28/11/12

Global Commission / Rapporto 2012 / pag. 9


L’applicazione delle leggi sulle droghe ostacola la terapia antiretrovirale, facilitando così la trasmissione di HIV.
Oltre a incentivare l’uso condiviso di siringhe e altri comportamenti a rischio per l’HIV, gli strumenti punitivi associati all’applicazione delle leggi sulle droghe ostacolano la realizzazione dei test e del trattamento dell’HIV. Ci sono varie modalità attraverso le quali la criminalizzazione dell’uso di droghe può rendere difficile o impedire l’accesso alle terapie essenziali necessarie per i consumatori di droghe infettati con l’HIV. Tali ostacoli al trattamento comprendono lo stigma e la discriminazione all’interno del sistema sanitario, il diniego di ricevere servizi, la violazione della privacy, la imposizione del requisito di essersi disintossicato come condizione per il trattamento e l’uso dei registri che portano fino alla negazione di diritti fondamentali come la custodia dei minori e il lavoro (23). Come risultato, le ricerche hanno dimostrato più volte che fra i consumatori di droghe si trovano tassi molti bassi di terapia antiretrovirale e tassi più alti di morte per AIDS (24).
Le strategie politiche punitive correlate con l’applicazione delle leggi sulle droghe hanno inoltre implicazioni più ampie sulla salute pubblica. In particolare, sappiamo che la terapia antiretrovirale riduce la quantità del virus dell’immunodeficienza umana circolante nel sangue e nei liquidi sessuali, e recenti prove cliniche hanno dimostrato che questo effetto riduce anche i tassi di trasmissione dell’ HIV. Di conseguenza, molti organismi internazionali e programmi nazionali per l’HIV hanno cambiato recentemente il loro approccio considerando come il "trattamento come prevenzione" sia una strategia centrale per l’HIV e l’AIDS (25 - 28).  Questo cambiamento ha importanti implicazioni nella progettazione della risposta mondiale all'HIV e all’ AIDS e sottolinea ulteriormente l'impatto che può avere la sanità pubblica nel garantire l'accesso al trattamento per l'HIV a tutti i segmenti della popolazione, comprese le persone che si iniettano droghe.
Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che le misure punitive relative all' applicazione delle leggi sulle  droghe e la frequente carcerazione dei consumatori di droghe generano difficoltà di accesso ai test e alle terapie per l’HIV, e contribuiscono all’ interruzione del trattamento per l'HIV già iniziato (29). Ad esempio, un recente studio canadese ha dimostrato che quanto maggiore è il numero di volte che un individuo infettato con HIV è incarcerato, minore è la probabilità che quella persona segua una terapia antiretrovirale (30). Allo stesso modo, uno studio condotto a Baltimora Baltimora su  pazienti affetti da HIV ha fatto emergere che anche brevi periodi di detenzione sono associati con un rischio doppio di condivisione di aghi e un rischio sette volte maggiore di trasmissione (31). Il fatto che le misure repressive associate all'applicazione delle leggi sulla droga spesso interrompano le terapie per l’HIV, facilitando l’instaurarsi di una resistenza ai farmaci e aumentando il rischi di infezione,  deve essere ancora affrontato in modo adeguato nell’ambito delle strategie di prevenzione nazionali e internazionali (27,28). In realtà, il "trattamento come prevenzione" e le nuove strategie di prevenzione, come ad esempio l’ espansione dell'uso della profilassi pre-esposizione con farmaci antiretrovirali, sono raramente presi in considerazione o discussi dalle autorità come risposta contro l'HIV per i consumatori di droghe iniettabili.
 
(Foto: Le medicine per i pazienti sono allineate per la distribuzione nel reparto per l’ HIV e l’AIDS al Yuan Hospital di Pechino, 1 dicembre 2011. Secondo quanto dichiarato dai media statali, che hanno citato funzionari della Sanità, il numero di nuovi casi di HIV e AIDS in  Cina è cresciuto a dismisura, con tassi di infezione in aumento tra gli studenti universitari e gli uomini più anziani. Il Centro cinese per il Controllo e Prevenzione ha pubblicato cifre che mostrano 48.000 nuovi casi in Cina nel 2011, ha detto l'agenzia di stampa ufficiale Xinhua. Il governo cinese è stato inizialmente lento nell’ammettere il problema dell'HIV e dell’ AIDS negli anni ‘90. Reuters / David Gray)
 
Riferimenti bibliografici:

23

Wood E, Kerr T, Tyndall MW, Montaner JSG. A review of barriers and facilitators
of HIV treatment among injection drug users. AIDS, 2008; 22(11):
1247-1256.


24

Mathers BM, Degenhardt L, Ali H, et al. HIV prevention, treatment, and
care services for people who inject drugs: a systematic review of global,
regional, and national coverage. Lancet, 2010; 375(9719): 1014-1028.


25

Cohen MS, Chen YQ, McCauley M, et al. Prevention of HIV-1 infection
with early antiretroviral therapy. N Engl J Med, 2011; 365(6): 493-505.


26

Wood E, Kerr T, Marshall BD, et al. Longitudinal community plasma HIV-1
RNA concentrations and incidence of HIV-1 among injecting drug users:
prospective cohort study. BMJ, 2009; 338: b1649.


27

National HIV/AIDS strategy for the United States (2010). http://www.
whitehouse.gov/sites/default/files/uploads/NHAS.pdf.


28

UNAIDS. The treatment 2.0 framework for action: catalysing the next
phase of treatment, care and support. http://www.unaids.org/en/media/
unaids/contentassets/documents/unaidspublication/2011/20110824_
JC2208_outlook_treatment2.0_en.pdf.


29

Small W, Wood E, Betteridge G, Montaner J, Kerr T. The impact of incarceration
upon adherence to HIV treatment among HIV-positive injection
drug users: a qualitative study. AIDS Care, 2009; 21(6): 708-714.


30

Milloy MJ, Kerr T, Buxton J, et al. Dose-response effect of incarceration
events on nonadherence to HIV antiretroviral therapy among injection
drug users. J Infect Dis, 2011; 203(9): 1215-1221.

