25/12/11

La morte di Giuseppe Uva, un caso di vendetta tribale, a spese nostre.


Notte di giugno, 2008, Giuseppe Uva e Alberto Biggiogero, un po’ sbronzi, si accaniscono su delle transenne in una strada di Varese, spostandole; non si fa, direte, no, certo, ma mica è un delitto grave. Si ferma una macchina dei carabinieri, e da qui ci si deve affidare alla testimonianza resa da Alberto, perché quella di Giuseppe non la possiamo più avere, dato che Giuseppe Uva muore, nel giro di poche ore. Alberto, che queste testimonianze le ha date presentando due denunce, non è stato mai ascoltato e continua a ricevere minacce di morte, per sms, oltre ad una visita di “ladri” che gli hanno devastato l’abitazione.
Uno dei due carabinieri grida: “Uva! Proprio te cercavo stanotte! Questa non te la faccio passare liscia, questa te la faccio pagare!". Le botte iniziano a fioccare subito, a tutti e due, poi vengono caricati su macchine diverse (altre due macchine, della Polizia di Stato, sono sopraggiunte subito dopo), e portati nella Caserma dei Carabinieri.
Alberto, rinchiuso in una cella da solo, sente grida spaventose e urla di dolore nella stanza accanto, e chiama il 118, chiedendo l’intervento di un ambulanza, perché “stanno praticamente massacrando un ragazzo”; l’addetto del 118 fa una telefonata di controllo in caserma e gli viene risposto “No guarda, sono due ubriachi che abbiamo qui in caserma, adesso gli tolgono il cellulare”.
All’ alba sono i carabinieri stessi a chiedere un TSO per Giuseppe Uva, “uno molto agitato, violento, che minaccia tutti”; alle 8.25 viene ricoverato, alle 10.30 cessa di vivere, per cause da stabilirsi. Il Comandante del posto fisso della Polizia di Stato all' interno dell' ospedale rileva le varie ferite e i vari lividi, segni di bruciature di sigarette in faccia, bozzi e sangue posto dietro il collo, corpo tumefatto ovunque, e "si soggiunge che non c'è traccia degli slip, indumento neppure consegnato ai parenti ( perchè probabilmente intrisi di sangue ) e tuttavia non si può sottacere il riscontro obiettivo di pseudomacchie ematiche riscontrate a tergo sui pantaloni poi posti sotto sequestro con gli altri vestiti”.
La sorella, Lucia, chiamata a vedere la salma, la fotografa, nota i lividi, il pannolone, il sangue, le tumefazioni e inizia una battaglia legale cocciuta e determinata, che conduce fino ad una nuova perizia sugli indumenti, nell’ottobre del 2011, e alla riesumazione della salma, pochi giorni fa; nei pantaloni, intrisi di sangue nella zona del cavallo, tracce di "materiale biologico", non suo.
Questi i fatti, il motivo del risentimento, che ha portato alla pena di violenza, tortura e morte, sarebbe “una questione di donne”; si sa, la mente umana è un abisso, e ci sta che uomini o donne, più spesso uomini, possano desiderare di tirare due puntoni al/alla rivale, per quel famoso onore mal risposto. Da qui ad usare una caserma, sei agenti, più tutta la solita sfilza di funzionari e impiegati conniventi a vario titolo, a spese nostre, per portare a termine una vendetta spietata e miserabile, ce ne corre, ed è cosa che dovrebbe interessare tutte le autorità, a cominciare dai ministri competenti, ma anche tutti noi cittadini.

12/12/11

Cronaca del presidio antiproibizionista davanti alla Prefettura di Roma il 10 dicembre 2011

Il 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti umani, si ricorda la data di approvazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, carta fondante della civiltà, così come fino ad oggi ce la siamo rappresentata, nel mondo occidentale ma non solo. I principi che guidarono la Dichiarazione venivano da lontano, e facevano parte di un universale umano che, pur nelle ripetizioni della storia, ha un percorso e un riconoscimento, sia accademico che di evidenza.
Il diritto individuale e personale ad esistere liberamente, con tutti i paletti che il diritto altrui può e deve mettere, è fra le linee della Dichiarazione, grazie alle forze liberali, e al lume della ragione; così come i diritti economici e sociali stanno ugualmente fra le linee per l’influenza di forze popolari e socialiste.
L’analisi del proibizionismo, portata avanti da svariati gruppi in tutto il mondo, fra i quali si cita il Partito Radicale per continuità e per visione transnazionale e transpartitica, e la Commissione Globale che ha recentemente rilanciato fornendo, con il suo Documento, un utile e attuale strumento, ha compreso quella della violazione dei diritti umani, sia dal punto di vista del diritto ai comportamenti individuali e personali, senza vittima, sia dal punto di vista del diritto del cittadino che deve scontare le conseguenze economiche di questo giro immenso di finanza al nero; in più, la persecuzione che in tanti paesi insiste sugli ultimi anelli di questo mercato, e si accanisce sui più deboli, sui malati, sui poveri, è di per sé una palese violazione.

Il proibizionismo è un osso duro, si manifesta in terra come un centro di potere organizzato, che muove gran parte delle finanze mondiali attraverso il traffico di armi, esseri umani e droga; una organizzazione criminale che reinveste i guadagni in corruzione degli eserciti, delle forze dell’ordine, di tutte le classi dirigenti globali, una ampia collusione tra centri di potere istituzionali e malavite organizzate, a tal punto che non si riesce spesso, e in molte zone geografiche di tutto il pianeta, a distinguere l’una dall’altra. Narcotraffico e proibizionismo sono due facce della stessa medaglia, come le cifre globali e l'evidenza dimostrano; il narcotrafficante non è solo un picciotto col ferro, nè un ispanico tatuato, è seduto nei consigli di amministrazione e nei consigli dei ministri, nelle assise internazionali altrettanto che nei vertici mafiosi.
La riunificazione dei gruppi antiproibizionisti, dal livello locale al globale, è l’unica possibile arma per spezzare questa catena viziosa; il numero delle persone coinvolte, dalla parte dei consumatori, dei coltivatori, dei farmacodipendenti, dei detenuti, dei piccoli spacciatori, è rilevante, e la configurazione in massa appare come l’unica strategia possibile, anche per tentare una conversione nonviolenta che prevenga violenti scontri sociali e disordini.
In questo percorso, verso “Vienna 2012, la fine del mondo proibizionista”, sabato mattina si sono riuniti, in pubblico, in pieno centro di Roma, a presidio simbolico della Prefettura, alcune forze politiche e movimenti che non si incontravano da molto tempo, sotto due striscioni che richiamavano uno, come il proibizionismo sia una violazione dei diritti umani, l’altro, il ricordo e il pensiero a tutti coloro che sono morti in carcere, o anche prima di arrivarci, e non di morte naturale, ma a forza di botte ad opera di squadre punitive organizzate; le parole delle striscioni non erano esattamente queste, ma non le ricordo.
Il Centro Sociale Occupato Ricomincio dal Faro ha portato un furgone sonoro ed ha iniziato la giornata con un reggae soft e molto gradevole, alle 10; c’erano più forze di polizia che presidianti, presenti il CSO, MMM, ASCIA, ARA, PIC, onorati, nel corso della mattinata, dalle visite di RI e di SEL. In altre città italiane si stavano, intanto, riunendo altri gruppi, fra i quali MLA e ALC, Comitato Verità per Aldo, a Perugia, Genova e altrove.
Quando i responsabili della sicurezza pubblica si sono resi conto che la temuta riunione si stava svolgendo, per mutua scelta, fra poche decine di persone del tutto innocue, hanno sfoltito il presidio del presidio, e le tenute antisommossa sono sparite, mentre la componente della sinistra estrema, e non vorrei offenderla, ma non si sa più come chiamarla, approfittava per passare a musiche più connotate politicamente, nelle quali si inneggiava alla ricerca casa per casa dei fascisti e dei poliziotti, generando qualche contromossa che assomigliava alle danze tribali che precedono, o esorcizzano, una battaglia. E’ però un bene che i responsabili dell’ ordine pubblico si rendano conto di che cosa le loro politiche, sulle droghe e sulla sicurezza, hanno generato, e di come abbiano ridotto il rapporto tra giovani cittadini e forze dell’ordine a una battaglia permanente, fra pressapochismo culturale e mancata formazione di ambedue; il livello di violenza e di conflitto sociale è più alto di quanto percepito da uomini politici, giornalisti, intellettuali, professori.
I gruppi antiproibizionisti, e quelli che si sono fatti responsabili di rappresentarli, esponendosi, possono trovare una via di fuga, tra violenza e sconfitta, attraverso armi nonviolente di massa, che forse hanno aspetti utopici, ma non conoscono, per ora, altra alternativa che la rinuncia alla lotta. C.S.

