sta progredendo. Ora le autorità dovranno decidere se imputarlo penalmente.  Jaycee Chan, 32 anni, è stato arrestato dalla polizia il 14 agosto con il suo amico e attore taiwanese Ko Chen-tung, 23 anni, conosciuto anche come Kai Ko, in un centro per il massaggio ai piedi di Pechino.
Le forze di sicurezza hanno sequestrato più di 100 grammi di marijuana a casa di Chan, e l'operazione di polizia effettuata a casa del figlio di Jackie Chan ha portato ad accuse più gravi di quelle contestate a Kai Ko, stella del cinema, recentemente apparso in una campagna anti-droga. Le autorità hanno punito Ko con una “detenzione amministrativa” di 14 giorni dopo che ha ammesso di aver usato marijuana e dopo il rilascio, l'attore taiwanese ha tenuto una conferenza stampa con i suoi genitori e il suo agente per scusarsi del suo comportamento.
Il famoso attore e padre del detenuto, Jackie Chan, è stato nominato "Ambasciatore per la droga" nel 2008 dalle autorità cinesi, e ha chiesto scusa per il suo primogenito, pubblicamente, ed ha espresso la volontà di aiutarlo nel suo recupero. Chan padre è uno dei più popolari attori  in Oriente e in Occidente, grazie soprattutto ai suoi film d'azione e di arti marziali, come "Die Hard", "Supercop", o il recente remake di "Karate Kid". Suo figlio, conosciuto anche con il nome mandarino, Fang Zuming ha recitato in diversi film in Cina e Hong Kong, e ha dato voce a uno dei personaggi della serie animata "Kung Fu Panda".
Il suo arresto e quello dell'attore taiwanese fanno parte di una campagna anti-droga che Beijing City ha lanciato quest'anno e finora ha portato all'arresto di oltre 7.800 persone, tra cui celebrità come un altro famoso cantante cinese Li Damo, il regista Zhang Yuan o l’attore Roy Cheung.
Il consumo di droga, quasi completamente debellato in Cina ai tempi del maoismo (1949-1976), è tornato negli ultimi decenni, contemporaneamente allo sviluppo economico nazionale e droghe di sintesi, come la metanfetamina, sono particolarmente popolari nelle grandi città come Pechino e Shanghai, e tra i giovani consumatori ci sono personalità politiche, commerciali e artistiche del paese.”


18/09/14

Io non credo, di Claudia Sterzi. "Rovigo e dintorni"

Centro di Ricerca industriale, Rovigo. Canapa.
Io non credo. Non credo alla teoria del complotto, e a nessuna visione del mondo che preveda un gruppo di uomini, semialieni o rettili, che decidono le sorti del mondo e manipolano le menti; casomai, piuttosto, la società umana si riproduce quotidianamente secondo una logica di dominio e di potere che è insita nella natura stessa.
Eppure, a seguire le vicende della war on drugs nell' ultimo secolo, si ha davvero l' impressione che un complotto esista, un complotto che lega globalmente le politiche proibizioniste con i flussi del denaro nero, con la potenza della criminalità organizzata narcotrafficante, schiavista e terrorista, con il controllo della popolazione, la corruzione politica e militare, la violenza sociale e ambientale, l'incarcerazione di massa, e tutto quel che c'è di spregevole nella storia umana.
Non stupisce, quindi, che l' Italia sia destinata a rimanere una delle ultime Enclave del sistema proibizionista, data la forza e la diffusione delle mafie nazionali; in questa ottica l' annuncio dello Stato, di voler avviare la produzione di un farmaco cannabinoide, affidandone la coltivazione e la lavorazione ad un centro di ricerca ministeriale e a un istituto farmaceutico militare, è perfettamente in linea. Si accontentano le istanze “civili” in rivolta contro la preclusione all'accesso ai farmaci, una deriva proibizionista che, demonizzando una pianta, ne negava i benefici; si mantiene lo stretto controllo sulla ricerca chimica farmaceutica in campo di sostanze stupefacenti, affidata da sempre all'esercito; ci si dimostra democratici, semplicemente dando corso ad un diritto che era già in Costituzione dal 1946; si smonta la fragile costruzione della battaglia per il diritto all'autocoltivazione limitato ai malati, un assurdo politico costruito sul niente, perché il diritto, o la libera facoltà, all'autocoltivazione e all'autodeterminazione dei comportamenti privati è cosa che riguarda tutti i cittadini, e che tutti i cittadini devono combattere, se si vuole avere una speranza ancorché lontana di vittoria.
Dal punto di vista della lotta antiproibizionista, questa è una sconfitta ben mascherata, che ci rallegra solo per quei malati che legittimamente combattevano per un farmaco standardizzato, disponibile, accessibile; l'argomento cannabis terapeutica, altamente inflazionato nei temi antiproibizionisti, non ha più alcun valore, quando tra pochi mesi potranno andare in farmacia ed averlo, come qualunque altro farmaco. Inoltre è incoraggiante presentire come la canapa stia riprendendo il suo posto, di pianta utile e multiforme, non più associata soltanto con “droga” e “criminalità”, anche a “industria”, “economia”, “ricerca”, “eccellenza italiana”.
Da antiproibizionista apprezzo la scelta dell' Istituto farmaceutico militare, che ci mette al riparo da attacchi della destra ideologica, diffidente e polemica, chi più affidabili dei militari? J In ogni caso, l'avanzamento nel diritti ai farmaci cannabinoidi sgombra il campo e lo chiarisce. 
La lotta per la libera coltivazione domestica, sostenuta da un movimento mondiale che vede nella libera coltivazione della canapa (e delle foglie di coca, per ora, ma ben presto anche del papavero da oppio, per il diritto alle terapie del dolore, o cure compassionevoli) il primo passo di un percorso di uscita dalla devastazione della war on drugs, dovrebbe proseguire con slancio, ora che è liberata dall'aspetto terapeutico, se non in una accezione di prevenzione, e, di nuovo, di autodeterminazione delle cure, diritti che riguardano tutti i cittadini e non solo alcune categorie, malati, tossicodipendenti, imprenditori, ecc.
Il secondo motivo che fa dell' Italia una Enclave proibizionista, dopo la forza delle mafie sul territorio e sul governo, è la litigiosità e la disunione dei movimenti antiproibizionisti. Da qui, come sempre, bisogna ripartire. Voce che grida nel deserto?