27/11/12

Notizie dal fronte della war on drugs - Asia - 27/11/2012

Traccia della trasmissione andata in onda su Radio Radicale il 27/11/2012
 
La Prima Guerra dell'Oppio (1839-1842)
 
Tornando in Asia, è uscito il rapporto dell'Ufficio Onu per il controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine, stando a quanto si legge i consumatori di oppiacei in Asia Orientale e nel Pacifico rappresentano oggi circa un quarto di quelli mondiali. Dal sito ADUC, che riporta la notizia: La coltivazione di oppio è raddoppiata negli ultimi sei anni nel Sud-est asiatico a fronte della crescente domanda di eroina in Cina e nel resto della regione, che ha spinto gli agricoltori di Birmania e Laos aumentare il prodotto.  La Cina ha da sola oltre un milione di consumatori di eroina ed è il Paese che consuma più droga nella regione. A fronte dell'aumento dei prezzi, la superficie di terra dedicata alla coltivazione di oppio è così aumentata del 66% nel Laos, toccando i 6.800 ettari, e del 17% in Birmania, che con i suoi 51.000 ettari rappresenta il secondo produttore mondiale di oppio dopo l'Afghanistan.
 "Complessivamente, la coltivazione del papavero di oppio è raddoppiata nella regione dal 2006", si sottolinea nel rapporto, nonostante le autorità locali di Laos, Birmania e Thailandia abbiano riferito della distruzione di quasi 25.000 ettari di coltura avvenuta nel corso del 2012. L'Onu stima in 431 milioni di dollari (circa 330 milioni di euro) il valore dell'oppio prodotto nel 2012 da Laos e Birmania, pari a un terzo in più dell'anno precedente. Ed è aumentato anche il numero delle persone coinvolte nella coltivazione, pari a 38.000 in Laos e 300.000 in Birmania.
Secondo l'Onu, questa situazione mostra che i contadini birmani, concentrati soprattutto nello Stato Shan, nel nord-est, potrebbero abbandonare la coltura dell'oppio se venisse offerta loro un'alternativa.
 "I contadini sono molto vulnerabili alle perdite di reddito dovute all'oppio, specialmente quelli che dipendono da tale fonte di reddito per la propria sicurezza alimentare - si legge nel rapporto - inoltre, la coltivazione dell'oppio è generalmente legata all'assenza di pace e di sicurezza, andando così a indicare la necessità di soluzioni sia politiche che economiche".
 La Birmania ha messo a punto un piano di 15 anni per sradicare l'oppio entro il 2014, ma lo studio Onu, basato su ricerche condotte attraverso il satellite, con elicottero e sul terreno, paiono indicare che l'obiettivo non sarà raggiunto. A settembre, gli Stati Uniti hanno tenuto la Birmania, che ha avviato una serie di riforme politiche dopo decenni di regime militare, nella sua "lista nera" per traffico di droga,
E quanto il problema sia percepito nel Sud est asiatico, e in Cina lo dimostra una notizia che si trova anche sui giornali europei, e quindi, su Vanity Fair: “Festival di Roma, la Cina rompe il tabù: è Drug War (in salsa pulp). Eroina e metamfetamine scorrono a fiumi, ma finora era vietato parlarne. Ci pensa il maestro Jhonnie To con La guerra della droga, in concorso. Un poliziesco con finale a sorpresa che farebbe reinnamorare Tarantino Secondo film a sorpresa al Festival di Roma, arriva al Festival Internazionale del Film 2012 l'hongkonghese Johnnie To, re del noir d'Oriente, con Duzhan (Drug War, La guerra della droga), in concorso .Il tema? La droga scorre a fiumi. Dov'è la novità? Che se ne parla, perché in Cina il problema è ancora un tabù che ha dovuto scavalcare gli ostacoli non semplici della censura - Da noi tutti i film devono passare al vaglio prima e dopo le riprese - racconta il regista 57enne - Le regole non sono chiare, non sai mai come andrà a finire. Così quando hai un dubbio è sempre meglio girare una seconda versione. Alla fine però hanno chiesto pochi tagli. Quali? Per esempio da noi è vietato far vedere un poliziotto che picchia qualcuno - I tossicodipendenti censiti dalla polizia in Cina sono oltre un milione. Le cifre reali molto più alte. Non solo per l'eroina, il Paese è il primo produttore al mondo di metamfetamine ( come Shaboo o Speed). E la guerra alla droga è diventata una delle prime emergenze sociali e di ordine pubblico. Tanto che è prevista la pena di morte per chi produce più di 50 grammi di droga - Nemmeno la pena di morte spaventa davvero chi ha scelto quella strada - conclude Johnnie To - Il potere dei soldi è troppo forte, si è disposti a rischiare la vita propria e degli altri. Quando ero giovane io bisognava darsi da fare per mettere in tavola ogni giorno il cibo. Oggi la vita per i giovani è troppo facile, non hanno sfide da affrontare. E le droghe ti danno l'illusione di essere qualcuno”.
Della cosa parla anche il Messaggero “E’ la prima volta che il maestro originario di Hong Kong monta un set nella Repubblica Popolare. Ed è anche la prima volta che un film cinese affronta il tema della droga con il beneplacito della censura - Abbiamo ricevuto il nulla osta senza difficoltà, malgrado in quel Paese la droga sia un argomento ancora tabù. Eppure il problema del narcotraffico esiste anche in Cina - dice Johnny - Ogni anno, per colpa degli spacciatori, muoiono migliaia di persone, compresi i poliziotti impegnati in prima linea contro la diffusione di stupefacenti. Ho girato Duzhan per mostrare la differenze del sistema penale: a Hong Kong i trafficanti finiscono in galera, in Cina davanti al plotone di esecuzione –“.
Conclude, Vanity Fair: “Un film già visto, discorsi già sentiti? Sì, in Occidente tra gli anni '70 e '80. Ora tocca anche alla Cina affrontare, anche al cinema, uno dei tanti tragici corollari del boom economico e del benessere”.
Quindi se l’ONU riferisce che “, la coltivazione dell'oppio è generalmente legata all'assenza di pace e di sicurezza”, leggiamo qui invece una spiegazione socioeconomica del consumo, come se la crescita del consumo di droghe in Cina fosse solo una conseguenza dello sviluppo economico e non delle trame guidate dagli interessi miliardari delle rete del narcotraffico mondiale.
