20/05/14

5 premi Nobel per l'economia chiedono la fine della guerra alla droga


In molti, la settimana scorsa, hanno richiamato il recente documento, uscito dalla London School of Economics, e firmato, fra gli altri, da 5 premi Nobel per l'economia. Ma di che si tratta? Di seguito la traduzione della sintesi, di John Collins, contenuta nel documento stesso, che trovate qui in inglese e in spagnolo.






E’ in corso un importante sforzo per ripensare le politiche internazionali sulle droghe. 
Il fallimento delle Nazioni Unite nel raggiungimento del suo obiettivo “un mondo libero dalle droghe”, il persistere degli enormi danni collaterali causati da politiche sulle droghe eccessivamente militarizzate e orientate al controllo, hanno provocato un crescendo di appelli per porre fine alla “guerra alle droghe”. Per decenni, il sistema di controllo messo in atto dall’ ONU ha tentato di applicare un insieme uniforme di politiche proibizioniste, spesso a scapito di altre politiche presumibilmente più efficaci che comprendono aspetti complessivi di sanità pubblica e di gestione dei mercati illeciti.
Attualmente il consenso che sosteneva questo sistema sta andando in pezzi  e si delinea un nuovo percorso verso l’ accettazione del pluralismo nelle politiche globali, e di attenzione al come differenti politiche funzionino in differenti paesi e regioni.
In ogni caso, la domanda rimane la stessa: come possono, gli Stati, collaborare al miglioramento delle politiche globali sulle droghe? Questo documento si occupa di due punti specifici: il primo, la riallocazione drastica di risorse da politiche controproducenti e dannose a politiche di sanità pubblica e di efficacia dimostrata; il secondo, l’ applicazione di politiche monitorate rigorosamente e di regolamentazione sperimentale.
Gli Stati appaiono pronti per dar vita a una nuova varietà di risposte su questo tema, disegnate per soddisfare le diverse necessità nazionali e regionali. Affinché il multilateralismo continui ad essere rilevante, si dovrebbe trasformare da esecutore globale a facilitatore globale. In particolare, l’ONU deve riconoscere che la sua funzione consiste nel dare assistenza agli Stati nell’applicazione di pratiche ottimali basate sulla scienza e sull’evidenza, e non lavorare contro di queste. Se fosse necessario, potrebbe sorgere un nuovo ed efficace regime internazionale fondato sull’accettazione del pluralismo delle politiche. Se questo non accadesse, è probabile che gli Stati facciano unilateralmente i passi necessari e che vadano perse le opportunità di coordinamento internazionale che l’ONU permette di realizzare.
Questo documento inizia con l’analisi di John Collins sulla logica strategica che ha sostenuto le politiche sulle droghe durante l’ultimo secolo. Collins sostiene che l’ideologia di un “mondo libero dalle droghe”, che ha permeato la recente strategia internazionale, è stata sbagliata e controproducente, e che è necessaria una ristrutturazione fondamentale delle politiche e strategie nazionali e internazionali. Di seguito, Jonathan Caulkins suggerisce che gli attuali dibattiti sulle politiche sottostimino gli esiti del proibizionismo nel drastico incremento dei prezzi delle droghe e nella diminuzione della disponibilità delle droghe illegali nei paesi consumatori. Caulkins sostiene che il fine della proibizione non dovrebbe essere la eradicazione totale dei mercati maturi delle droghe, perché non è realista. Al posto di quello, il fine dovrebbe consistere nel far emergere le attività fuori dalla clandestinità e nello stesso tempo nel limitare i danni collaterali creati dal mercato. Tuttavia, questa analisi non si applica ai paesi produttori e di transito, laddove sono situati molti dei costi collaterali del proibizionismo.
Continuando in questa discussione, Daniel Mejía e Pascual Restrepo analizzano gli impatti negativi delle politiche proibizioniste sui paesi produttori e di transito. Mejía e Restrepo sostengono che i governi dell’ America Latina stanno rigettando sempre di più le politiche proibizioniste, perché deficitarie dal punto di vista operativo. Concludono con un appello a valutare le politiche sulle droghe in funzione dei risultati, e non delle intenzioni. Peter Reuter analizza l’evidenza sulla cosiddetta ipotesi dell’effetto “mongolfiera”, che postula come la proibizione o l’eradicazione della offerta in un area si limita a farla spostare in un’altra regione, “senza causare niente più che un inconveniente temporaneo ai suoi autori”. Reuter sostiene che questa ipotesi contiene, al minimo, alcuni elementi di verità e che è richiesta una cooperazione e una gestione effettiva a livello internazionale per mitigare gli effetti  dannosi di questo fenomeno.