16/09/11

TRE PUNTI DI VISTA SULLE DROGHE

La stampa italiana si è occupata questa settimana dei dati contenuti nel Rapporto della Agenzia ONU sulle droghe e sul crimine ( e già dal nome si capisce la linea ), un Rapporto che l’ UNODC ((United Nations Office on Drugs and Crime ) produce ogni anno, e che questo anno si è sovrapposto al Controrapporto della Commissione Globale; il fatto che quest’ ultima vedesse una forte partecipazione di ex funzionari ONU, primo tra tutti Kofi Annan, ha generato qualche equivoco, che non avrà fatto certo ridere l’ UNOCD; fra altri diretti messaggi critici, la Global Commission si esprime così: “Le istituzioni dell’ ONU per il controllo sulle droghe hanno lavorato in gran parte come difensori delle strategie tradizionali. Di fronte alla evidenza crescente del fallimento di tali politiche, sono necessarie delle riforme. C’è stato qualche incoraggiante riconoscimento da parte dell’ UNODC sulla necessità di bilanciare e modernizzare il sistema, c’è tuttavia ancora una forte resistenza istituzionale a queste idee”.
Nel World Drug Report 2011, si evidenzia come il mercato di droghe sintetiche sia in costante crescita, particolarmente in Europa, risultando secondo solo alla cannabis. Si può facilmente immaginare, dal punto di vista di chi si arrichisce con le politiche poliziesche e proibitive, quanto sia più vantaggioso il mercato delle droghe sintetiche rispetto a quelle “tradizionali” (canapa, coca, oppio, principalmente); eliminato ogni rischio per le coltivazioni che, outdoor o indoor che siano, richiedono tempi lunghi, spesso le nuove sostanze sintetiche vivono per i primi due o tre anni in modo legale, fino a che la legge non va a colmare il vuoto e le inserisce nella tabella degli stupefacenti, che infatti cresce a vista d’occhio, specie sotto gli occhi di Giovanardi, che vieterebbe anche il bagnoschiuma alla canapa. Invece che piantagioni e fazendas estese bastano piccoli laboratori sparsi vicino ai luoghi di vendita, ed ecco eliminato anche il rischio e le spese del trasporto da altri continenti; i controlli sanitari sono pari a zero, così come quelli merceologici, di tossicità, della finanza, ecc. l’unico controllo da temere è quello, definitivo, delle forze dell’ ordine. Ma, evidentemente, se si hanno le amicizie giuste il controllo non passa, tanto che il commercio di gocce, pasticche, pillole, cartoni, prospera e cresce.
Così il World Drug Report: “La cannabis è di gran lunga la droga illecita più largamente consumata … in termini di prevalenza annuale, la cannabis è seguita dagli stimolanti tipo anfetamina ( prevalentemente metanfetamina, anfetamina e ecstasy), gli oppiodi ( oppio, eroina e oppiodi farmacologici ) e la cocaina.” L’ UNODC azzarda anche un tentativo di spiegazione per questo aumento del consumo di droghe sintetiche: “Inoltre, molti nuovi composti di sintesi sono stati immessi sul mercato delle droghe illecite esistente. Molte di queste sostanze sono commercializzate come “droghe legali” … si è osservato un fenomeno simile per quel che riguarda la cannabis, vista la crescita della domanda di cannabinoidi di sintesi in alcuni paesi, venduti su Internet o nei negozi specializzati … Le misure di controllo applicate a questi composti variano considerevolmente da un paese all’ altro.”
Il differenziale di rischio tra coltivare, lavorare, distribuire cannabis e sintetizzare inodori composti sintetici di sostituzione è chiaro anche ai più sprovveduti. Il rischio è gran parte del valore aggiunto che una merce, una volta resa illegale, acquista, è quello che fa lievitare i prezzi dal grosso trafficante fino al piccolo spacciatore di strada o di compagnia.
Si è chiusa intanto ieri, 14 settembre, la “III Conferencia Latinoamericana sobre Políticas de Drogas”, a Citta’ del Messico. La location dell’ evento ha fatto sì che, più che delle droghe sintetiche, si discutesse della terribile violenza conseguente alla guerra alla droga, in questo caso, la guerra alla cocaina, una guerra a due facce, una più brutta dell’altra, da una parte il terrore e la miseria che tengono schiacciati milioni di cittadini latinoamericani, dall’ altra la crapula ipocrita dei vizi privati e delle pubbliche virtù imposte agli altri. I rappresentanti dell’ UNODC per l’ America latina hanno assicurato un cauto appoggio alla autonomia degli Stati, affinché possano utilizzare metodi alternativi di approccio, e facilitare il trattamento sanitario, e non detentivo, per i consumatori problematici. E’ stato ribadito come i programmi di scambio di siringhe diano prospettive di riduzione del 50% di infezioni di HIV entro il 2015, altro problema fortemente sentito in tutta l’America Latina.
Poi c’è l’ Italia, e quel che succede in Italia sulle droghe non è un punto di vista, è un disastro. Le carceri sono piene di poveracci extracomunitari che spacciavano bustine per disperazione, assoldati dalle malavite organizzate; di poveracci tossicodipendenti che non hanno i soldi per andare a curarsi in convento o in Svizzera, ed hanno la fantastica prospettiva di farsi l’astinenza e la disintossicazione o in carcere o in una comunità di Don Gelmini; di consumatori scambiati per spacciatori da un sistema terroristico di polizia; di malati, o sani, che si erano coltivati una pianta di canapa in salotto, reato punito con una pena da due a sei anni, secondo Giovanardi, e meno male che qualche giudice c’è, che comincia a porre dei dubbi.
Le carceri piene di disgraziati, e i palazzi pieni di politici corrotti e corruttibili, e ricattabili.
Sul tema droghe, la classe dirigente italiana, e in particolare il DPA attuale, non è riuscita a esprimere niente di buono, non è riuscita a produrre risultati valutabili in altro modo che non con dei dati taroccati, non ha saputo in nessun modo aggiornarsi e ammodernarsi nell’ottica di un miglioramento sociale.
Stupisce, anzi oggidì non ci si stupisce più di nulla, la tolleranza che lo stesso centrodestra nelle sue componenti liberali (ma come parlare di liberali riferendosi all’attuale Parlamento e, ancor più, all’ attuale Governo? fare i liberali tocca, anche questo, ai radicali) porta a questi due ridicoli Guardiani della Conservazione, Carlo Giovanardi e Giovanni Serpelloni, che nel 2011 vengono di nuovo a proporci argomenti di consistenza come l’ uguaglianza fra sostanze, la demonizzazione anche dello stesso dibattito pubblico e la logica inversa che predicano, che la decriminalizzaizone e la legalizzazione aumentino il consumo, falso dimostrato dalla storia, fino dalle guerre dell’ oppio, se non bastasse il più recente Al Capone.
Dover ringraziare Vittoria Brambilla che si è opposta con chiarezza agli atteggiamenti omofobi di Giovanardi (perchè i proibizionisti sono spesso omofobi, chissa come mai), concedendo il patrocinio ministeriale alla Fiera del turismo LGBT che si terrà a Bergamo, è un segno dei tempi.

Claudia Sterzi

Tarantini e la cocaina

Tarantini e la cocaina (ciò di cui non si può parlare, è proprio ciò che non va taciuto).
Contadine columbiane
Contadine columbiane
2009, 10 settembre, due anni fa – vengono pubblicati i verbali delle deposizioni e degli interrogatori resi nel luglio da Gianpaolo Tarantini, in­dagato per corruzione, favoreggiamento della prostituzione e cessione di stupefacenti, nella caserma della Guardia di Fi­nanza di Bari.
“Prima di andare in Sardegna, io, Massimo Verdoscia e Alessandro Mannarini (anche lui iscritto nel registro degli indagati per cessione di droga, ndr ) decidemmo di ac­quistare un quantitativo di circa 50-70 grammi di cocaina ed un quantitativo più ridotto di MD”.
“Io tenni per me la parte più rilevante conservandola nella cassaforte della mia camera da letto”.
“Ho acquistato stupefacenti anche in passa­to ma da altre persone”
” Le cessioni da me operate nel tempo non sono state finalizzate a coltivare relazioni pro­fessionali ma operate al fine di tenere alto il si­stema delle mie relazioni personali innanzitut­to nella città di Bari”.
Dieci giorni dopo, il 20 settembre, il pm Giuseppe Scelsi ordina il suo fermo contestando all’imprenditore lo spaccio di cocaina; secondo l’accusa non ha acquistato 50-70 grammi di cocaina, ma circa 500 grammi.
Il fermo dura assai poco, visto che nell’ agosto 2010, “dopo undici mesi di arresti domiciliari nella sua casa romana”, Gianpaolo Tarantini torna un uomo libero, per decisione del gip del tribunale di Bari. Tarantini è accusato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso con altre cinque persone e chiede di patteggiare la pena a due anni e sei mesi di reclusione.
Nel giugno di questo anno l’ “imprenditore” barese viene condannato a due anni e due mesi di reclusione con rito abbreviato, per detenzione e cessione di droga. Quindi, in effetti, deteneva, consumava, cedeva, ingenti quantità di cocaina.
Non ce l’ho con Tarantini in particolare, né con la cocaina, anzi, ma si potrà pur chiedere perchè per il 99% degli italiani un reato come quello di detenere, consumare, cedere dai 70 ai 500 grammi di cocaina dà luogo a un trattamento molto diverso in termini di pene, di controlli ai quali sottoporsi, di detenzione, di limitazione della libertà personale?
Non risulta che Tarantini, così come Mele, Micciché, Marrazzo, Elkan, abbia dovuto sottostare al ritiro della patente, all’obbligo di presentarsi al Sert, ai controlli periodici di polizia, alla detenzione in condizioni ripugnanti, come succede alle migliaia di ragazzi italiani e stranieri arrestati ogni anno per molto meno.
Sarà l’ora di parlarne, invece di fare gli struzzi, della cocaina, della cocaina dei ricchi e di quella dei poveri. Quella che parte dall’ America latina e arriva in Europa, con il suo carico di disperazione e di morte che non è certo dovuto alla pianta originaria, né alla polvere derivata in sé, ma ad una politica di interessi privati in atti pubblici e di violazione dei diritti umani.