La volta precedente, seguendo le rotte del narco traffico dall’Afghanistan verso est, abbiamo visto come l’operazione Atlantics, messa in atto dalla Sicurezza del Kazakistan, quella che si vanta di aver stroncato quattro canali internazionali di narcotraffico dal Sudamerica verso l’Asia, abbia visto operazioni che si sono svolte in Cina. Ma se la Cina deve importare la cocaina dal Sudamerica, non ha certo bisogno di importare oppio, visto che ne produce tradizionalmente. E qui dopo la cultura ci vuole anche un po’ di storia, per ricordare che in Cina si è svolto, nella metà dell’ 800, il prologo alla moderna war on drugs; le due guerre dell’oppio che hanno contrapposto l’Impero cinese della dinastia Qing al Regno Unito, guerre che hanno intrecciato protezionismo commerciale e proibizionismo legislativo, e che hanno segnato tutta la successiva storia regionale e mondiale. Portogallo, Spagna e Inghilterra iniziarono ad esportare oppio dalla Cina in Europa fino dal XVI secolo; le politiche protezioniste cinesi, che limitavano fortemente l’importazione con dazi molto esosi, spinsero la produzione e il commercio dell’oppio, con un conseguente e tragico aumento del consumo locale, che indusse il Celeste Imperatore a proibire, nel 1729, vendita e consumo di oppio. La Compagnia delle Indie continuò tuttavia ad aumentare il suo business dell’oppio, e quando gli inglesi conquistarono anche il Bengala acquisirono una posizione di monopolio anche sulla produzione, e penetrando il mercato cinese. Il trattato di Nanchino, che concluse la prima guerra dell’oppio nel 1842, garantiva ai britannici l'apertura di alcuni porti (treaty ports), tra cui Canton e Shanghai, il libero accesso dell'oppio e degli altri loro prodotti nelle province meridionali con basse tariffe doganali e stabiliva la cessione della città di Hong Kong all'impero inglese. Nei treaty ports gli inglesi potevano risiedere e godevano della clausola di extraterritorialità (potevano essere portati in giudizio solo davanti a loro tribunali consolari). Questo trattato dimostra la valenza economica e politica che fino da allora avevano gli accordi sul commercio, o traffico, di droghe.
Quindi, come ci ripete anche Atlas, che riporta il rapporto UNU, i consumatori di oppiacei in Asia orientale e sul versante Pacifico rappresentano oggi un quarto del totale mondiale, da sola, “la Cina registra oltre un milione di eroinomani e consuma i maggiori quantitativi di droga della regione. Il Myanmar ha seguito un piano quindicinale per l’eradicazione dell’oppio entro il 2014, ma l’UNODC, che si serve di immagini satellitari, aeree e indagini sul campo, sostiene che il termine prefissato dovrà necessariamente slittare di alcuni anni”.
Anche se, come diceva la notizia ADUC, “a settembre, gli Stati Uniti hanno tenuto la Birmania, che ha avviato una serie di riforme politiche dopo decenni di regime militare, nella sua "lista nera" per traffico di droga, accusandola di aver "chiaramente fallito" nella lotta al narcotraffico”, a distanza di due mesi il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha iniziato il suo tour di tre giorni in Asia con una visita in Thailandia, dove ha discusso una serie di questioni, compreso il terrorismo, il commercio, e il controllo del traffico di droga con il Primo Ministro Shinawatra. Subito dopo Obama si è recato un Birmania, e la questione viene approfondita sul sito The News International: “Gli Stati Uniti sono per la Thailandia il secondo partner commerciale dopo il Giappone, e gli investimenti americani verso l'interno sono stimati a $ 21 miliardi. L’ altra faccia della questione, per un’ulteriore collaborazione è il traffico di droga”. Entrambi i paesi, dice l’articolo, “hanno collaborato alla guerra del terrore, e la visita di Obama è probabilmente anche lo scopo di aggiungere un contrappeso all'influenza cinese nella regione”. E, a proposito della Birmania, “Obama ha chiarito che vede il Myanmar come un work in progress, più che un lavoro finito. I rapidi cambiamenti degli ultimi due anni hanno ridotto, ma non eliminato i livelli di brutalità utilizzati dal regime che è ancora gestito  dietro le quinte dai militari. Obama ha parlato a Rangoon per 30 minuti, concentrandosi soprattutto sulla sua visione di prosperità e democrazia del Myanmar. I legami tra gli Stati Uniti e gli stati dell'ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico fondata nel 1967) stanno per venire alla ribalta, e la lotta tra l'America e la Cina per influenza regionale può ora essere veramente coesa e positiva”.
Una visione quindi di futuro luminoso per la Birmania qualora accettasse di rafforzare il ruolo degli Stati Uniti nella regione, giocato anche sulle note degli accordi per la guerra alla droga; d’altronde non è che in Cina, e in tutto il sud est asiatico, si abbia la mano leggera con la war on drugs, abbiamo visto come si affronti la cura della tossicodipendenza e la diffusione dell’AIDS senza altro metodo che non i campi di rieducazione e lavoro, i laogai, dove i tossicodipendenti vengono sottoposti a lavori forzati, torture e abusi, e come siano appiicate pene severissime fino alla pena di morte per lo spaccio.
Per completare l’informazione, e per non trascurare altri punti di vista per quanto ideologicamente connotati, voglio riportarvi la non tanto fantasiosa, ma limitata interpretazione, o almeno io la ritengo tale, che la Far News Agency, sedicente agenzia leader indipendente iraniana, fa del ruolo dell’ Intelligence statunitense nella vicenda dell’oppio afgano. Un particolare curioso è che la agenzia iraniana riprende notizie da un sito di Veterani statunitensi, Veterans Today: “ La CIA incrementa il commercio afgano di eroina. La Central Intelligence Agency (CIA) ha rafforzato il commercio dell'eroina in Afghanistan, il numero di tossicodipendenti da eroina negli USA è aumentato del 50 per cento durante la presenza in questo paese degli Stati Uniti , dal 1982 al 1992.  La CIA aveva creato un triangolo d'oro di signori della guerra di eroina nella regione per il commercio e traffico di stupefacenti verso gli Stati Uniti da Afghanistan e Pakistan. Dal 1982 al 92, la stazione della CIA a Islamabad era diventato il più grande centro di narcotraffico di tutto il mondo. Non è un caso che la Golden Crescent (una eroina prodotta nella mezzaluna d’oro) abbia superato ben presto l'eroina del Triangolo d'Oro, proprio mentre la CIA stava lanciando la sua più grande operazione dai tempi del Vietnam. L’ eroina Golden Crescent ha catturato il 60 per cento del mercato statunitense. Dal 1982 al 1992, più o meno il periodo di coinvolgimento degli Stati Uniti in Afghanistan, la dipendenza da eroina negli Stati Uniti è aumentato del 50 per cento. Dal 1982 al 1983, lungo i confini dell'Afghanistan con il Pakistan il raccolto di oppio è  raddoppiato. Nel 1984, il Pakistan esportava il 70 per cento dell'eroina mondiale. Durante l'era dell'ex presidente Zia ul-Haq, il Pakistan è diventato il terzo più grande beneficiario di un aiuto militare degli Stati Uniti nel mondo, dietro solo Israele ed Egitto. La maggior parte di questi aiuti è andata a armare i mujaheddin afghani  Nel mese di settembre 1985, il Pakistan Herald che i camion militari appartenenti alla Cellula logistica nazionale dell'esercito del Pakistan erano utilizzati per il trasporto di armi da Peshawar a Karachi  per conto della CIA, e che erano quelli stessi camion che ritornavano a Karachi protetti dai militari pakistani e riempiti di eroina”.
Le accuse sono molto precise ma non dimostrate, e con questo dalla war on drugs per  oggi è tutto.