Vanda Felbab-Brown analizza l’evidenza che circonda le politiche sul lato dell’offerta, così come sono state aggressivamente applicate negli ultimi decenni dagli Stati Uniti, e dai suoi soci, nei paesi produttori e di transito, indicando come le politiche di eradicazione e proibizione generalizzate non solo sono fallite ma hanno spesso dimostrato di essere tremendamente destabilizzatrici per questi paesi. L’autrice propone un cambiamento verso strategie centrate sulla dissuasione, la selezione degli obiettivi e delle azioni conseguenti di interdizione. Queste devono essere accompagnate da strategie di sviluppo economico effettivo e di sicurezza per la popolazione. Laura Atuesta analizza le carenze che affliggono le Popolazioni Sfollate Internamente (IDP, sigla inglese), generate dalla guerra alle droghe in America latina. Atuesta sostiene che i governi debbono implementare delle legislazioni che riconoscano l’esistenza delle IDP e che servano a garantire le loro possibilità di ritorno nelle regioni di origine, così come un risarcimento economico per i danni subiti. Sostiene che la legalizzazione da sola non risolverà questo problema, e che questa andrà accompagnata da sostanziose riconversioni delle spese attualmente impiegate per la sicurezza nelle area della sanità, dell’educazione e delle infrastrutture di trasporto.
Alejandro Madrazo analizza i costi costituzionali della “guerra alle droghe”, notando come molti dei cambiamenti di legge motivati da una migliore applicazione del proibizionismo siano consistiti in significative alterazioni dei sistemi costituzionali nazionali. Tali alterazioni includono la creazione di strumenti legislativi “eccezionali”. Madrazo sostiene che una volta creati tali strumenti, questi tendono ad ampliarsi e ad essere utilizzati per fini diversi da quelli stabiliti inizialmente, e che tali processi sono difficili da invertire. Continuando sul tema, Ernest Drucker analizza l’incremento esplosivo della carcerazione massiccia negli Stati Uniti dopo la dichiarazione di “guerra alle droghe”.  Drucker insiste che i sistemi penitenziari in grande scala rappresentano, attualmente, un importante fattore determinante per la salute della popolazione in generale. L’autore avverte che, anche se l’incarcerazione massiccia in relazione alle droghe  costituisce perlopiù un fenomeno statunitense, questo si va incrementando in molti paesi in via di sviluppo che stanno sperimentando una crescita dei mercati delle droghe.
Continuando con questa discussione sui risultati in termini di salute pubblica, e concentrandosi su quella che può esser una base per una strategia post “guerra alle droghe”, Joanne Csete analizza gli evidenti benefici dell’adozione di politiche di salute pubblica per gestire il fenomeno “droghe”. Sottolinea che i servizi di salute pubblica, per le persone che consumano droghe, producono risultati positivi e risparmio dei costi. Tali servizi, tuttavia, sono fortemente carenti di risorse. Csete propone che i governi incrementino in modo significativo questi servizi e garantiscano che le forze dell’ordine non ne impediscano l’accesso. Infine, portando l’attenzione sul ruolo della regolamentazione sperimentale in una strategia post “guerra alle droghe”, Mark Kleiman e Jeremy Ziskind analizzano il caso della cannabis, “la droga per la legalizzazione della quale sono in corso seri sforzi”. Essi sostengono che, per quanto si continui ad avere alcune incertezze su alcune questioni chiave, è importante permettere che le giurisdizioni implementino le proprie iniziative in un quadro di regolamentazione sperimentale per determinare quali politiche funzionino e quali debbano essere evitate. Propongono anche alcuni principi regolatori che possono formare una base affinché gli Stati inizino a considerare la regolamentazione della cannabis.

E’ arrivato il momento di sviluppare una strategia internazionale per il XXI° secolo. Questa necessiterà di un certo tempo per crescere. Tuttavia, il compito più urgente consiste nell’ assicurare una base economica solida alle politiche sulle droghe, riallocare le risorse internazionali e riassegnarle di conseguenza. Questo documento traccia una rotta per terminare, finalmente, la guerra alle droghe.