15/08/14

Aggiornamenti dagli States / Washington D.C.

Si svolgerà il 4 novembre 2014, in Washington D.C., il referendum "Question 71", una proposta che elimina ogni sanzione penale e civile per l'uso personale di canapa e per la coltivazione domestica, per i maggiori di 21 anni, che potranno usare di due once (56,8 grammi ca.) e coltivare fino a 6 piante, delle quali 3 in maturazione; sarabbe consentita, in caso di approvazione popolare, la cessione a titolo gratuito fino a un'oncia. La Question 71 annulla anche le sanzioni per l'uso e la vendita degli accessori per la coltivazione e l'uso.
Il forte movimento di opinione che due anni fa, nel novembre 2012, ha promosso e vinto i referendum in Colorado e Stato di Washington,  ha trovato solidi alleati nel mondo economico e prosegue nella sua crescita, dando il via a sperimentazioni locali di modelli alternativi alla war on drugs.
In Washington D.C. (District of Columbia) non può essere proposto un referendum che riguardi le materie fiscali, così non sarà possibile regolare per questa via la tassazione, come  avvenuto in Colorado.
La Question 71 prevede che i datori di lavoro non siano tenuti a consentire l'uso della canapa ai dipendenti, anche se fuori dal lavoro; in altre parole, sarà ancora consentito alle aziende di mettere in atto le loro politiche e i loro test antidroga.  
Maliziosamente, si fa notare che per i membri del Congresso il controllo non è in vigore, secondo un regolamento del 1997.
Il non facile compito di reintegrare una merce, che per anni è stata definita come "la porta d'ingresso per il tunnel della droga", in una economia legale, recuperando risorse e risparmiandone altrettante, si serve, in America del Nord, di un semplice e pragmatico slogan "regolarsi per la canapa come per l'alcool" , con un sguardo attento all'economia delle spese giudiziare e poliziesche e alle violazioni dei diritti umani e costituzionali compiute in nome di una guerra alla droga nata persa che si è traformata in una vera guerra alle popolazioni e spesso ai soggetti più deboli.
C.S.


In nome dei bambini, basta con la guerra alle droghe!