25/11/12

Notizie dal fronte della war on drugs - Asia - 30/10/2012

 Traccia della trasmissione andata in onda su Radio Radicale il 30 ottobre 2012
Narcotrafficanti in Iran
 
Oggi ritorniamo in Asia, e cominciamo da Rinascita, che pubblica il 12 ottobre un articolo dal titolo “Afghanistan. Dopo gli Usa, tocca a Russia e Cina”, dove si legge: “ Ma sull’Afghanistan sono puntati anche gli occhi delle due potenze della regione: Cina e Russia. I primi sono da tempo impegnati a stringere accordi economici con il governo di Kabul e ci tengono a mantenere la sicurezza dei loro investimenti. I secondi, invece, guardano con apprensione a un’Afghanistan destabilizzato, che rischia di far arrivare alle frontiere russe ulteriori ondate di eroina e combattenti jihadisti”. In particolare “E così, da tempo la Russia sta rafforzando il proprio controllo nelle repubbliche ex sovietiche che, di fatto, rappresentano una zona cuscinetto con l’Afghanistan. Paese dove comunque i russi si guardano bene dal rimettere piede, dopo la cocente sconfitta dell’ultima volta. Il presidente russo Vladimir Putin ha da poco concluso due accordi con Tagikistan e Kirghizistan per mantenere la presenza militare di Mosca nei due Paesi. Al poverissimo Tagikistan Putin ha promesso agevolazioni sui dazi, permessi di lavoro e finanziamenti per la lotta al narcotraffico in cambio della proroga di almeno 30 anni del diritto di stanziamento della 201esima Divisione motorizzata russa. Al Kirghizistan Mosca ha abbonato 380 milioni di euro debiti. In cambio ha ottenuto l’utilizzo della base aerea di Kant fino al 2037 e la firma di un accordo che prevede l’impegno delle truppe di Mosca a difendere la sovranità e la sicurezza nazionale kirghiza. Una clausola che trasforma di fatto il Kirghizistan in una sorta di protettorato russo. Inoltre, i russi hanno guadagnato lo sfratto dei militari statunitensi dalla base di Manas, che dopo il 2014 potrà essere utilizzata dalla Nato solo per rimpatriare le merci dall’Afghanistan”.
Che cosa è il Tajikistan possiamo leggerlo su Limes, su un articolo non recentissimo dove si descrive come i 1300 chilometri di frontiera con l’Afganistan e la povertà endemica lo abbiano reso “avamposto per la narco-aggressione che dalle piantagioni di oppio afgane arriva, attraversando l’Asia Centrale, fino ai ricchi mercati di Europa e Russia”. “Almeno un quinto di tutta l’immensa produzione di droga dell’Afghanistan transita dal Tagikistan, la prima tappa di un lungo viaggio attraverso quella che viene definita una moderna Via della Seta. Una volta giunto ai confini settentrionali delle province afghane, il frutto delle piantagioni di oppio viene preso in consegna dai gruppi tagiki, ormai ben più numerosi e meglio organizzati dei trafficanti internazionali. La droga entra ufficialmente in Tagikistan da sud-est, attraverso la catena montuosa del Pamir: oltre milletrecento chilometri di valichi di frontiera spalmati su un altopiano aspro, ricoperto di neve per la maggior parte dell’anno, che è diventato il paradiso dei trafficanti.  Noti localmente con il nome di Bam-i-Dunya, il “tetto del mondo”, queste montagne sono sempre rimaste pressoché un deserto, nonostante per settant’anni i sovietici abbiano provato a popolarle. I pochi abitanti dei villaggi d’alta quota, di fede musulmana-ismaelita, si prestano ormai sempre più volentieri a diventare dei corrieri a basso costo. … Sfruttando le carenze del sistema normativo, il network dei trafficanti tagiki recluta spesso giovani al di sotto dei 14 anni, immuni dai procedimenti giudiziari. In questo modo il redditizio business della droga è arrivato a coinvolgere direttamente anche le popolazioni delle regioni più remote. Anche esse sono ormai parte integrante del micidiale meccanismo della narco-aggressione di cui il Tagikistan è al contempo vittima e carnefice”.
Le droghe hanno fatto la loro comparsa a queste latitudini solo alla fine dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan. Nel corso degli anni Novanta la presenza di sostanze stupefacenti è aumentata drasticamente per la contrapposizione tra il governo e la guerriglia islamica lungo i confini meridionali. Nel 1999 il fenomeno è esploso in tutta la sua drammaticità: buona parte delle 4700 tonnellate di oppio raccolte in Afghanistan (quantità equivalente a tutto l’oppio prodotto nel mondo nei primi anni Novanta) ha letteralmente travolto il Tagikistan. Nel 2001 i primi sequestri di anidride acetica hanno svelato l’esistenza di laboratori e depositi di oppio grezzo adiacenti alle zone di confine e due anni dopo un rapporto dell’agenzia Onu che si occupa del controllo del narcotraffico - la Unodc - ha classificato lo Stato centro-asiatico al terzo posto tra quelli più colpiti dal narcotraffico dopo Iran e Pakistan (56 tonnellate di eroina intercettata). “I trafficanti varcano il confine tagiko con auto e camion, ma molto spesso anche a dorso di muli e cammelli. La maggior parte delle spedizioni è organizzata da Kurdoz, città afgana quartier generale del potentissimo re dell’oppio, Gulboddin Hekmatyar”.
E il nome di Gulboddin Hekmatyar lo ritroviamo in una agenzia di questo settembre dove si informa che il movimento Hezb-i-Islami di Gulbuddin Hekmatyar ha rivendicato l’attentato a Kabul dove, il 18 settembre, “Dodici persone, di cui 9 stranieri, sono morte in seguito a un attentato a Kabul compiuto da una 22/enne kamikaze afghana in burqa contro un minibus nei pressi dell'aeroporto della capitale”. Il solito stretto legame, quindi, che abbiamo più volte visto, in tutto il mondo, fra il mondo del narcotraffico e quello del terrorismo, sia islamico, che dei movimenti rivoltosi in sud e centro america.
“Dushanbe”, continua l’articolo su Limes, “ è l’ultima tappa prima che la droga lasci definitivamente il paese dirigendosi a ovest, vesto l’Uzbekistan, oppure ad nord-est verso la città kirghiza di Osh. La meta successiva è il Kazakistan, dove grazie a un discutibile accordo doganale qualunque merce può circolare liberamente verso la Russia, la Bielorussia e l’Ucraina. Da lì, la porta dell’Europa, ricca e affamata di droga, è aperta. L’avvicendarsi dei paesi di transito fa lievitare in modo esponenziale il valore della droga: l’eroina vale quattrocento dollari al chilogrammo quando si trova ancora nei confini afghani, mille una volta superato il confine tagiko, duemila a Dushanbe e diecimila al mercato nero di Mosca. La Unodc calcola che circa 100 tonnellate di eroina attraversino ogni anno i confini del Tagikistan, una quantità paragonabile al consumo annuo in Europa e Nord America. Pertanto, si può stimare che il reddito annuale del traffico dell’eroina afghana oscilli attorno al miliardo di dollari, a fronte di un pil che in Tagikistan raggiunge a stento i 2 miliardi. Ma in un paese dove la metà della popolazione è al di sotto dei diciotto anni, la narco-aggressione all’Occidente provoca anche dei gravi effetti collaterali legati alla tossicodipendenza. Circa cinquantacinquemila tagiki fanno uso abitualmente di droghe, due terzi di essi hanno meno di trent’anni e oltre diecimila sono affetti dal virus dell’Aids. In mancanza di comunità destinate al recupero dei tossicodipendenti, le uniche strutture disposte ad accogliere i malati sono i disumani penitenziari governativi. il presidente Enomalii Rahmon si è recentemente complimentato per il lavoro svolto dalla polizia, affermando che il Tagikistan ha compiuto l’85% di tutti i sequestri di droga effettuati in Asia Centrale. Le agenzie internazionali considerano questa percentuale assolutamente insoddisfacente, dal momento che la droga sequestrata non supera il 10% di quella effettivamente transitata per le montagne del Pamir”.