Grazie, Serpelloni.



La migliore arma dell’antiproibizionismo italiano si chiama Serpelloni; insieme a Giovanardi, sta dando una immagine molto negativa delle politiche che sostengono e dei metodi che usano. I loro comunicati evidenziano una assoluta discrepanza fra ciò che predicano da un giorno all’altro.
Nel patetico tentativo di difendere l’indifendibile “legge” Fini-Giovanardi stanno portando alla logica attacchi continui, oggi è stata la volta di Serpelloni cimentarsi nella negazione dell’evidenza. La frase, detta, e scritta, da Vasco Rossi, “Chi sostiene il proibizionismo sostiene, di fatto, gli interessi della Mafia e della malavita” è una affermazione forte, tanto più che scaturisce dall’evidenza, quale sta sotto gli occhi di tutti, dal più potente al più povero; scritta dal popolare cantante assume un rilievo mediatico che il DPA non poteva negare. Non è facile riuscire a confutarla, ma, soprattutto, perchè confutarla? Perchè difenderle, queste mafie del mondo, attribuendo le colpe e le responsabilità del loro prosperare proprio alle loro vittime?
Serpelloni distingue tra consumatori di droghe leggere e pesanti, in questo contraddicendosi la prima volta, visto che la Fini Giovanardi ha reintrodotto l’equiparazione tra, per esempio, eroina e cannabis; e attribuisce gradi di responsabilità diverse ai consumatori, a seconda della sostanza che usano. “Chi è dipendente da cocaina o eroina” vive una situazione ben diversa, dice Serpelloni, di chi acquista cannabis “per il proprio piacere personale”; qui si contraddice perchè fino a ieri veniva propagandata la “tossicodipendenza da cannabis”, mentre ora si accenna a una bella diversità tra la dipendenza e la soddisfazione di un proprio piacere personale.
Ma è il consumatore di cannabis, specificamente, che viene additato come primo responsabile della prosperità mafiosa; è lui, “che compra droga dai suoi spacciatori fornendo loro direttamente quel denaro che alimenta proprio le organizzazioni criminali”; è lui che “finanzia le mafie!”; è lui che, acquistando “anche una piccola dose di cannabis e derivati, o di qualsiasi altra droga, per il proprio piacere personale finanzia la violenza e il malaffare delle organizzazioni criminali e del terrorismo”.
Tanto i consumatori di canapa lo sanno, tutto questo, che in gran parte preferirebbero costituirsi in social club, o in produttori registrati, o in coltivatori domestici, legali e tassabili, invece che essere costretti a finanziare il marketing proibizionista; ma Serpelloni ha già pronta la replica per i fautori dell’ autocoltivazione, che pure toglierebbe una parte di guadagni al narcotraffico, libererebbe ingenti risorse impegnate nella repressione poliziesca, giudiziaria e carceraria (coltivare anche una sola pianta di canapa è reato penale, pur essendo il consumo personale un reato “solo” amministrativo, da referendum radicale del 1993), oltre a permettere un regolare controllo e conteggio sul prodotto venduto.
La replica è una domanda, che è un invito a correre: “La cannabis è una sostanza sicuramente tossica (o vogliamo discutere anche su questa evidenza scientifica?)”
Sì, Dottor Serpelloni, ne vogliamo discutere; la dose letale della cannabis è da 20000 a 40000 volte la dose normale, mentre per il caffé la dose letale è tra le 100 e le 150 volte la dose normale, per esempio, e il Valium ha una dose letale pari a 7 volte la dose normale. Discutiamone, allora.
E discutiamo anche di questa altra ridicola affermazione: “La legalizzazione porterebbe solo ad un aumento dei consumi cosi come ampiamente dimostrato per l’alcol e il tabacco”. No, Dottor Serpelloni, l’ esperimento americano sull’alcol di ottanta anni fa è una classica dimostrazione dell’opposto, e l’impennata sui consumi di alcol da parte dei giovani deriva esattamente dalla mancanza di informazione corretta e dai vari lacci che sono stati messi al commercio peraltro legale degli alcolici. Dovunque, nella geografia e nella storia, una sostanza sia stata sottoposta a proibizionI, questo ne ha aumentato la domanda e i prezzi.
Grazie, DPA! Con tali penose menzogne siete la miglior dimostrazione della pochezza delle vostre politiche.

Patetica difesa dell’ indifendibile da parte del Dipartimento Politiche Antidroga

E dove Giovanardi e Serpelloni non arrivano, giunge in soccorso la professoressa ELISABETTA BERTOL. Vasco Rossi, insieme ad un movimento popolare crescente, rischiano di stravolgere tutti i fondamenti delle politiche del DPA negli ultimi anni; la Signora Tossicologa non trova di meglio che vecchi libri, correlazioni che non reggono (visto che i test rilevano l’uso anche di settimane prima, l’unica cosa dimostrata è che una certa percentuale di persone ha fatto uso di cannabis precedentemente e indipendentemente, fino a prova contraria, da incidenti di vario tipo), e ancora di nuovo il vecchio argomento-bidone, “che oltre il 95 % dei td da eroina o cocaina in trattamento hanno iniziato il loro percorso di malattia proprio con la Cannabis” … argomenti inesistenti, non scientifici, di comprovata falsità.
Sui fantomatici ed isolati studi attestanti la pericolosità neurologica o psicologica, appare ovvio che se si prende a campione una popolazione adolescenziale che fa un uso problematico di cannabis (associata ad altre sostanze e in dose massiccia) si trovano alterazioni; peccato però per gli esperti del DPA, e per noi cittadini, che proprio quegli usi problematici siano in netto calo ovunque si sia riusciti a sperimentare, in barba a loro, politiche di decriminalizzazione e legalizzazione.
Serve la contestazione dell’argomento “cannabis porta di ingresso per droghe pesanti”?
1 – la correlazione non dimostra il contrario (cioè il fatto che il 95% dei td abbiano fatto uso di cannabis non dimostra che dalla cannabis si passi alle droghe pesanti)
2 – la correlazione sta nei due mercati che sono mantenuti contigui dal proibizionismo e dalle leggi che non distinguono tra droghe e cannabis
3 – la correlazione si può trovare anche con le sigarette (il 95% e più dei td ha fatto uso precedentemente alla tossicodipendenza, di sigarette e/o alcool e/o caffé ecc., fino a risalire alla cioccolata e all’estaté).
Con tutti i milioni di parole inutili che vengono pubblicati ogni giorno, l’ultima cosa di cui dolersi è se un cantante famoso, come Vasco Rossi, decide autonomamente di rivelarsi ai suoi fans in una serie di post e di clippini su facebook; se proprio non lo si sopporta, basterà non leggerlo.
Ma poteva il DPA sfuggire questa occasione per dimostrare la sua abissale distanza dal mondo reale? No, ovviamente.
Quindi si è lanciato in una campagna di discredito dalla quale non può uscire che perdente; e tanto si deve essere innervosito che ha usato argomenti più miseri del solito; anche perchè non ne ha altri.
Serpelloni si è improvvisato veggente, leggendo negli occhi di Vasco “la profonda sofferenza e la grave difficoltà che fortemente trasparivano dallo sguardo e dai confusi ragionamenti”; visto che la lettura dello sguardo non è una scienza ufficiale potremmo anche noi tutti scrivere ciò che leggiamo negli occhi di Serpelloni e Giovanardi, ma vorremmo ancora restare a piede libero, e non lo scriviamo.
Giovanardi non ha trovato di meglio che ripetere l’assioma logicamente errato che striscia sotto ogni sua dichiarazione “questo flagello, che sicuramente aumenterebbe a dismisura se, come Rossi in maniera sprovveduta suggerisce, si passasse alla legalizzazione dell’uso delle sostanze”. Ora, si dà il caso che “il flagello” sta aumentando a dismisura da 50 anni, cioè proprio da quando la Convenzione Unica sui Narcotici ha dato il via a tutte quelle folli strategie proibizioniste che dopo aver invaso le città di tossicodipendenti hanno insanguinato mezzo mondo, arricchendo e finanziando la criminalità organizzata, come già era stato evidentemente dimostrato dall’esperimento americano del proibizionismo sull’alcool. Si dà il caso che, laddove si è riusciti a tentare sperimentazioni di parziale legalizzazione e decriminalizzazione siano diminuiti tossicodipendenze e uso problematico, si dà il caso che anche agli occhi di un bambino di diciotto mesi appare ovvio che ciò che è proibito piace di più, e che solo lo spietato marketing, perchè di questo si tratta, della criminale collusione tra politica e mafie poteva riuscire, ed è riuscito, a invadere il mondo di tossicodipendenti e consumatori problematici.
Ora l’arrampicamento sugli specchi della Signora Tossicologa evidenzia la povertà assoluta di logica e di forza degli argomenti; hanno, dalla loro parte, solo tanta arroganza.
E’ una vergogna, fra le tante, tutta italiana, avere simili personaggi addetti alle politiche sulle droghe, dei quali non si può sapere se è più l’ignoranza o la malafede.