Più di 80 organizzazioni per i diritti civili, l’immigrazione, la giustizia penale, l’antirazzismo, i diritti umani, organizzazioni llibertarie e organizzazioni religiose, si sono riunite la scorsa settimana per lanciare un appello per la fine della guerra alla droga in nome della tutela dei bambini, un appello affrettato dalla crisi dell’immigrazione minorile di confine, ma consapevole del danno continuo recato dalle milizie antidroga e dalle politiche repressive ai bambini su entrambi i lati della frontiera.
“La qualità di una società può e deve essere definita da come vengono trattati i più deboli, a cominciare dai nostri bambini”, ha detto Asha Bandele di Drug Policy Alliance, l’organizzazione che coordina l’appello, “i bambini hanno tutto il diritto di aspettarsi che ci prendiamo cura di loro, li amiamo e li nutriamo fino alla maturità. La guerra alla droga è tra quelle politiche che hanno interrotto la nostra capacità di rispondere a tale aspettativa”.
Le organizzazioni e personalità di spicco come Michelle Alexander, autrice di The New Jim Crow, Mass Incarceration in the Age of Colorblindness, hanno firmato una lettera a favore di nuove politiche e della fine della guerra alle droghe.
Dice la lettera: “Nelle ultime settimane la situazione dei 52000 minori non accompagnati fermati alla frontiera degli Stati Uniti dallo scorso ottobre, molti dei quali in fuga dalla violenza della guerra alla droga nell’America centrale, ha pervaso la nostra coscienza nazionale. Le devastanti conseguenze della guerra alla droga non si sono fatte sentire solo nell’ America latina, hanno prodotto effetti qui a casa nostra. Troppo spesso i bambini sono in prima linea in questa guerra sbagliata che non conosce confini né di frontiera né di colore”.
Le organizzazioni che hanno firmato la lettera comprendono una vasta gamma di gruppi e rappresentano interessi e questioni diverse, ma sono uniti nel vedere la guerra alla droga come un ostacolo al miglioramento. Includono Black Alliance for Just Immigration, Center for Constitutional Rights, Institute of the Black World, Presente.org, Students for Liberty, United We Dream, William C. Velasquez Institute, Working Families Organization. Per la lista completa, click here.
Negli ultimi mesi più di 50000 minori in fuga da livelli di violenza mai raggiunti prima, da El Salvador, Guatemala e Honduras sono arrivati ai confini degli Stati Uniti cercando o di ricominciare una nuova vita o di riconnettersi con membri delle loro famiglie già nel paese. Le cause della violenza nell’America centrale sono complesse e storiche, ma una di queste è chiaramente la guerra alla droghe, pesantemente condotta ed esportata a livello globale negli ultimi decenni.
I paesi nel nord dell’ America centrale – il cosiddetto Triangolo del Nord – sono stati particolarmente colpiti dalla violenza legata al proibizionismo a partire dal 2008, quando, dopo che gli Stati Uniti ebbero aiutato il Messico  a gonfiare la guerra ai cartelli della droga attraverso i 2.4 miliardi si dollari dei finanziamenti  “Plan Merida” (il Presidente Obama ne chiede altri 115 milioni per il prossimo anno), i cartelli iniziarono ad espandere le loro operazioni negli stati più deboli dell’ America centrale. I livelli, già alti, di criminalità, schizzarono alle stelle.
La seconda città dell’ Honduras, San Pedro Sula, è in una dubbia concorrenza per vincere il tasso di omicidi più alto del mondo, mentre tre capitali nazionali, Guatemala City, San Salvador, Tegucigalpa, sono tutte nella top ten  mondiale. Molte delle vittime sono minori, spesso presi di mira per la loro appartenenza  a bande di strada affiliate al narcotraffico (o perché rifiutano di unirsi alle gang).
L’impatto della guerra alla droga sui bambini negli Stati Uniti è meno drammatico, ma non meno dannoso. Centinaia di migliaia di bambini americani hanno uno o entrambi i genitori dietro alle sbarre per reati legati alla droga; soffrono non solo l’emarginazione e il trauma emotivo di essere figli di carcerati, ma anche le conseguenze collaterali dell’ìmpoverimento e della instabilità familiare e della comunità. Altri milioni sono di fronte alla prospettiva di percorrere le strade americane dove, nonostante qualche recente ritrattazione sui più gravi eccessi della guerra alla droga, questa continua, rendendo alcuni quartieri posti estremamente pericolosi.