Da Tengri News, un sito in lingua russa e inglese, troviamo una notizia recente che riguarda appunto il Kazakistan, un paese che a detta di tutti gli esperti rappresenta un punto nodale per la rotta che porta l’eroina verso Russia e Europa. Ma, oltre all ’eroina, “Gruppi criminali dalla Colombia e dal Perù cercavano di organizzare una rete di vendita di cocaina, come riporta il sito della Commissione Nazionale di Sicurezza del Kazakistan. I criminali sono stati indagati per aver spedito cocaina per posta, per via aerea, in forma liquida, in ovuli, così come con i corrieri che la trasportano nel proprio corpo. Le spedizioni avvenivano ogni 10 – 15 giorni. I re della droga colombiani stavano per selezionare in Kazakhstan i partners per il loro business. Per stroncare la penetrazione di cocaina in Kazakistan, la National Security Commission ha messo in piedi una operazione speciale, nome in codice Atlantics”. Come risultato di questa operazione, sono stati arrestate tre persone, trafficanti di piccolo – medio livello e sono stati sequestrati 6 chili di cocaina, e questo risultato viene descritto come un colpo mortale a 4 canali internazionali di narcotraffico dal Sudamerica.  “L’operazione Atlantics è stata portata a termine tra l’aprile e il settembre 2010. Ma i servizi speciali del Kazakistan hanno reso pubblici I dettagli solo ora. Secondo la National Security Commission, una delle operazioni di Atlantics si è svolta in Cina”.
Questo per sottolineare come i legami e le interdipendenze internazionali nel mondo del narcotraffico siano strette e costanti.
Infine sul Los Angeles Time, il 13 ottobre, è uscito un articolo che ci serve da introduzione alla descrizione, che richiederà naturalmente tempo e ricerca, della rotta che dall’Afghanistan porta ad ovest, e quindi attraversa l’Iran. Il pezzo prende spunto dallo “spettacolo (così viene definito) “... lo spettacolo che il governo iraniano ha messo in scena per mostrare i successi delle sue forze antidroga in contrasto del contrabbando di droga nel paese. - L’ Iran sta combattendo con i narcotrafficanti a beneficio di tutta l’umanità – ha dichiarato il generale  Ali Moaiyedi, comandante in capo della polizia antidroga”.
“ L’iran ha scavato vasti e profondi canali, eretto centinaia di miglia di frontiere di filo spinato e costruito muri di cemento alle frontiere con l’Afghanistan e il Pakistan per ostacolare I contrabbandieri. Ma queste barriere hanno solo reindirizzato il flusso delle droghe nel paese. Un ufficiale ha riferito che i narcotrafficanti hanno iniziato ad usare le vie marittime dal Pakistan per contrabbandare l’eroina fino ai porti iraniani. L’UNODC ha descritto l’ Iran come uno dei maggiori consumatori di oppiacei nel mondo, in parte a causa della vicinanza con l’ origine dello stupefacente. Nel 2008, i sequestri di eroina nel mondo hanno raggiunto il record di 73,3 tonnellate. Iran e Turchia hanno rappresentato più della metà del totale. E l’Iran continua ad essere leader mondiale per sequestri di eroina; così ha dichiarato il rappresentante dell’ UNODC a Tehran, Antonino de Leo.Ora tutti gli sforzi, comunque, sono stati diretti sulla riduzione della tossicodipendenza nel paese. Non ci sono dati ufficiali sul numero di tossicodipendenti in Iran, ma si stima che siano circa 2.200.000 in un paese di 75.000.000 di abitanti. L’Iran sono aperte più di 500 sedi di organizzazioni non governative concentrate sulla tossicodipendenza – ha detto De Leo – oltre a centinaia di centri di disintossicazione e cliniche per il trattamento con il metadone. Ma il problema rimane: “Nella mia clinica, uno su cinque pazienti abusa di droghe”, ha detto un medico che ha aperto recentemente una clinica nella parte occidentale di Tehran. “L’aumento delle cliniche per la disintossicazione indica che aI tossicodipendenti in Iran non mancano gli stupefacenti illegali."
Il problema rimane tanto che lo stesso Antonino De Leo si è trovato al centro di una polemica, in occasione delle dichiarazioni  del vicepresidente iraniano Rahimi che, alla Conferenza contro la droga tenutasi a Teheran nel giugno 2012, ha destato scalpore accusando il Talmud, libro sacro della religione ebraica, di essere responsabile della diffusione del narcotraffico nel mondo. “Perché, ha detto, Il Talmud insegna a distruggere chiunque si opponga agli Ebrei. I Zionists  hanno in man il controllo del mercato delle droghe illegali", ha detto Rahimi, chiedendo ai funzionari stranieri di confermare la sua accusa. Zionists è un termine ideologico iraniano usato per gli ebrei che sostengono lo Stato di Israele. “La Repubblica islamica dell’ Iran pagherà per chiunque trovi un singolo Zionist che sia tossicodipendente" ha detto Rahini . “Non esiste, e questa è la prova del loro coinvolgimento nel narcotraffico". "Ciò che ha reso ancor più sorprendente il suo intervento è che la guerra alle droghe è una delle poche questioni per le quali la Repubblica islamica può contare sulle simpatie occidentali. L’impegno dell’ Iran per fermare il transito di droga proveniente dal vicino Afghanistan è stato spesso menzionato come un potenziale campo di cooperazione durante I negoziati sul programma nucleare del paese. Altri ministri iraniani hanno svolto interventi più neutri politicamente, un diplomatico ha affermato:  - Questo è stato uno dei peggiori interventi che abbia sentito in vita mia. La mia reazione istintiva è stata, perché dovremmo supportare una collaborazione con queste persone? - Ma il diplomatico, che non ha voluto render noto il nome né il paese, difende la sua presenza alla Conferenza - Se non sostenessimo l’ONU nel sostegno all’ Iran per la guerra alla droga, le voci come quelle di Rahimi sarebbero le sole qui - " Antonio De Leo ha parlato della Repubblica islamica iraniana come di “un partner strategico nella guerra alla droga”, e questo ha dato l’esca a fonti di informazione ideologicamente connotate di accusare De Leo di connivenze con l’Iran; questo sarebbe ben altro che un partner strategico della Comunità Internazionale nella lotta alla droga e, al contrario, proprio la Repubblica islamica sarebbe uno dei Paesi che contribuisce maggiormente al traffico illecito di droga e ne ottiene gli introiti maggiori; per avvalorare questa tesi vengono citati gli scandali, che abbiamo visto comuni in tutto il mondo, riguardanti alti funzionari dell’esercito iraniani coinvolti nel narcotraffico.