Claudia Sterzi

07/08/11

Agli amici e compagni antiproibizionisti - leggete, aderite e diffondete, grazie


Il 14 agosto un giorno di sciopero totale della fame e della sete, per la convocazione straordinaria del Parlamento su Giustizia e Carceri

Come antiproibizionista radicale, sono dal 31 luglio impegnata in una iniziativa nonviolenta di sciopero della fame con l'obiettivo di portare fuori dal carcere consumatori, piccoli spacciatori, tossicodipendenti e coltivatori, rivolta ai due firmatari della cosiddetta legge Fini-Giovanardi, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, quindi, e il sottosegretario con delega alle politiche sulle droghe, Carlo Giovanardi.
Di fronte al richiamo che da tante autorevoli voci è venuto, dalla Global Commission fino alle più recenti, espresse in Italia dal Presidente Napolitano, in favore di una decriminalizzazione progressiva dei reati "di droga", è necessario dare loro forza, con iniziative di lotta nonviolenta.

Vi invito ad aderire a questa giornata di iniziativa nonviolenta, tesa ad una convocazione delle Camere straordinaria, che affronti i problemi legati alla giustizia, alle condizioni carcerarie e alla depenalizzazione e depenitenziarizzazione dei reati senza vittima.

Ce la faremo, con la partecipazione di tutti
Claudia Sterzi

05/08/11

Francia, Svizzera, Georgia: si discute su strategie alternative sulle droghe. Italia non pervenuta.

Il 29 luglio il DPA, nel dare notizia della firma, a Palazzo Chigi, lo scorso 25 luglio, di un secondo protocollo di ricerca scientifica tra il DPA e il National Institute on Drug Abuse (NIDA), "che favorirà lo svolgimento di ricerche reciprocamente vantaggiose per migliorare la diagnosi, il trattamento dell’uso di droga e la dipendenza", protocollo che segue l' Accordo di collaborazione scientifica firmato l' 11 luglio a Washington, aveva colto l’occasione per augurare, a tutti i lettori della newsletter di Droga News, e a tutto lo staff del DPA, buone vacanze.

"La pausa estiva inizia dunque con la costruzione dei presupposti per l’avvio, al rientro dalle vacanze, di una strategia globale, internazionale e, quindi, speriamo sempre più efficace di lotta e prevenzione della diffusione delle droghe e delle tossicodipendenze".

Invece, a seguito di una temuta (dal DPA), flebile ripresa di dibattito in Italia, sollevato dal Rapporto della Commissione Globale per le politiche sulle droghe, ecco che ad agosto iniziato, Giovanardi si produce ne Il cavaliere della guerra perduta. "La lotta alla droga e alle tossicodipendenze non ha nazionalità e non conosce confini", aveva già annunciato il sottogretario, dimenticando che la guerra alla droga, in più di 40 anni, non è stata utile neanche a diminuire il consumo, rivelandosi invece capace di aumentare vertiginosamente gli usi problematici, le tossicodipendenze, i guadagni della criminalità organizzata, la corruzione politica e delle forze dell'ordine, gli investimenti sperperati in azioni di polizia inutili, il danno sanitario e sociale prodotto.

Per dimostrare che il documento della Global Commission è irrilevante, e non vale la pena neanche di discuterlo, Giovanardi si attacca ad argomentazioni piuttosto deboli e speciose; nega valore al rapporto, lo denigra senza entrare nel merito, e afferma pure che "i dati presentati da questa commissione a sostegno delle tesi di legalizzazione delle droghe sono stati fortemente contestati perchè non corrispondenti al vero".

Si vorrebbe sapere dal DPA quali dati sono stati contestati, e da chi, visto che il rapporto si basa su dati di fonte ONU e su una bibliografia di studi accreditati e istituzionali; sui dati, poi, il DPA italiano ha dimostrato di non essere in grado di dare lezioni a nessuno. Sono mesi che non perde occasione di citare a suo sostegno un unico studio americano, facilmente contestabile, che dimostrerebbe come "far calare la disapprovazione sociale e la percezione del rischio ... rende più socialmente accettabile l'uso di cannabis e fa aumentare il consumo proprio nelle giovani generazioni incrementando l'incidenza di disturbi psichiatrici precoci".

Questa dei disturbi psichici è una fissa di Giovanardi, una ossessione; se ne avvale anche per parlare male dei farmaci cannabinoidi, "farmaci che sono comunque di seconda scelta rispetto ad altri più efficaci e sicuri, vista l'alta percentuale di disturbi psichici associati documentata"; sui farmaci prescritti per le stesse malattie per le quali in molte parti del mondo si prescrivono cannabinoidi, e sui loro effetti collaterali, basta far parlare l'evidenza delle testimonianze dei malati.

Dopo aver profuso questa serie di baggianate oscurantiste, conclude il Giovanardi: "Forse è proprio arrivata l'ora di piantarla di scrivere imprecisioni e notizie contorte e confuse, avendo ben chiaro che chi lo fa si assume la responsabilità scientificamente provata di far aumentare il numero dei consumatori”. Cioè, secondo lui, aprire un dibattito pubblico sulla base di evidenze, nel tentativo di limitare i guasti sanitari e sociali del proibizionismo, fa aumentare il numero dei consumatori; è evidente che è il contrario, tanto che in altri paesi il dibattito si è aperto.

Questa settimana sono arrivati in Italia gli echi di alcuni di quei dibattiti, dalla Francia, dove l'economista Pierre Kopp, in una intervista a Le Monde, stima che se la canapa fosse tassata come lo è il tabacco, lo Stato guadagnerebbe più di un miliardo di euro, sufficienti a finanziare la prevenzione. "Per gli economisti - argomenta Kopp - le buone politiche pubbliche sono quelle che minimizzano i costi sociali, cioè quelle che permettono di migliorare il benessere della collettività al minor costo. Quella applicata alla canapa costa cara, con incerti benefici".

Dalla Svizzera François van der Linde, presidente della Commissione federale per le questioni relative alla droga (CFQD) è uscito con una dichiarazione definita dalle agenzie "un fulmine a ciel sereno": "I divieti, nel senso penale del termine, non servono a nulla". La posizione della CFQD non rappresenta una novità: già dal 1989 sostiene l'idea della depenalizzazione; in un rapporto pubblicato a fine maggio da tre commissioni nazionali che si occupano rispettivamente di droga, alcol e tabagismo, gli esperti delle tre commissioni sono unanimi nell'affermare che è indispensabile delineare nuove strategie. Gli autori del rapporto affermano: "In generale il consumo di sostanze legali genera conseguenze ben più gravi sulla salute che non quello di sostanze illegali". Per François van der Linde, va abolita la distinzione tra prodotti legali e illegali. "Nessuno va criminalizzato". Alle sue dichiarazioni sono seguite quelle del senatore liberale radicale Dick Marty, per il quale bisognerebbe legalizzare tutte le droghe, così da rendere più efficace la lotta al narcotraffico internazionale e alla criminalità organizzata. Dick Marty ha richiamato anche l'aspetto economico, notando come lo Stato potrebbe inoltre ricavarne dei benefici e investire i soldi guadagnati nelle politiche di prevenzione.

Dalla Georgia, infine, arriva una proposta condivisa da vari esponenti di alto livello del governo, oltre che dall’ex ministro dell’economia e capo di gabinetto del presidente, oggi alla guida della rete tv Imedi, Georgi Arveladze: la predisposizione di aree in cui il consumo di marijuana agli stranieri sia concesso e non punito. Secondo il quotidiano georgiano Aliya le autorità georgiane pensano di consentire ai turisti stranieri di fumare marijuana in aree dedicate, e presto apriranno locali in cui sarà consentito fumare.