“Di fronte a questa tragedia che, come una spirale, continua a consumare sproporzionatamente le vite e il futuro dei bambini afro e latini americani”, conclude la lettera, “è imperativo metter fine alla nefasta militarizzazione e alle incarcerazioni di massa compiute in nome della guerra alle droghe. Molto spesso le politiche repressive sulla droga sono propagandate come misure per proteggere il benessere dei nostri bambini, ma, in realtà, fanno poco altro che non servire come una Messa a grave rischio per i bambini".
In nome dei minori, è l’ora di ridiscutere sulla guerra alla droga".
Sebbene il gruppo dei firmatari rappresenti interessi e zone geografiche diverse, unirsi sulla questione in comune della tutela dei minori potrebbe gettare le basi per una collaborzione più duratura, ha detto Jeronimo Saldana, il coordinatore legale e organizzativo di Drug Policy Alliance.
“L’idea era di mettere insieme la gente per fare una dichiarazione. Ora, dobbiamo capire come andare avanti. La lettera è stata il primo passo”, ha aggiunto.
“I gruppi sono stati molto positivi”,  ha proseguito Saldana, “Erano felici che qualcuno ne stesse parlando e che mettesse insieme il tutto. Quello che sta accadendo in America centrale e in Messico è collegato a ciò che sta succedendo nelle nostre città e comunità. Questo va oltre le linee partigiane, è davvero evidente che la politica fallimentare sulle droghe colpisce persone di ogni tipo, e l’immagine dei bambini ci rimane impressa.  Speriamo di costruire su questo un movimento. Vogliamo che la gente continui a fare questo tipo di connessioni”.
I diversi firmatari hanno missioni differenti, ma un paio di gruppi della California che hanno firmato la lettera forniscono esempi di come la guerra alla droga li abbia uniti.
“Siamo storicamente impegnati con i giovani coinvolti nel sistema della giustizia penale e con le loro famiglie, dice Azadeh Zohrabi, attivista nella sede di Oakland del Centro per i diritti umani Ella Baker. “Vediamo famiglie disperate che tentano di rimanere in contatto, famiglie forti, sane, ma l’incarcerazione di massa sta rendendo tutto molto difficile. Lavoriamo sia con famiglie che hanno figli coinvolti nel sistema penale, sia con famiglie con uno o due genitori in carcere, o che hanno perso la custodia dei loro figli a causa del loro coinvolgimento nella giustizia penale”, ha spiegato.
"Stiamo lavorando contro queste situazioni, e crediamo che la guerra alla droga globale abbia avuto conseguenze disastrose sulle famiglie, sia qui che altrove”, ha continuato Zohrabi. “le migliaia di miliardi gettate in azioni di polizia e militarizzazione hanno prodotto solo maggiore miseria. E’ tempo di trattare la questione delle droghe come un problema di salute pubblica e non come un crimine”.
“Noi abbiamo firmato perché la lettera è molto chiara nell’affrontare un importante parte del dibattito che non è mai venuta fuori”, ha detto Arturo Carmona, direttore esecutivo del Latino social justice group Presente.org. “Questa crisi alla frontiera non è il risultato di aver differito le iniziative contro gli arrivi di minori immigrati, come molti Repubblicani di destra vanno affermando, ma è il risultato di uno dei picchi più letali, di recente memoria,  di criminalità e violenza nel Triangolo del Nord”, ha argomentato.
“La violenza è una delle spinte maggiori, e quando parliamo di questo negli Stati Uniti, è fondamentale che riconosciamo questi fattori di spinta, molti dei quali sono connessi alla guerra alle droghe”, ha continuato Carmona. “Notiamo come i minori non provengano dal Nicaragua, paese che non abbiamo sostenuto nella guerra alla droga, ma da paesi che hanno avuto sostegno e consigli sulla guerra alla droga, dove abbiamo fornito armi. Questo è molto ben documentato”.
Anche se Presente.org è molto impegnato sul fronte dell’immigrazione, ha detto Carmona, non può sfuggire il ruolo della guerra alle droghe nel rendere tutto peggiore, non solo in America centrale e ai confini, ma anche dentro gli Stati Uniti.
“Siamo molto preoccupati di come i nodi vengano al pettine per il fallimento della nostra guerra alle droghe”, ha detto. “L’opinione pubblica americana ha bisogno di esser resa consapevole di questo e stiamo cominciando a vedere una maggiore comprensione del fatto che tale politica è fallita, non solo nel modo in cui si criminalizzano i giovani latino e afro americani qui negli Stati Uniti, ma anche nel modo in cui queste politiche affliggono altri paesi nostri vicini. Come dimostra il Nicaragua, il nostro mancato coinvolgimento ha fatto registrare un tasso di criminalità più basso. Il nostro coinvolgimento militare nella guerra alla droga è un fallimento abissale, come dimostrano i record di omicidi non solo in America centrale, ma anche in Messico”.