 

 

 

 

Notizie dal fronte della war on drugs - Asia - 2/10/2012


 
Traccia della trasmissione andata in onda su Radio Radicale il 2 ottobre 2012
 
Papaveri e militari

Per gli aggiornamenti e le notizie dal fronte della guerra alla droga, dopo aver dato una panoramica dell’ America latina martedì scorso, ci spostiamo nel continente asiatico, considerato la patria del papavero da oppio, anche se non è così vero, dato che la coltura del papavero da oppio era già in uso più di 5000 anni fa presso Sumeri, Babilonesi, Assiri ed Egizi, ed è stato usato da Romani, Greci e Arabi prima di essere esportato in India da Alessandro il Grande e sette secoli dopo, nel 400 d.C., in Cina, ad opera di mercanti arabi.
Al momento attuale il continente asiatico risulta il più grande produttore di papavero da oppio al mondo; in particolare la cosiddetta Mezzaluna d’oro, che comprende Afghanistan, Iran e Pakistan, ha da anni sorpassato il Triangolo d’oro (Birmania, Laos, Vietnam e Thailandia) e produce la maggior parte dell’eroina del mondo; secondo il rapporto dell’ Agenzia ONU per le droghe e per il crimine del 2012, 5800 tonnellate è stata la produzione afghana per il 2011, su un totale mondiale di 7000. Il 7% della produzione invece avviene in America latina dove dagli anni ’90 è cresciuta la coltivazione dell’oppio, soprattutto in Messico, ma anche in alcune regioni di Bolivia, Colombia, Guatemala e Perù.
Iniziamo le notizie e gli aggiornamenti dalla war on drugs proprio da dove la abbiamo lasciata la settimana scorsa, perché è di pochi giorni fa la notizia diffusa rapidamente dalle agenzie di tutto il mondo, della cattura di Ivan Velazquez Caballero, detto El Talibàn, un narcotrafficante messicano da 2,3 milioni di dollari di taglia. Il soprannome, che lo collega ai più grandi trafficanti di eroina mondiali, i talebani, appunto, gli era stato conferito per essere un esperto del metodo di decapitazione talebana, che prevede una morte cruenta e dolorosa; questa dell’efferatezza dei delitti è una caratteristica dei mercati illegali, per quanto ci possa essere un certo conflitto tra commercianti legali che a volte si manifesta in modo violento e prevaricatore, è evidente che il commercio illegale si svolge in maggior misura attraverso crimini violenti, che fanno parte del commercio stesso, e, anche, di pari passo con l’avanzare delle tecnologie, che la grande criminalità organizzata ha dimostrato di saper usare, si sono incrementati i legami tra le organizzazioni di diversi paesi, in ordine al traffico di droga, di armi illegali e di esseri umani clandestini.
Nel continente asiatico la maggior parte dei paesi è produttore di droga e/o paese di transito per il narcotraffico; anche se è presente un forte consumo locale il grosso dell’eroina prodotta in Asia, così come dei consumatori della cocaina prodotta in centro e sud America, viene consumato nei paesi occidentali, USA ed Europa in primo luogo, dei quali parleremo la prossima volta.
Sul sito della Reuters è uscito il 5 settembre un lungo articolo che prende spunto da un fatto di cronaca nera, ovvero il ritrovamento in Pakistan di un cadavere nascosto nel baule di una Toyota parcheggiata in uno dei quartieri principali di Karachi, il cadavere di Abdul Rehman Dashti, un funzionario pubblico pakistano di primo livello, ucciso con uno sparo in pieno viso. Le autorità di polizia e le troupes televisive accorse sul luogo hanno indicato come responsabile dell’uccisione Imasm Bheel, uomo d’affari di una provincia del sud-ovest pakistano, il Belucistan. Di quali affari si tratti si capisce dal fatto che già tre anni fa Barak Obama aveva nominato Bheel come un “kingpin” del narcotraffico, lo stesso appellativo usato, sempre da Obama, per El Talibàn, un crisma riservato agli uomini chiave, a livello internazionale, della malavita organizzata e dei traffici illeciti. Ciononostante, o proprio per questo, ci informa la Reuters, Bheel è amico di senatori e suo figlio maggiore è membro dell’assemblea nazionale; Bheel stesso ha partecipato nel 2002 ad una campagna elettorale in sostegno a Zubaida Jalal, legato a Musharraf e ai poteri militari. La vicenda è caduta nel silenzio e Bheel ha fatto ritorno a Makran, in Belucistan, indisturbato. Prosegue l’articolo: “L’omicidio svela quella che è una minaccia per lo stesso Pakistan, la marea di narcodollari, narcomoney, che tenta i politici, corrompe gli ufficiali e gonfia una vasta economia illegale; dai campi di oppio del sud dell’ Afghanistan alle coste di Makran (sul Mar arabico poco ad est del golfo di Oman), i trafficanti trasportano eroina per un valore di circa 20 miliardi l’anno, secondo le stime ONU. I produttori stampano sulle confezioni dei loro prodotto i simboli di scorpioni, leoni e serpenti”. Pochi, in Pakistan come altrove, si rendono conto che il paese gioca un ruolo sospettato di essere molto importante, nella industria mondiale dell’eroina, una industria da 68 miliardi di dollari annui”.
Dunque una quantità di denaro spropositata che gira nelle mani di pochi noti; venendo all’Afghanistan, oltre ai fondi per la lotta alla droga e per l’eradicazione delle colture di papavero, un articolo del 24 settembre su Limes ci informa che La Banca Mondiale ha stimato  che nel 2010 le finanze pubbliche afgane abbiano ricevuto 15,7 miliardi di dollari di aiuti, valore pari al PIL del paese. La conferenza di Tokio dello scorso 7 luglio, alla quale hanno partecipato oltre 70 Stati, ha segnato la sottoscrizione di un importante impegno a favore di Kabul, che beneficerà di 16 miliardi di dollari l’anno nel quadriennio 2012-2015.

Denaro che va a finanziare che cosa? Leggiamo sul Daily Times del Pakistan, in data 4 settembre: "Nel mese di agosto 2012, la nomina di criminali di guerra e funzionari corrotti per i posti chiave in Afghanistan ha fatto infuriare l’intera popolazione; il Presidente Karzai ha nominato Ministro della difesa il signore della guerra Maulana Bismallah Khan Muhammadi e a capo dei servizi segreti ha nominato un noto criminale di guerra, Assadullah Khalid, noto per le torture e le uccisioni di uomini e donne innocenti nel sud dell’ Afghanistan. Assadullah Khalid possiede una milizia criminale, conosciuta come Brigata 888, e prigioni segrete"; si fa notare, nell’articolo, come la Brigata 888 negli anni passati sia stata ritenuta un alleato affidabile per la protezione degli avamposti canadesi a Kandahar ed abbia ricevuto il sostegno militare e finanziario del Governo canadese; infine la nomina del “quarto uomo più corrotto del paese, e analfabeta”, Mullah Din Muhammad, come Ministro degli affari di frontiera, ha ricevuto una condanna nazionale. “Come tutti capiscono, la sicurezza sta peggiorando nel paese. Ogni giorno che passa, il paese si avvicina a una guerra civile senza fine. Attacchi di insorti, ordigni esplosivi, attacchi suicidi, uccisioni preordinate, traffico di droga e corruzione”; l’articolo mostra come nella mezzaluna d’oro asiatica, così come nell’ America latina, il narcotraffico, le narco war e la war on drugs siano strettamente intrecciate fra di loro e con le vicende della corruzione politica e del terrorismo; infatti tutti questi cosiddetti signori della guerra sono ampiamente coinvolti, anzi spesso sono proprio gli stessi signori del narcotraffico dei quali Bheel non è che un esempio.