Si augura al sottosegretario Giovanardi di tornare dalle vacanze avendo capito che i presupposti di una strategia globale comprendono l'informazione corretta e il dibattito pubblico.

02/08/11

La Guerra alla droga non è stata e non può essere vinta


LA GUERRA ALLA DROGA NON E’ STATA, E NON PUO’, ESSERE VINTA

Giugno 1971: Nixon dichiara ufficialmente "guerra alla droga" e definisce l'abuso di droga come "nemico pubblico numero 1".

Questa vera e propria dichiarazione di guerra ha messo in moto una macchina, prima nazionale, poi mondiale, che ha macinato negli ultimi 40 anni tanti soldi, e tante vite umane, che forse non sarà mai più possibile contarli. Certo Nixon si muoveva all'interno della Convenzione Unica sugli Stupefacenti, fondata nel 1961; oggi, a distanza di 50 anni dalla Convenzione, e a 40 dalla dichiarazione di guerra di Nixon, è possibile tracciare un bilancio di tanti investimenti finanziari e di tanto dolore sociale.

Su questa intenzione di bilancio e di revisione si fonda il lavoro della Global Commission on Drug Policy, una commissione formata, inizialmente, da 19 membri, fra i quali Kofi Annan, Fernando Henrique Cardoso, Javier Solana, Mario Vargas Llosa e altri. La Commissione ha presentato nello scorso giugno un documento dotato di una bibliografia scientifica e di dati di fonte ONU nel tentativo di mettere i potenti del mondo, e l'opinione pubblica, di fronte all'evidenza del fallimento della guerra alla droga: "La guerra alla droga non è stata, e non può, essere vinta".
Per dimostrare tale fallimento la Commissione presenta i dati del consumo di droghe, nel mondo, nei 10 anni dal 1998 al 2008; nell' ultimo decennio l'uso degli oppiacei è cresciuto del 35%, quello di cocaina del 27%, quello di cannabis, dell' 8,5%. "La scala globale dei mercati di droga illegale, ampiamente controllati dal crimine organizzato, è nei fatti cresciuto in modo spettacolare in questo periodo. Mentre non sono disponibili stime esatte del consumo globale nel periodo completo dei 50 anni, una analisi dei soli ultimi dieci anni mostra un esteso mercato crescente e dimostra il fallimento della guerra alla droga".
Dal 1971 ad oggi, investendo nella "war on drugs" si sono eradicati con lanci di pesticidi dal cielo milioni di ettari coltivati, si sono armati eserciti e dipartimenti, si sono effettuati milioni, forse miliardi, di perquisizioni, arresti, processi, esecuzioni; si sono gestiti giri multimiliardari di denaro sporco, collegati ai mercati paralleli di armi ed esseri umani, si sono ingrassate le organizzazioni criminali di tutto il mondo. A fronte di questo massiccio dispiegamento di forze e di risorse, i risultati dimostrano quello che era già evidente, cioè che la proibizione e la persecuzione punitiva di una sostanza, così come di un comportamento, aumenta l'uso e alza i prezzi; in più, con l'uso delle forze dell'ordine e di operazioni di polizia rivolte ai consumatori e ai piccoli spacciatori, cresce l'uso problematico e la tossicodipendenza.
La Commissione non propone affatto di dismettere la lotta ai narcotrafficanti; suggerisce anzi che le operazioni di polizia si concentrino, con maggiore efficacia, sui responsabili e sui capi delle organizzazioni, su tutte quelle collusioni tra narcotrafficanti, politici, eserciti, forze dell'ordine, che affogano le democrazie nella corruzione come ben è reso evidente dai tristi casi di Messico ed Afganistan, invece di accanirsi sui piccoli spacciatori di strada, che spesso sono o tossicodipendenti o extracomunitari alla fame, o sui poveri contadini andini o asiatici oppressi e intimiditi, o su miliardi di semplici cittadini consumatori che hanno, casomai, bisogno di politiche di sviluppo e non di galera.

Il secondo principio, dei quattro che la Commissione sintetizza, sembra riguardare molto da vicino l' Italia:
2. Le politiche sulle droghe devono basarsi sui principi dei diritti umani e della salute pubblica. Dobbiamo porre un termine alla stigmatizzazione e alla emarginazione delle persone che usano certe droghe e di quelli che restano coinvolti nei livelli più bassi della coltivazione, della produzione e della distribuzione, e trattare le persone tossicodipendenti come pazienti, non come criminali.
Assistiamo invece al fatto che le politiche sulle droghe italiane, quelle che scaturiscono dal DPA dell'attuale governo, non si basano né sui principi del diritto umano né sulla salute pubblica, contravvenendo sia gli uni che gli altri; ogni giorno in Italia, e ogni notte, i diritti delle persone vengono violati in base proprio alla discriminazione verso chi consuma droghe illegali, la salute pubblica viene messa in pericolo da politiche scellerate sulla prevenzione dell'AIDS o sull'accesso ai farmaci.
segue …

Claudia Sterzi

30/07/11

DEPENALIZZARE e INFORMARE - Ora è il tempo di agire.



L' ascolto del recente Convegno, dal titolo "Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano", promosso dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, sotto l'Alto patronato del Presidente della Repubblica, con il patrocinio del Senato della Repubblica, ha riacceso le speranze di tante persone e famiglie che vivono, in prima persona o di riflesso, il disagio e la vergogna degli istituti penitenziari italiani.
Sono risuonate di frequente le parole "depenalizzare", "depenitenziarizzazione", accolte come una luce in fondo al tunnel da tutta quella parte di carcerati che sono carcerati per uso personale di droga, piccolo spaccio, tossicodipendenza, coltivazione. Quattro categorie di reati che non prevedono vittime.
L' uso personale è un reato amministrativo, che non dovrebbe comportare detenzione, nella realtà succede che sia la lunghezza delle analisi per stabilire il principio attivo contenuto, in base al quale si determina la differenza fra consumo e spaccio, sia la ottusità da parte del legislatore e delle direttive che arrivano dal DPA, portano in carcere persone, spesso molto giovani, che magari hanno fatto un acquisto un po' più consistente per non dover scendere tutte le sere in piazza, o perchè sono incaricati da un "gruppo di acquisto" di amici, cosa evidentemente ben diversa dallo spaccio.
Il piccolo spacciatore di frequente è un extracomunitario, clandestino e in condizioni economiche disagiate se non disperate, assoldato dalle mafie del narcotraffico per compiere il lavoro sporco e più a rischio; altra frequente eventualità, è un tossicodipendente che vende per guadagnarsi la dose, sfruttato dalle stesse mafie del narcotraffico. Comminare le stesse pene a chi spaccia per sopravvivere e a criminali in malafede, che si arricchiscono sulla pelle degli altri, non è giustizia.
Il tossicodipendente è a tutti gli effetti un malato, e come tale va curato, non certo in galera, ma in strutture apposite, che agiscano con metodi efficaci e che rispondano ai criteri del rispetto dei diritti umani, sottoposte al controllo delle autorità, come lo sono le carceri.
La coltivazione per uso domestico attiene ai costumi privati e il fatto che, a differenza dell'uso personale, abbia rilievo penale, è un assurdo giuridico oltre che per il buonsenso. Sbattere in prigione, come accade, persone che coltivano sul proprio balcone o nel proprio orto alcune piante di canapa non è certamente giustizia.
Gli esperimenti finora condotti in alcuni paesi, di regolamentazione e legalizzazione dei mercati delle droghe illegali, hanno invariabilmente dato come risultato una diminuzione certa del consumo problematico e delle tossicodipendenze, che è l'obiettivo al quale tutti coloro che hanno caro il benessere sanitario e sociale aspirano; queste le conclusioni alle quali il rapporto della Global Commission, un organismo che ha tra i suoi membri Kofi Annan, Fernando Henrique Cardoso, Javier Solana, Mario Vargas Llosa e altri, presentato a giugno, è arrivato, basandosi sullo studio di una ricca bibliografia scientifica e sui dati dell' ONU.
Di fronte al richiamo che da tante autorevoli voci è venuto, dalla Global Commission fino alle più recenti, espresse in Italia nel corso del Convegno, in favore di una decriminalizzazione progressiva dei reati "di droga", è necessario dare loro forza, con iniziative di lotta nonviolenta.
Da parte mia, e nel mio piccolo, inizierò oggi, 31 luglio 2011, una iniziativa nonviolenta di sciopero della fame con l'obiettivo di portare fuori dal carcere consumatori, piccoli spacciatori, tossicodipendenti e coltivatori, rivolta ai due firmatari della cosiddetta legge Fini-Giovanardi, il Presidente della Camera Gianfranco Fini, quindi, e il sottosegretario con delega alle politiche sulle droghe, Carlo Giovanardi.
Claudia Sterzi, Comitato Nazionale di Radicali Italiani

29/07/11

Olanda, Egitto, Messico - singolari circostanze.