13/08/14

Tempi duri per i tossicodipendenti ucraini / 2

Già in marzo se ne era parlato: per i tossicodipendenti ucraini  di Crimea, l'accordo di adesione alla  Russia si preannunciava a tinte cupe, dato l'assoluto rifiuto, da parte russa, di prendere in considerazione quelle misure di riduzione del danno che incidono, in positivo, sulle percentuali di infezione da HIV, AIDS, epatite C e ogni altra malattia trasmissibile per iniezione.
Gli 800 tossicodipendenti da siringa in Crimea registrati (su un numero stimato di 14.000), in più, avrebbero dovuto far fronte alla sospensione dei trattamenti con il metadone. "Il metadone non è una cura " aveva dichiarato Ivanov, lo zar antidroga russo. "Praticamente tutte le forniture di metadone in Ucraina circolano sul mercato secondario e sono distribuite come stupefacente, in assenza di controlli adeguati. Come risultato, si è formato un mercato nero e viene scambiato a prezzi molto più alti. E' diventata una fonte di redditi per la criminalità."
A distanza di 5 mesi, un articolo su Verdad, un giornale on line spagnolo, ritorna sul tema. Di seguito la traduzione:

"Il processo di adesione della Crimea alla Federazione di Russia, all'inizio di quest'anno, sta avendo delle conseguenze molto negative per gli 806 eroinomani registrati nella penisola; con le leggi russe sono stati chiusi i centri che si occupavano di loro e che somministravano loro il metadone come trattamento per la dipendenza.
Con la legge ucraina i tossicodipendenti da eroina, in Crimea, ricevevano quelle che vengono chiamate "terapie sostitutive con oppiacei" (TSO), cioè il trattamento con il metadone, il più comune tra le TSO. Infatti, la comunità internazionale si era congratulata con l'Ucraina per i  suoi progetti relativi alle droghe, comprese le TSO e la distribuzione di siringhe, che avevano ridotto, dal 2009, drasticamente, i crimini e le morti in relazione con la droga, e la trasmissione di HIV.
Tuttavia, questo marzo, quando fu firmato l'accordo di adesione, il Direttore dei servizi federali antidroga russi, Viktor Ivanov, annunciò che il programma delle TSO sarebbe stato proibito in Crimea, e pertanto si imponeva alla regione di adottare la arcaica legge russa sulle droghe. Dopo tutto ciò, la Alleanza Internazionale contro l'AIDS ha reso nota, in luglio, la morte di almeno venti tossicodipendenti, dei quali almeno tre suicidi, da che i programmi sono stati dismessi.
Pavlo Skala, direttore del programma per l' Alleanza in Ucraina, prevede che molti più ne moriranno entro l'anno, e ne incolpa le politiche russe di disintossicazione e riabilitazione, che predicano una completa e immediata astinenza dall'uso di droga, senza tener conto della dipendenza fisica del paziente.
L'eroina è una delle droghe con maggior capacità di generare una dipendenza e quella che presenta i maggiori effetti negativi, tra le 20 droghe da abuso più diffuse. A fronte, le terapie di sostituzione con gli oppiacei sono, secondo l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), "uno dei trattamenti più efficaci".
La Spagna ha aperto i primi centri di trattamento con TSO e distribuzione di siringhe alla fine degli anni '80, quando presentava il tasso più alto, in Europa, di infezione da HIV fra i consumatori di droga, il 60%. Nonostante le critiche iniziali al programma, i numeri hanno dato ragione alla scelta fatta. Secondo l'OMS, il numero di nuovi casi di HIV tra consumatori di droga negli anni '90 era in media di 6200 l'anno, mentre nel 2010 la cifra registrata è stata di 620, cioè il 90% in meno in 20 anni. Cosa che, per l' OMS, "è rilevante per gli altri paesi nei quali le droghe illegali da iniezione siano un problema quotidiano, come, per esempio, nei paesi dell' Europa centrale e orientale".
Invece Viktor Ivanov affermava, nel 2011, che non ci sono "studi clinici che provino l'efficacia del metodo" dei trattamenti con TSO. Ma la Russia, per parte sua, registra il tasso di diffusione dell' HIV più alto del mondo, con più dell' 1% della popolazione infetta, secondo la Fondazione AIDS Est-Ovest".

12/08/14

Guerra alla droga e lotta di classe

Negli Stati Uniti, un Anti-Drug Use Act, del 1986, ha stabilito un trattamento distinto tra powder cocaine, cocaina in polvere, e rock cocaine, o crack, determinando di fatto una disparità di trattamento tra classi sociali. 
Come riporta un articolo uscito ieri sul Los Angeles Times, questo tipo di approccio "ha contribuito a portare avanti una cultura di intervento e riabilitazione come risposta appropriata all'abuso di droga e alla tossicodipendenza per le persone benestanti e per la middle class bianca, mentre nei confronti dei neri la pratica è quella degli arresti e della carcerazione. Fino dalla seconda metà degli anni '80 il numero di afroamericani rinchiusi per violazioni alle leggi sulla cocaina ha superato quello dei bianchi, nonostante che i neri siano il 15% della popolazione. Circa la metà degli arresti di neri sono dovuti a violazioni delle leggi sulle droghe, a fronte di una percentuale di meno di un quarto tra i bianchi. I neri vengono fermati e perquisiti di più, arrestati di più, condannati di più e condannati a pene più lunghe dei bianchi, anche se la maggior parte degli studi dimostrano e continuano a dimostrare la stessa percentuale di consumo e di mercato tra afroamericani e bianchi".
Il fatto che lo sballo da crack sia descritto da alcuni come più intenso, anche se più breve, di quello dovuto alla cocaina. non giustifica questa disparità di trattamento, e la presunta maggior dipendenza data dal crack si è presto rivelata una bufala.
Nel 2010 il Congresso si è reso conto del problema e con il Fair Sentencing Act ha attenuato, anche se non cancellato, la disparità delle pene.
L'articolo è riferito alla California, e invita ad un "esame di coscienza su droga, crimine, pene e razza", invitando i legislatori locali all'approvazione di un disegno di legge che recepirebbe il cambiamento di linea del Congresso; è comunque evidente, a chiunque approfondisca un minimo la cronaca sulla guerra alla droga nel mondo, l'accanimento contro i consumatori, i piccoli coltivatori e spacciatori, contro un'impunità concessa alle alte sfere del narcotraffico e ai loro complici in colletto bianco.    
C.S.