E’ di oggi la notizia dell’incontro, a margine delle riunioni ONU di New York, di Karzai, Presidente dell’ Afghanistan, con il suo collega Presidente del Pakistan, Zardari; nel corso dell’incontro, è stato lo stesso Zardari a dichiarare che esiste un nesso fra narcotraffico su vasta scala e terrorismo, “dobbiamo urgentemente tagliare questo cordone ombelicale”, ha detto; ricordando che l’anno scorso fece molto scalpore la rivelazione, del New York Times, che Walid Karzai, fratello del presidente afghano e principale trafficante di droga della provincia di Kandahar, fosse da anni sul libro paga della CIA, il tutto risulta comunque inquietante, anche senza trarre conclusioni affrettate da vicende molto complesse.
Un articolo di Lettera 43 di pochi giorni fa apre invece una finestra sul trattamento del consumo locale; in Cina, dove il consumo di oppio è tradizionale e secolare, ed in tutto il sud-est asiatico, sono attivi i centri di rieducazione che sono in realtà campi di lavori forzati; qui vengono rinchiusi non solo gli oppositori politici ma anche i tossicodipendenti. Un metodo introdotto nel 1957, “il sistema dei campi di lavoro (prima laogai, poi laojiao) è stato introdotto nel lontano 1957 a seguito di una circolare del Consiglio di Stato. All’epoca ci si mandavano i cosiddetti controrivoluzionari, così come i colpevoli di reati minori come furto, frode o vandalismo. Con gli anni i campi si sono riempiti anche di prostitute, tossicodipendenti, e, appunto, oppositori politici. Una recente inchiesta dell’ emittente panarabica Al Jazeera, ripresa in Italia dal programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano, Quello che (non) ho, ha messo in luce come i beni prodotti nei campi di rieducazione vengano poi illegalmente venduti a Stati Uniti ed Europa. Secondo il Global Times, “attualmente sono 60.000 i detenuti nei campi di lavoro sul territorio cinese, senza contare i 20.000 tossicodipendenti”. Già in agosto su Asia News era uscito un articolo sui tossicodipendenti, centinaia di migliaia di persone in Cina, Vietnam, Cambogia e Laos, detenute senza processo e vittime di torture e violenze. Nel documento riportato da Asia News, di Human Rights Watch, emerge che oltre 350.000 persone, identificate come “consumatori abituali di droghe, sono state rinchiuse in centri equiparabili a vere e proprie prigioni, in nome del trattamento sanitario da seguire per disintossicarsi. La privazione della libertà poteva durare fino a 5 anni e riguardava anche semplici cittadini senza fissa dimora, malati di mente e bambini di strada. Nei lager gli ospiti devono sostenere esercitazioni di stampo militare, intonare slogan e lavorare in condizioni equiparabili alla schiavitù come tappa di una fantomatica terapia. In Vietnam la terapia del lavoro è parte integrante del trattamento contro la tossicodipendenza e i centri di accoglienza altro non sono che campi di lavoro forzato, al cui interno decine di migliaia di persone lavorano per sei giorni la settimana ricoprendo le mansioni più umili e faticose, e le punizioni per eventuali errori commessi sfociano sovente in episodi di tortura. Una pratica, che oltre al Vietnam, viene applicata con eguale durezza anche in Cambogia, Laos, e Cina, dove il lavoro dei detenuti viene sfruttato per la produzione di oggetti e manufatti”.

Ricerche recenti hanno dimostrato che questi lager favoriscono la diffusione di malattie come l’AIDS o la crescita rapida del numero di sieropositivi; una situazione già descritta anche dal secondo rapporto della  Commissione Globale uscito a giugno, e intitolato “Come la guerra alle droghe incrementi la pandemia di HIV e AIDS”.
I campi di papavero da oppio afgani danno modo di citare anche l’iniziativa radicale che nel corso degli anni, pur non essendo spesso alla ribalta dei grandi mezzi di informazione, ha agito sottotraccia con proposte e azioni. Sul sito di ADUC, uno dei migliori siti italiani di notizie sull’argomento “droghe” , oltre ad overgrow.it e legalizziamolacanapa.org, e dove troviamo anche notizie su un aumento degli abusi di droghe e farmaci nell’esercito americano, notizie che vedremo meglio la prossima volta, quando parleremo dei paesi prevalentemente consumatori, Stati Uniti e Europa, si legge una delle numerose dichiarazioni che nel corso degli anni i radicali hanno prodotto sulla possibilità di riconvertire l’oppio prodotto in legale farmaco antidolorifico e analgesico, una tipologia di farmaco alla quale è ancora difficile ottenere l’accesso in molte zone del mondo. La dichiarazione, di poco tempo fa, è del senatore italiano Marco Perduca, radicale: “Credo che non ci si possa esimere dal prendere in considerazione come, in vista del progressivo ritiro della massima parte del contingente internazionale in Afghanistan, si corra il rischio di lasciare il paese in mano a gruppi che, col passare degli anni, si sono rafforzati e attrezzati tanto da colpire quasi quotidianamente in tutto il paese. Contrariamente a quanto il Partito Radicale va proponendo da quasi 20 anni per l'Afghanistan, ma soprattutto contrariamente agli appelli dell'Organizzazione Mondiale della Salute, la presenza internazionale in quel paese non ha mai voluto neanche prendere in considerazione a livello teorico la possibilita' di lanciare dei progetti pilota per convogliare la produzione di oppio verso il mercato legale della morfina. In piu' occasioni l'Oms ha denunciato come l'80% della popolazione mondiale non conosca analgesici. Il Partito Radicale ha prodotto studi e proiezioni da anni che son diventati anche raccomandazioni fatte proprie dal governo Prodi nella scorsa legislatura quanto al Parlamento europeo nel 2007. Viste le 'sorprese' che il governo Monti vuole riservare agli italiani per la fine del suo mandato -conclude il senatore radicale-, avviare una revisione del dogma proibizionista in seno alle Nazioni unite per produrre analgesici per le masse potrebbe essere un obiettivo da porsi".