Da 10 mesi l'Olanda è governata dai tre partiti olandesi di centrodestra; dopo che le elezioni dell' 8 giugno 2010 lo avevano premiato per un soffio, il leader conservatore liberale Mark Rutte, del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia VVD (31 seggi) e la Democrazia cristiana (CDA) di Jan Peter Balkenende (30 seggi) hanno raggiunto un'intesa con il sostegno esterno del PVV, Partito delle Libertà, partito xenofobo e anti-islamico di Geert Wilders (23 seggi), per la formazione di un governo di minoranza, il primo in Olanda dal 1939.
Il governo di destra aveva fatto una promessa, in campagna elettorale: se vinciamo, chiudiamo i coffeeshops, e su questa promessa ha insistito, durante le elezioni del Senato del maggio 2010, ricavandone una tenuta che non era data per scontata; quindi, subito dopo i risultati elettorali, ha accelerato il percorso verso l'approvazione di una legge che introduca una wietpass, cioè una cannacard, riservata ai residenti. La campagna, prima elettorale, e poi governativa, fa appello alle cittadinanze di provincia, in particolare del sud, ai confini con tutta quella Europa, in gran parte proibizionista, che riversa ogni weekend orde di giovani consumatori di cannabis spinti all'abuso dalle politiche di Giovanardi o dei suoi colleghi francesi o tedeschi. L'ordine pubblico ne risente, e la domanda attira un offerta parallela di mercato illegale di droghe pesanti; come gli svizzeri, gli olandesi dei piccoli paesi di confine sono stanchi di essere invasi, anche se i guadagni che hanno tratto da questa loro tradizionale usanza di fare affari con le droghe e con il proibito sono stati ingenti.
Il 24 giugno Geert Wilders, uno dei fautori di questa svolta proibizionista, è stato assolto nel processo che lo vedeva imputato, con l’accusa di istigazione all’odio razziale, presso il tribunale di Amsterdam. Wilders era stato messo sotto accusa per aver definito l’islam una religione “fascista”, e per aver paragonato il Corano al “Mein Kampf” di Adolf Hitler. "Il multiculturalismo ha fallito", è fra i suoi slogan preferiti, e "un Musulmano moderato non può essere un vero Musulmano".
Sotto il governo attuale si inaspriscono i requisiti per l' immigrazione, i sussidi speciali concessi agli immigrati musulmani saranno interrotti perché, come ha ricordato il ministro Donner, “non è il compito del governo di integrare gli immigrati”. A questo proposito, anche l'Olanda entra a far parte di quel gruppo di paesi che introduce il divieto del burqa per le donne islamiche a partire dal 1 Gennaio 2013. Inoltre le autorità saranno messe in condizione di ritirare con più facilità il permesso di soggiorno a quegli immigrati che avranno dimostrato di aver fallito nel processo di integrazione nella società olandese. Quindi, un ritorno al proibizionismo unito a xenofobia e razzismo integralista.
Anche in tutta altra parte del mondo, a seguito del rapporto della Commissione Globale, si discute delle politiche sulle droghe.
Nel 2010 sono stati stimati in sette milioni i consumatori di hashish in Egitto, paese dove è illegale coltivare, vendere, detenere e consumare; un numero rilevante. Intervistato, Bahaa Zoheir, ufficiale presso l'Amministrazione generale Antinarcotici, sostiene che l'hashish non deve essere, e non sarà mai, legalizzato. Le motivazioni che questo funzionario adduce sono legate ad una visione nazionalista e religiosa:
"Viviamo in una società islamica - sostiene Zoheir - con tradizioni e credenze che devono essere preservate; il ruolo dello Stato è proteggere l'individuo da se stesso". Zoheir definisce il consumo e il mercato delle droghe "altamente antipatriottico, perchè nessuna di queste droghe, ad eccezione del Bango, un tipo di canapa coltivata localmente, è coltivata in Egitto. Se questa roba fosse coltivata in Egitto, allora forse ci potrebbe essere qualche beneficio economico, ma il clima qui non permette la crescita di canapa o oppio di buona qualità". Un professore universitario egiziano, che si presenta sotto pseudonimo, argomenta: "Legalizzare l' hashish o il bango darebbe ai gruppi islamici un motivo per criticare il nuovo governo, dando ai detrattori una ragione per sostenere che il nuovo governo sta cercando di renderli drogati e passivi". Ragioni, quindi, di genere nazionalista, protezionista e di adesione politica a forme di integralismo religioso.
Per finire con le circostanze singolari, che non dimostrano niente, ma messe insieme diventano circostanze plurali, nella settimana passata la parola "templari" è risuonata in due notizie di attualità; da una parte le 1500 pagine della teoria che ha portato Anders Breivik Behring a compiere la sua strage, dove, oltre a teorizzare una nuova crociata, si cita una riunione europea di "Cavalieri Templari", avvenuta in Inghilterra nel 2002, e viene fatto anche il nome di Geert Wilders; dall'altra la notizia che una nuova banda di narcos ha fatto la sua comparsa in Messico. Il gruppo si è battezzato "Templari del Michoacan", uno degli stati più colpiti dal narcotraffico. La polizia ha recuperato "Il codice dei Cavalieri Templari di Michoacan", un codice d’onore dove, fra gli altri, sono compresi i seguenti principi: " ... I Cavalieri templari lanceranno una battaglia ideologica per difendere i valori della società basati sull’etica ... Un templare deve sempre cercare la verità, perché Dio è la verità ... L’ordine promuove il patriottismo ed è l’espressione dell’orgoglio della nostra terra". "Il cartello è nato in marzo ed è coinvolto nel racket delle anfetamine. Che difendono a colpi di mitra".

25/07/11

Commissione Gobale - Ultime raccomandazioni 7/11

7 - Promuovere pene alternative per i piccoli spacciatori e per coloro che vengono arrestati per spaccio per la prima volta.


Mentre il concetto di decriminalizzazione è stato discusso fondamentalmente nei termini della sua applicazione a coloro che usano droghe o a coloro che stanno lottando contro la tossicodipendenza, noi proponiamo che si prenda in considerazione lo stesso approccio per quelli che sono in fondo alla catena della vendita di droga. La maggior parte delle persone arrestate per vendita di droga su piccola scala non sono gangsters o mafiosi criminali - sono giovani sfruttati per fare il lavoro a rischio della vendita in strada, tossicodipendenti che cercano di guadagnare del denaro per la propria dose, o corrieri costretti o intimiditi per trasportare la droga attraverso le frontiere. In generale, queste persone vengono processate con le stesse disposizioni di legge dei delinquenti violenti e organizzati che controllano il mercato, dando il risultato di una applicazione indiscriminata di pene severe.

In tutto il mondo, la grande maggioranza degli arresti sono quelli di questi "pesci piccoli" non violenti e di basso rango nel mercato delle droghe - sono più visibili e più facili da prendere, e non hanno i mezzi per pagare per essere tolti dagli impicci. Il risultato è che i governi riempiono le prigioni di delinquenti minori che accumulano lunghe condanne, ad un alto costo, e con nessun effetto sull' ampiezza o sulle rendite del mercato.

In alcuni paesi, queste infrazioni sono anche soggette alla pena di morte, in palese contraddizione con gli trattati internazionali dei diritti umani. Per dimostrare il loro impegno nella lotta alla droga, molti paesi implementano leggi e pene che sono sproporzionati con la gravità del delitto, e che fino a qui non hanno avuto l'efffetto di dissuasione significativo. La sfida ora per i governi è di prendere in considerazione opzioni alternative al carcere per i "pesci piccoli", o riformare le loro leggi per stabilire una distinzione più chiara e proporzionata tra i differenti tipi di attori nel mercato delle droghe.


8 - Investire più risorse sulla prevenzione basata sulle evidenze, con un focus speciale sulla gioventù.

Evidentemente, l'investimento più valido dovrebbe essere diretto, in primo luogo, alle attività che possano evitare l'ingresso dei giovani nel consumo di droga, e che impediscano ai consumatori saltuari di divenire consumatori problematici o dipendenti. La prevenzione dell'inizio e della escalation è ovviamente preferibile che non affrontare i problemi quando ci sono. Sfortunatamente, la maggior parte dei primi tentativi di ridurre i tassi globali dell'uso di droga con campagne massiccie di prevenzione sono stati mal programmati e male implementati. Per quanto la presentazione di una buona ( e credibile ) informazione sui rischi nell'uso di droghe sia valida, le esperienze di prevenzione generica ( come le campagne massive, o i programmi scolari di prevenzione sulle droghe ) sono state contradditorie nei risultati. I messaggi semplicistici come "basta dire di no" non sembrano aver avuto un effetto significativo.