11/08/14

Aggiornamenti dagli States / Stato di Washington



Agli inizi di luglio, un anno e otto mesi dopo la vittoria del referendum che apriva la strada all'uso legale dell' uso cosiddetto ludico della cannabis, i primi 25 negozi al dettaglio di canapa legale hanno aperto nello Stato di Washington; in Colorado, l'altro stato pionere della legalizzazione per via refendaria, i negozi al dettaglio sono operativi da sei mesi.
Secondo il Seattle Post Intelligencer, ai primi 25 sono in procinto di aggiungersi molti altri nelle settimane e mesi a venire. Gli adulti, maggiori di 21 anni, potranno acquistare un’oncia (28.4 grammi): negozi autorizzati, che dovranno pagare le tasse e assicurare che il prodotto sia certificato e etichettato nel modo dovuto, potranno venderla.
Le prime licenze di coltivazione sono state rilasciate di recente, così che, si avverte, i prezzi potrebbero essere alti, e l’offerta limitata, in questi primi mesi di vendita legale.
Anche nello Stato di Washington la campagna si è svolta, e prosegue, con il ritornello "regolare e tassare come l'alcool"; sul piano economico, la resa dei conti indica nelle politiche proibizioniste un dissipamento di risorse pubbliche insostenibile, con risultati nulli e conseguenze dannose.             C.S.

20/05/14

5 premi Nobel per l'economia chiedono la fine della guerra alla droga


In molti, la settimana scorsa, hanno richiamato il recente documento, uscito dalla London School of Economics, e firmato, fra gli altri, da 5 premi Nobel per l'economia. Ma di che si tratta? Di seguito la traduzione della sintesi, di John Collins, contenuta nel documento stesso, che trovate qui in inglese e in spagnolo.