E, dato ai radicali ciò che è dei radicali, vorrei citare un altro organo italiano che spesso dimostra di occuparsi e di avere notizie, proprie ed autorevoli, sulle rotte del narcotraffico e sui fenomeni legati alla war on drugs, ed è Avvenire. Ai vescovi ciò che è dei vescovi. Il 14 settembre Avvenire ha pubblicato una intervista a Gilberto Guerra, capo della sezione Sfide Globali dell’ UNDOC, l’agenzia ONU contro la droga e il crimine, dove si analizzano le nuove tendenze di consumo e di commercio, e il recente aumento del consumo e degli abusi di oppiacei sintetici, legali, sia in Occidente come nel resto del mondo. Dice Guerra “ci sono paesi, come la Thailandia, che era nel triangolo d’oro, insieme a Myanmar e Laos, per la produzione e il commercio di eroina, dove adesso quasi il 100% dei consumatori di droghe usa metanfetamine e anfetamine; in contemporanea la crescita del mercato della cocaina, tale che oggi un terzo dei tossicodipendenti europei che si rivolgono alle strutture pubbliche o private è cocainomane".
Della realtà europea, martedì prossimo, mentre fra 15 giorni toccherà al continente africano, così definito da Guerra, nella stessa intervista: “ L’Africa, la nuova frontiera dei transiti verso l’Europa; lì è l’anello debole, da lì passano le nuove rotte dei narcos messicani verso il vecchio continente. Abbiamo programmi per bambini esposti alle droghe in Liberia e nell’Africa occidentale, perché dove c’è transito immediatamente esplode anche il consumo, che nel continente africano sta avvenendo massimamente. Un nuovo disastro in paesi che spesso già si trovano nel disastro totale”.

Comunicato speciale sull’ uso tradizionale della masticazione della foglia di coca

Morales e la foglia di coca
XXII VERTICE ISPANOAMERICANO DI CAPI DI STATO E DI GOVERNO

Comunicato speciale sull’ uso tradizionale della masticazione della foglia di coca

I Capi di Stato e di Governo dei paesi ispanoamericani, riuniti a Cadice, Spagna, in occasione del XXII Vertice Ispanoamericano:

Ricordando il Comunicato speciale sulla coca nativa e ancestrale, patrimonio naturale della Bolivia e del Perú, approvato nel corso del XXI Vertice Ispanoamericano tenutosi a Asunción nel 2011.

Coscienti dell’ importanza di conservare le pratiche culturali e ancestrali dei popoli indigeni, nel rispetto dei diritti umani e dei diritti fondamentali dei popoli indigeni, in conformità con gli strumenti internazionali.

Riconoscono che l’uso tradizionale della masticazione della foglia di coca è una manifestazione culturale ancestrale dei popoli di Bolivia e Perù che deve essere rispettata dalla comunità internazionale.

Elenco dei partecipanti: Andorra, Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Cile, Repubblica Domenicana, Ecuador, El Salvador, Spagna, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perú, Portogallo, Uruguay,Venezuela. Cadice, novembre 2012

24/11/12

Global Commission/ Rapporto 2012 / pag. 8

Reuters / Lucy Nicholson
California, 3 giugno 2011 Detenuti a sedere in una sala ricreativa, dove sono ospitati a causa del sovraffollamento, presso l'Istituto maschile della California, la prigione di Stato a Chino.
 
La Suprema Corte ha ingiunto alla California di rilasciare più di 30.000 detenuti, nei prossimi due anni, o adottare altre misure per alleviare il sovraffollamento nei suoi istituti penitenziari, per prevenire "sofferenza e morte inutile. " 33 istituti penitenziari per adulti in California sono stati progettati per accogliere circa 80.000 prigionieri e ora ne contengono  145.000. Gli Stati Uniti hanno oltre 2 milioni di persone nelle prigioni statali e locali, e per lungo tempo hanno avuto il tasso di incarcerazione più alto del mondo.

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La carcerazione massiccia incrementa la trasmissione dell' HIV

Sebbene la maggior parte delle trasmissioni di virus HIV tra i consumatori di droga si verifichi all'interno delle loro stesse comunità, anche la carcerazione massiccia dei trasgressori, per reati non violenti, delle leggi sulle droghe, è un fattore importante per l'epidemia. Questo è un problema di salute pubblica critico in molti paesi, compresi gli Stati Uniti, dove la percentuale di casi di HIV e AIDS in carcere è di molte volte maggiore rispetto alla popolazione generale (9,10) e si è stimato che fino a un quarto di tutti gli americani infettati da HIV passino ogni anno per i penitenziari (11). I dati statistici per gli Stati Uniti sono in accordo con le tendenze mondiali, che registrano, in venti paesi di basso e medio reddito, una prevalenza di HIV superiore al 10 per cento tra i detenuti (12).

Gli alti tassi di incarcerazione tra i tossicodipendenti con o a rischio di infezione da HIV sono motivo di profonda preoccupazione, dato che la carcerazione è associata con la condivisione di siringhe, rapporti sessuali non protetti ed epidemie di HIV in diverse parti del mondo. La carcerazione è stata identificata come un fattore di rischio per la trasmissione di HIV nei paesi sia dell'ovest che del sud Europa, e in Russia, Canada, Brasile, Iran e Tailandia (13). La ricerca scientifica ha dimostrato che la condivisione di siringhe è la ragione principale per la diffusione dell'HIV nelle prigioni e le indagini della sanità pubblica hanno dimostrato, con tecniche genetiche virali, che i focolai di HIV sono emersi come risultato di condivisione degli aghi tra i detenuti (13-15). Come descritto di seguito, la carcerazione aumenta anche il rischio di infezione e malattia da HIV a causa dell'interruzione del trattamento antiretrovirale per quel virus.

La ricerca negli Stati Uniti, dove le minoranze etniche hanno molte più probabilità di essere incarcerate, per reati legati alla droga, rispetto ai bianchi, ha concluso che lo sproporzionato tasso di carcerazione è una delle ragioni chiave per spiegare gli alti tassi di infezione di HIV tra afroamericani (16,17). Questa è una preoccupazione urgente di salute pubblica, perché, anche se gli afro-americani costituiscono solo il 12 per cento della popolazione degli Stati Uniti, negli ultimi anni anni rappresentano oltre il 50 per cento delle nuove infezioni HIV nella nazione (18).
L'enfasi globale nell' applicazione delle leggi sulle droghe ha anche portato alla carcerazione di massa dei tossicodipendenti in "Centri di detenzione per droga" obbligatori, in particolare nei luoghi in cui l'HIV si sta diffondendo rapidamente nella popolazione (19). Sebbene questi centri varino sia nel modello che nel funzionamento, è stato ripetutamente documentato come tali centri non offrano trattamenti sulla tossicodipendenza basati sull'evidenza,  né assistenza in caso di HIV. In questi luoghi si sono verificati casi documentati di lavoro forzato, tortura e altre violazioni dei diritti umani (20). Nonostante le recenti critiche di organizzazioni per la salute e per i diritti umani, così come delle Nazioni Unite e del governo degli Stati Uniti, i Centri di detenzione per droga obbligatori  continuano ad esistere soprattutto in Cina e Sud-Est asiático (21,22).

Riferimenti bibliografici:



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