(Traduzione @.r.a.)

15/05/14

Che cosa non cambia con la nuova legge sulle droghe, cioè niente.

Nel mondo si discute sul fallimento della guerra alla droga; ne scrivono premi Nobel, economisti, scienziati, capi di Stato e di Governo, funzionari, artisti, cani e gatti e porci. Non nel Parlamento italiano dove si va avanti a decretazione di urgenza e svolte che fanno svoltare solo chi le promuove.
Così ieri è stato trasformato in legge il decreto Lorenzin; stesso strumento legislativo, sanzionato dalla Corte costituzionale non più tardi di tre mesi fa, stesso impianto proibizionista, stesse facce con in testa Giovanardi, nominato relatore in Aula ( N.B.: Presidente della Giunta per le autorizzazioni, Presidente del Comitato Parlamentare per i procedimenti di accusa, Membro della I Commissione Affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e Interni, Membro della II Commissione Giustizia, e, last but not least, candidato sindaco a Modena).
Che cosa non cambia? Scusate se per prima cosa rilevo che la coltivazione domestica di canapa resta un reato penale; e che, oggi come ieri e altro ieri, la stessa quantità di canapa, per uso personale, trovata in tasca o in casa, se deriva da un acquisto in piazza è illecito amministrativo, se coltivata in proprio è reato penale. Questo mentre si riconosce universalmente, anche se in Italia non ci se ne accorge, che un primo passo graduale di uscita dalla scellerata strategia persecutoria messa in moto 50 anni fa è esattamente la legalizzazione della coltivazione per uso domestico.
Grazie al referendum promosso dai radicali nel 1993, l’uso personale non è proibito, e non dà luogo all’arresto; però non vi crediate di passarla liscia, ancora oggi è possibile levarvi patente, passaporto, paternità, maternità, farvi perdere il lavoro, la famiglia, ridurvi un reietto della società, spedirvi in una comunità terapeutica, farvi analizzare tutte le settimane, imporvi l’obbligo di firma. E scusate se è poco.
Resta vietato, e dà luogo a sanzioni penali, coltivare, produrre, fabbricare, estrarre, raffinare, vendere, offrire o mettere in vendita, cedere o ricevere, a qualsiasi titolo, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare, procurare ad altri, inviare, passare o spedire in transito, consegnare per qualunque scopo o comunque illecitamente detenere, quantità che non sono ancora fermamente stabilite, e che potrebbero anche cambiare a sorpresa e a piacimento di questo o quel Governo.
Certo, le pene per quanto riguarda la cannabis sono diminuite, se erano previsti dai 6 ai 20 anni con la Fini Giovanardi, ora il peggio che vi possa capitare è subire una condanna di soli 6 anni (più 77.468 euro di multa), e al meglio di 2 (più 5164 euro di multa); aumentano invece le pene per tutte le altre sostanze, e per qualche tiro di coca o qualche pasticca vi beccate la reclusione da otto a venti anni e la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni (la conversione in euro fatela voi, che a me scappa da ridere).
Per le “droghe leggere” diminuisce anche il periodo per il quale potete essere sottoposti a sanzioni, in caso che riusciate a pagarvi un buon avvocato e a dimostrare l’uso personale, ma ce n’è comunque abbastanza per rovinarvi la vita.
Per armonizzare questo abburatto di legge con i decreti svuotacarcere, resta in vigore l’eccezione di lieve entità, equiparata per pesanti e leggere, con una incoerenza ferrea.
Che cosa ci sia da festeggiare, nell’arcipelago senza traghetti del mondo antipro italiano, non si capisce. Anche lo spadone di Damocle dell’inserimento in tabella “pesanti” della cannabis, qualora contenga un quantitativo considerato troppo alto di THC, resta intatto e presente, è solo questione di tempo. Poi sarà come dire: “Signor Governo, mi posso sballare a casa mia, e senza dare noia a nessuno?” “Sì, ma poco poco, e ti sfracasseremo la minchia lo stesso”.
E, come si va ripetendo da decenni, cui prodest? Indovinate un po’, quale sarà l’effetto dell’aumento di pene per le “pesanti” … quello di aumentare i prezzi, aumentando il rischio? Bravi. E chi beneficerà di tale aumento? La criminalità organizzata. Esatto.