Ciononostante, ci sono stati alcuni programmi di prevenzione accuratamente pianificati e focalizzati, che si sono incentrati sulle abilità sociali e sull' influenza tra coetanei, che hanno avuto un impatto positivo sull'età del primo consumo o sui danni associati all'uso di droghe. L' energia, la creatività e la capacità della società civile e dei gruppi comunitari sono di particolare importanza nella programmazione e messa in atto di tali programmi - è meno probabile che i giovani abbiano fiducia nei messaggi di prevenzione che provengono dagli enti statali.

I modelli di prevenzione che più hanno funzionato si sono occupati della focalizzazione di gruppi particolari a rischio - membri di bande giovanili, bambini negli istituti o con problemi a scuola o con la polizia - con programmi misti di educazione e appoggio sociale che evitano che una parte di loro diventino consumatori di droghe abituali o dipendenti. Se implementati in scala sufficiente, questi programmi hanno il potenziale di ridurre il numero globale di giovani che diventano tossicodipendenti o che si implicano nella vendita su piccola scala.


9 - Offrire una gamma di opzioni ampia e di facile accesso per il trattamento e per l'assistenza della tossicodipendenza, incluse terapie di sostituzione e di prescrizione di eroina, con attenzione speciale a quelli che più sono a rischio, inclusi coloro che sono detenuti nelle carceri o in altre strutture di detenzione.

In tutte le società e culture, una parte di individui svilupperà modelli di uso problematico o di dipendenza, indipendentemente dalle sostanze preferite nella società o dal suo status giuridico. la dipendenza dalle droghe può costituire una tragica perdita di potenziale per l'individuo coinvolto, ma è anche fortemente pregiudiziale per la sua famiglia, la sua comunità, i suoi parenti, per tutta la società.

Prevenire e curare la tossicodipendenza è pertanto una responsabilità chiave dei governi - e un investimento valido, visto che un trattamento efficace può sortire effetti significativi in termini di riduzione dei crimini e miglioramenti nella campo sanitario e sociale.

Molti modelli di trattamento che hanno sortito buoni effetti - che usano combinazioni di terapie di sostituzione e metodi psicosociali - sono stati attuati e sperimentati in una vasta gamma di contesti socioeconomici e culturali. Ciononostante, nella maggior parte dei paesi, la disponibilità di questi trattamenti si limita ad un modello unico, appena sufficiente a occuparsi di una piccola frazione della domanda, o sono focalizzati in maniera sbagliata nel centrare gli interventi sugli individui più gravemente tossicodipendenti. I governi nazionali dovrebbero intanto sviluppare piani strategici completi per ampliare una offerta di servizi di trattamento della dipendenza da droghe basati sull' evidenza.

Nello stesso tempo, si dovrebbero abolire quelle pratiche abusive attuate con la scusa e nel nome del trattamento - come la detenzione forzata, il lavoro forzato, l'abuso fisico o psicologico - che contravvengano agli standard dei diritti umani nel far subire alle persone un trattamento crudele, inumano o degradante, o nel violare il diritto alla autodeterminazione. I governi dovrebbero garantire che le strutture di trattamento della tossicodipendenza si basino sull'evidenza e si adeguino agli standard internazionali dei diritti umani.


10 - Il sistema dell' ONU deve prevedere una leadership nella riforma della politica globale sulle droghe. Questo implica la promozione di un impegno efficace basato sull' evidenza, l'appoggio ai paesi perchè sviluppino politiche sulle droghe che si adattino ai vari contesti e rispondano alle diverse necessità, e assicurare la coerenza fra le diverse strutture, polizie e convenzioni dell' ONU.

Mentre i governi nazionali possono avvalersi con considerevole discrezione delle politiche repressive, il sistema di controllo sulle droghe dell' ONU continua a costituire per molti aspetti come una "camicia di forza", limitando la appropriata revisione e modernizzazione delle politiche. Durante quasi tutto l'ultimo secolo, è stato il governo degli Stati Uniti che ha guidato gli appelli per lo sviluppo e il mantenimento delle politiche repressive sulle droghe. Per questo ci rallegriamo per il cambiamento di tono scaturito dall'attuale amministrazione - con il riconoscimento da parte dello stesso Presidente Obama dell' inutilità della "guerra alla droga" e della validità di un dibattito sulle alternative. Sarà necessario, tuttavia, che gli Stati Uniti diano seguito a questa nuova concezione con riforme reali, riducendo la sua fiducia nella detenzione e nelle pene per i consumatori, e usando la sua considerevole influenza diplomatica per sollecitare riforme negli altri paesi.

Le istituzioni dell' ONU per il controllo sulle droghe hanno lavorato in gran parte come difensori delle strategie tradizionali. Di fronte alla evidenza crescente del fallimento di tali politiche, sono necessarie delle riforme. C'è stato qualche incoraggiante riconoscimento da parte dell' UNODC sulla necessità di bilanciare e modernizzare il sistema, c'è tuttavia ancora una forte resistenza istituzionale a queste idee.

I paesi si aspettano dall' ONU un sostegno e una guida. L' ONU può, e deve, prevedere una leadership per consentire ai governi nazionali di trovare una via di uscita dall' attuale impasse politico. Facciamo appello al Segretario Generale dell 'ONU, Ban Ki Moon, e al Direttore Esecutivo dell' UNODC, Yury Fedotov, affinchè intraprendano passi concreti verso una strategia globale sulle droghe veramente coordinata e coerente, che bilanci la necessità di contenimento dell' offerta di droga e la lotta alla criminalità organizzata con la necessità di provvedere servizi sanitari, di assistenza sociale, e di sviluppo economico, agli individui e alle comunità colpite.

Ci sono molti modi per andare verso questo obiettivo. Per cominciare, l'ONU potrebbe formare una commissione di composizione ampia per sviluppare un nuovo approccio; le agenzie dell' ONU potrebbero creare nuove strutture, più forti, per il coordinamento delle strategie; e l' UNODC potrebbe sostenere una coordinazione dei programmi più effettiva con le altre agenzie dell' ONU, come l' OMS, l' UNAIDS, l' UNDP, o l' Ufficio dell' Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.


11 - Agire urgentemente: dato che la guerra alla droga è fallita, è già necessario cambiare politica ora.

Ci sono segnali di apatia nel dibattito sulle politiche sulla droga in alcune parti del mondo, ora che i politici comprendono che le attuali politiche e strategie stanno fallendo ma non sanno che cosa fare in altro modo. Esiste la tentazione di evitare il problema. Questo rappresenta una abdicazione di responsabilità politica - tutti gli anni nei quali si prosegue con l'approccio attuale, migliaia di milioni di dollari vanno sprecati in programmi inefficaci, milioni di cittadini sono spediti in carcere inutilmente, altri milioni soffrono per la tossicodipendenza dei loro cari senza aver accesso a servizi sanitari e di assistenza sociale, e centinaia di migliaia di persone muoiono per overdosi evitabili e per malattie contratte per uso non sicuro delle droghe.

Ci sono altri approcci che sono stati sperimentati per affrontare questi problemi con i quali i paesi possono ora proseguire. Fare bene la politica sulle droghe non è una questione per il dibattito teorico o intellettuale - è una delle sfide politiche chiave del nostro tempo.

Commissione Globale - Raccomandazione 6 / Azioni di polizia e violenza

6 - I paesi che continuano ad investire la maggior parte delle risorse concentrandole sulle azioni di polizia (nonostante l'evidenza), dovrebbero concentrare le loro azioni repressive sugli aspetti violenti del crimine organizzato e del narcotraffico, per limitare i danni connessi con il mercato di droga illegale.

Le risorse per le azioni delle forze dell'ordine possono essere spese più efficacemente nel combattere la criminalità organizzata, che ha accresciuto il suo potere e le sue ricchezze coi profitti del mercato della droga. In molte parti del mondo, la violenza, l'intimidazione e la corruzione, perpetrate da tali gruppi, sono minacce significative alla sicurezza e alla democrazia delle istituzioni, tanto che gli sforzi dei governi e delle forze dell' ordine, nel reprimere le loro attività, rimangono essenziali.

In tutti i modi, è necessario rivedere le nostre tattiche in questa lotta. C'è una teoria credibile, avanzata da Mac Coun e Reuter, che suggerisce come gli sforzi per la riduzione dell'offerta siano più efficaci nei mercati nuovi e poco sviluppati, dove le fonti dell' offerta sono controllate da un piccolo numero di organizzazioni del narcotraffico. Laddove questa condizione esiste, operazioni accuratamente disegnate e dirette di polizia hanno il potenziale per contenere l'emergenza dei nuovi mercati. Attualmente stiamo affrontando questa situazione in Africa occidentale. D' altra parte, laddove i mercati delle droghe sono diversificati e ben stabili, non è un obiettivo realistico prevenire l'uso delle droghe fermando l'offerta.