E’ in corso un importante sforzo per ripensare le politiche internazionali sulle droghe. 
Il fallimento delle Nazioni Unite nel raggiungimento del suo obiettivo “un mondo libero dalle droghe”, il persistere degli enormi danni collaterali causati da politiche sulle droghe eccessivamente militarizzate e orientate al controllo, hanno provocato un crescendo di appelli per porre fine alla “guerra alle droghe”. Per decenni, il sistema di controllo messo in atto dall’ ONU ha tentato di applicare un insieme uniforme di politiche proibizioniste, spesso a scapito di altre politiche presumibilmente più efficaci che comprendono aspetti complessivi di sanità pubblica e di gestione dei mercati illeciti.
Attualmente il consenso che sosteneva questo sistema sta andando in pezzi  e si delinea un nuovo percorso verso l’ accettazione del pluralismo nelle politiche globali, e di attenzione al come differenti politiche funzionino in differenti paesi e regioni.
In ogni caso, la domanda rimane la stessa: come possono, gli Stati, collaborare al miglioramento delle politiche globali sulle droghe? Questo documento si occupa di due punti specifici: il primo, la riallocazione drastica di risorse da politiche controproducenti e dannose a politiche di sanità pubblica e di efficacia dimostrata; il secondo, l’ applicazione di politiche monitorate rigorosamente e di regolamentazione sperimentale.
Gli Stati appaiono pronti per dar vita a una nuova varietà di risposte su questo tema, disegnate per soddisfare le diverse necessità nazionali e regionali. Affinché il multilateralismo continui ad essere rilevante, si dovrebbe trasformare da esecutore globale a facilitatore globale. In particolare, l’ONU deve riconoscere che la sua funzione consiste nel dare assistenza agli Stati nell’applicazione di pratiche ottimali basate sulla scienza e sull’evidenza, e non lavorare contro di queste. Se fosse necessario, potrebbe sorgere un nuovo ed efficace regime internazionale fondato sull’accettazione del pluralismo delle politiche. Se questo non accadesse, è probabile che gli Stati facciano unilateralmente i passi necessari e che vadano perse le opportunità di coordinamento internazionale che l’ONU permette di realizzare.
Questo documento inizia con l’analisi di John Collins sulla logica strategica che ha sostenuto le politiche sulle droghe durante l’ultimo secolo. Collins sostiene che l’ideologia di un “mondo libero dalle droghe”, che ha permeato la recente strategia internazionale, è stata sbagliata e controproducente, e che è necessaria una ristrutturazione fondamentale delle politiche e strategie nazionali e internazionali. Di seguito, Jonathan Caulkins suggerisce che gli attuali dibattiti sulle politiche sottostimino gli esiti del proibizionismo nel drastico incremento dei prezzi delle droghe e nella diminuzione della disponibilità delle droghe illegali nei paesi consumatori. Caulkins sostiene che il fine della proibizione non dovrebbe essere la eradicazione totale dei mercati maturi delle droghe, perché non è realista. Al posto di quello, il fine dovrebbe consistere nel far emergere le attività fuori dalla clandestinità e nello stesso tempo nel limitare i danni collaterali creati dal mercato. Tuttavia, questa analisi non si applica ai paesi produttori e di transito, laddove sono situati molti dei costi collaterali del proibizionismo.
Continuando in questa discussione, Daniel Mejía e Pascual Restrepo analizzano gli impatti negativi delle politiche proibizioniste sui paesi produttori e di transito. Mejía e Restrepo sostengono che i governi dell’ America Latina stanno rigettando sempre di più le politiche proibizioniste, perché deficitarie dal punto di vista operativo. Concludono con un appello a valutare le politiche sulle droghe in funzione dei risultati, e non delle intenzioni. Peter Reuter analizza l’evidenza sulla cosiddetta ipotesi dell’effetto “mongolfiera”, che postula come la proibizione o l’eradicazione della offerta in un area si limita a farla spostare in un’altra regione, “senza causare niente più che un inconveniente temporaneo ai suoi autori”. Reuter sostiene che questa ipotesi contiene, al minimo, alcuni elementi di verità e che è richiesta una cooperazione e una gestione effettiva a livello internazionale per mitigare gli effetti  dannosi di questo fenomeno.
Vanda Felbab-Brown analizza l’evidenza che circonda le politiche sul lato dell’offerta, così come sono state aggressivamente applicate negli ultimi decenni dagli Stati Uniti, e dai suoi soci, nei paesi produttori e di transito, indicando come le politiche di eradicazione e proibizione generalizzate non solo sono fallite ma hanno spesso dimostrato di essere tremendamente destabilizzatrici per questi paesi. L’autrice propone un cambiamento verso strategie centrate sulla dissuasione, la selezione degli obiettivi e delle azioni conseguenti di interdizione. Queste devono essere accompagnate da strategie di sviluppo economico effettivo e di sicurezza per la popolazione. Laura Atuesta analizza le carenze che affliggono le Popolazioni Sfollate Internamente (IDP, sigla inglese), generate dalla guerra alle droghe in America latina. Atuesta sostiene che i governi debbono implementare delle legislazioni che riconoscano l’esistenza delle IDP e che servano a garantire le loro possibilità di ritorno nelle regioni di origine, così come un risarcimento economico per i danni subiti. Sostiene che la legalizzazione da sola non risolverà questo problema, e che questa andrà accompagnata da sostanziose riconversioni delle spese attualmente impiegate per la sicurezza nelle area della sanità, dell’educazione e delle infrastrutture di trasporto.
Alejandro Madrazo analizza i costi costituzionali della “guerra alle droghe”, notando come molti dei cambiamenti di legge motivati da una migliore applicazione del proibizionismo siano consistiti in significative alterazioni dei sistemi costituzionali nazionali. Tali alterazioni includono la creazione di strumenti legislativi “eccezionali”. Madrazo sostiene che una volta creati tali strumenti, questi tendono ad ampliarsi e ad essere utilizzati per fini diversi da quelli stabiliti inizialmente, e che tali processi sono difficili da invertire. Continuando sul tema, Ernest Drucker analizza l’incremento esplosivo della carcerazione massiccia negli Stati Uniti dopo la dichiarazione di “guerra alle droghe”.  Drucker insiste che i sistemi penitenziari in grande scala rappresentano, attualmente, un importante fattore determinante per la salute della popolazione in generale. L’autore avverte che, anche se l’incarcerazione massiccia in relazione alle droghe  costituisce perlopiù un fenomeno statunitense, questo si va incrementando in molti paesi in via di sviluppo che stanno sperimentando una crescita dei mercati delle droghe.
Continuando con questa discussione sui risultati in termini di salute pubblica, e concentrandosi su quella che può esser una base per una strategia post “guerra alle droghe”, Joanne Csete analizza gli evidenti benefici dell’adozione di politiche di salute pubblica per gestire il fenomeno “droghe”. Sottolinea che i servizi di salute pubblica, per le persone che consumano droghe, producono risultati positivi e risparmio dei costi. Tali servizi, tuttavia, sono fortemente carenti di risorse. Csete propone che i governi incrementino in modo significativo questi servizi e garantiscano che le forze dell’ordine non ne impediscano l’accesso. Infine, portando l’attenzione sul ruolo della regolamentazione sperimentale in una strategia post “guerra alle droghe”, Mark Kleiman e Jeremy Ziskind analizzano il caso della cannabis, “la droga per la legalizzazione della quale sono in corso seri sforzi”. Essi sostengono che, per quanto si continui ad avere alcune incertezze su alcune questioni chiave, è importante permettere che le giurisdizioni implementino le proprie iniziative in un quadro di regolamentazione sperimentale per determinare quali politiche funzionino e quali debbano essere evitate. Propongono anche alcuni principi regolatori che possono formare una base affinché gli Stati inizino a considerare la regolamentazione della cannabis.

E’ arrivato il momento di sviluppare una strategia internazionale per il XXI° secolo. Questa necessiterà di un certo tempo per crescere. Tuttavia, il compito più urgente consiste nell’ assicurare una base economica solida alle politiche sulle droghe, riallocare le risorse internazionali e riassegnarle di conseguenza. Questo documento traccia una rotta per terminare, finalmente, la guerra alle droghe.

(Traduzione @.r.a.)

15/05/14

Che cosa non cambia con la nuova legge sulle droghe, cioè niente.

Nel mondo si discute sul fallimento della guerra alla droga; ne scrivono premi Nobel, economisti, scienziati, capi di Stato e di Governo, funzionari, artisti, cani e gatti e porci. Non nel Parlamento italiano dove si va avanti a decretazione di urgenza e svolte che fanno svoltare solo chi le promuove.
Così ieri è stato trasformato in legge il decreto Lorenzin; stesso strumento legislativo, sanzionato dalla Corte costituzionale non più tardi di tre mesi fa, stesso impianto proibizionista, stesse facce con in testa Giovanardi, nominato relatore in Aula ( N.B.: Presidente della Giunta per le autorizzazioni, Presidente del Comitato Parlamentare per i procedimenti di accusa, Membro della I Commissione Affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e Interni, Membro della II Commissione Giustizia, e, last but not least, candidato sindaco a Modena).
Che cosa non cambia? Scusate se per prima cosa rilevo che la coltivazione domestica di canapa resta un reato penale; e che, oggi come ieri e altro ieri, la stessa quantità di canapa, per uso personale, trovata in tasca o in casa, se deriva da un acquisto in piazza è illecito amministrativo, se coltivata in proprio è reato penale. Questo mentre si riconosce universalmente, anche se in Italia non ci se ne accorge, che un primo passo graduale di uscita dalla scellerata strategia persecutoria messa in moto 50 anni fa è esattamente la legalizzazione della coltivazione per uso domestico.
Grazie al referendum promosso dai radicali nel 1993, l’uso personale non è proibito, e non dà luogo all’arresto; però non vi crediate di passarla liscia, ancora oggi è possibile levarvi patente, passaporto, paternità, maternità, farvi perdere il lavoro, la famiglia, ridurvi un reietto della società, spedirvi in una comunità terapeutica, farvi analizzare tutte le settimane, imporvi l’obbligo di firma. E scusate se è poco.
Resta vietato, e dà luogo a sanzioni penali, coltivare, produrre, fabbricare, estrarre, raffinare, vendere, offrire o mettere in vendita, cedere o ricevere, a qualsiasi titolo, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare, procurare ad altri, inviare, passare o spedire in transito, consegnare per qualunque scopo o comunque illecitamente detenere, quantità che non sono ancora fermamente stabilite, e che potrebbero anche cambiare a sorpresa e a piacimento di questo o quel Governo.
Certo, le pene per quanto riguarda la cannabis sono diminuite, se erano previsti dai 6 ai 20 anni con la Fini Giovanardi, ora il peggio che vi possa capitare è subire una condanna di soli 6 anni (più 77.468 euro di multa), e al meglio di 2 (più 5164 euro di multa); aumentano invece le pene per tutte le altre sostanze, e per qualche tiro di coca o qualche pasticca vi beccate la reclusione da otto a venti anni e la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni (la conversione in euro fatela voi, che a me scappa da ridere).
Per le “droghe leggere” diminuisce anche il periodo per il quale potete essere sottoposti a sanzioni, in caso che riusciate a pagarvi un buon avvocato e a dimostrare l’uso personale, ma ce n’è comunque abbastanza per rovinarvi la vita.
Per armonizzare questo abburatto di legge con i decreti svuotacarcere, resta in vigore l’eccezione di lieve entità, equiparata per pesanti e leggere, con una incoerenza ferrea.
Che cosa ci sia da festeggiare, nell’arcipelago senza traghetti del mondo antipro italiano, non si capisce. Anche lo spadone di Damocle dell’inserimento in tabella “pesanti” della cannabis, qualora contenga un quantitativo considerato troppo alto di THC, resta intatto e presente, è solo questione di tempo. Poi sarà come dire: “Signor Governo, mi posso sballare a casa mia, e senza dare noia a nessuno?” “Sì, ma poco poco, e ti sfracasseremo la minchia lo stesso”.
E, come si va ripetendo da decenni, cui prodest? Indovinate un po’, quale sarà l’effetto dell’aumento di pene per le “pesanti” … quello di aumentare i prezzi, aumentando il rischio? Bravi. E chi beneficerà di tale aumento? La criminalità organizzata. Esatto.