DROGHE IN AFRICA OCCIDENTALE: RISPONDERE ALLA SFIDA CRESCENTE DEL NARCOTRAFFICO E DEL CRIMINE ORGANIZZATO


In pochissimi anni, l' africa occidentale è divenuta un centro molto importante di traffico e di redistribuzione di cocaina, in seguito a un cambiamento strategico dei cartelli della droga latino americani verso il mercato europeo. Approfittando della debolezza governativa, della povertà endemica, dell' instabilità e dello scarso equipaggiamento delle istituzioni di polizia e giudiziarie, e sostenuti dagli enormi capitali del traffico di droga, le reti criminali hanno infiltrato i governi, le istituzioni della polizia e militari. La corruzione e il riciclaggio di denaro, guidati dal busisness della droga, corrompono i politici locali e distorcono le economie locali.

Sta emergendo uno scenario pericoloso, ora che il narcotraffico minaccia di propagarsi con più ampie sfide politiche e di sicurezza. Le iniziali risposte internazionali, in appoggio all'azione regionale e nazionale, non hanno potuto invertire questa tendenza. Le nuove evidenze suggeriscono che le reti criminali stanno espandendo le operazioni e rafforzando le loro posizioni attraverso nuove alleanze, in particolare con gruppi armati. E' necessario sviluppare urgentemente le risposte attuali e coordinarle con i governi dell' Africa occidentale, con un appoggio internazionale finanziario e tecnico. Le risposte dovrebbero integrare l' approccio dell' applicazione della legge e giudiziario con politiche sociali, di sviluppo e di prevenzione dei conflitti - e dovrebbero comprendere tanto i governi che la società civile.

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Occorre inoltre riconoscere che è la natura illegale del mercato a creare molta della violenza relativa - i mercati dei prodotti legali e regolamentati, anche se non mancano di problematiche, non forniscono la stessa opportunità alla criminalità organizzata di ottenere enormi profitti, di mettere a rischio la legittimità dei governi e, in qualche caso, di finanziare l' insorgere del terrorismo.

Questo non vuol dire necessariamente che la creazione di un mercato legale sia l'unico modo di minare il potere e la ricchezza delle organizzazioni del narcotraffico. Le strategie di polizia possono chiaramente cercare di dirigere ed influenzare il mercato illecito, per esempio per creare le condizioni nelle quali possa svilupparsi la distribuzione su piccola scala e del tipo "reti di amici" private, insistendo contemporaneamente ed energicamente contro le operazioni su vasta scala che implicano violenza o disagi a tutta la società. In modo simile, la domanda di droga dei tossicodipendenti da alcune sostanze ( per esempio, eroina ), si può soddisfare attraverso programmi di prescrizione medica che automaticamente riducono la domanda nel mercato nero. Queste strategie possono essere molto più efficaci nel ridurre la violenza e i danni correlati col mercato che non gli inutili tentativi di eradicarlo totalmente.

Dall'altra parte, le operazioni di polizia malfatte possono, in realtà, aumentare il livello di violenza, intimidazione e corruzione associate con il mercato delle droghe. Le forze dell' ordine e le organizzazioni del narcotraffico possono finire impigliate in una specie di "corsa agli armamenti", in cui gli sforzi crescenti delle forze dell'ordine portano ad un incremento parallelo del conflitto e della violenza dei narcotrafficanti. In tale scenario si creano le condizioni perchè prevalgano le organizzazioni del narcotraffico più spietate e violente. Sfortunatamente, sembra che a questo stiamo assistendo in Messico e in molte altre parti del mondo.


AZIONE DELLE FORZE DELL' ORDINE ED ESCALATION DELLA VIOLENZA

Un gruppo di accademici ed esperti di salute pubblica della Columbia britannica hanno condotto una revisione sistematica delle evidenze sull'impatto dell' incremento dell'azione delle forze dell'ordine sulla violenza correlata al mercato della droga ( per esempio, la lotta tra bande armate per il controllo del commercio di droga, o gli omicidi e i furti connessi con il commercio di droga).

In molti luoghi degli Stati Uniti, così come a Sidney, Australia, i ricercatori hanno trovato che l'aumento degli arresti e delle pressioni delle forze dell'ordine sui mercati di droga si associavano in modo considerevole con l'aumento dei tassi di omicidio e di altri delitti violenti. Nel 91% di tutti gli studi che hanno esaminato l'effetto dell'aumento delle azioni delle forze dell'ordine sulla violenza del mercato di droga, le conclusioni sono state che l'incremento dell'azione poliziesca incrementa la violenza dei narcotrafficanti. I ricercatori hanno concluso che:

L' evidenza scientifica disponibile suggerisce che accrescere l'intensità degli interventi delle forze dell'ordine per colpire i mercati di droga è poco probabile che serva a ridurre la violenza delle bande del narcotraffico. Al contrario, l'evidenza esistente suggerisce che probabilmente la violenza relativa alle droghe e gli alti tassi di omicidio siano una conseguenza naturale della proibizione delle droghe, e che i metodi, ogni volta più sofisticati e meglio dotati, per colpire le reti di distribuzione delle droghe possano involontariamente aumentare la violenza.

Anche nel Regno Unito, alcuni ricercatori hanno esaminato gli effetti delle azioni di polizia sui mercati di droga, osservando che:

Gli sforzi delle azioni di polizia possono avere un notevole impatto negativo sulla natura e sull'estensione dei danni associati alle droghe aumentando ( involontariamente ) le minacce alla salute pubblica e alla sicurezza pubblica, e alterando sia il comportamento dei consumatori individuali sia la stabilità e le operazioni dei mercati di droga ( per esempio delocalizzando gli spacciatori e le attività correlate allo spaccio in altri luoghi o aumentando l'incidenza della violenza quando gli spacciatori delocalizzati si scontrano con quelli già operanti sul territorio ).

23/07/11

Global Commission - Raccomandazioni 4 e 5 / Analisi delle tracce

Rapporto della Commissione Globale
Raccomandazioni 4 E 5


4 - Stabilire migliori misuratori, indicatori e obiettivi per valutare i progressi.



Il metodo corrente per misurare il successo delle politiche sulla droga è fondamentalmente sbagliato. Gli effetti della maggior parte delle strategie sulla droga, oggi, si valuta dal livello di coltivazioni eradicate, arresti, sequestri e punizioni applicate ai consumatori, coltivatori e trafficanti. In realtà, arrestare e punire i consumatori ha poco effetto sulla riduzione del consumo di droga, togliere di mezzo i piccoli spacciatori semplicemente crea una opportunità di mercato per altri, e anche le più grandi e efficaci operazioni contro la criminalità organizzata (che prendono anni per essere pianificate e portate a termine), hanno dimostrato di avere, al massimo, un impatto marginale ed effimero nei prezzi e nella disponibilità di droga. Nello stesso modo, l'eradicazione delle coltivazioni di oppio, canapa o coca semplicemente delocalizza le coltivazioni illecite in altre aree.


C'è necessità di una nuova serie di indicatori per mostrare in modo veritiero i risultati delle politiche sulle droghe, secondo i suoi danni e benefici per gli individui e le comunità - per esempio, il numero di vittime di violenza e intimidazione in relazione al mercato di droga; il livello di corruzione generato dal mercato di droga; il livello della microcriminalità commessa da tossicodipendenti; il livello di sviluppo sociale ed economico nelle comunità dove sono concentrati produzione, vendita o consumo di droga; il livello di tossicodipendenza nelle comunità; il livello di morti per overdose; e il livello di HIV o epatiti C o infezioni fra i consumatori di droga. Gli uomini politici possono e devono articolare e misurare il risultato con questi obiettivi.


La spesa di risorse pubbliche quindi dovrebbe essere concentrata in attività che possano dimostrare di avere un effetto positivo per questi obiettivi. Nelle circostanze attuali, nella maggior parte dei paesi, questo significa incrementare gli investimenti in programmi sanitari e sociali, e concentrare maggiormente il ricorso alla applicazione della legge sulla violenza e sulla corruzione associate con i mercati di droga. In tempi di austerità fiscale, non possiamo permetterci di mantenere investimenti multimiliardari che hanno un valore in gran parte simbolico.


5 - Contestare, invece che rinforzare, i luoghi comuni sul mercato e sull' uso di droga.


Attualmente, troppi politici sostengono l' idea che tutti coloro che usano droga sono "tossicodipendenti senza morale", e tutti quelli che sono coinvolti nel traffico di droga sono spietate menti criminali. La realtà è molto più complessa. L' ONU ha prudentemente stimato che attualmente ci sono 250 milioni di consumatori di droghe illegali nel mondo, e che ce ne sono altri milioni coinvolti nella coltivazione, produzione e distribuzione. Semplicemente non possiamo trattarli tutti come criminali. In una certa misura, la riluttanza dei politici a riconoscere tale complessità trova radici nella loro adesione ai luoghi comuni su questi argomenti.


Molti cittadini normali hanno un genuino timore dell' impatto negativo del mercato di droga illegale, o del comportamento dei tossicodipendenti, o drogati, di droghe illecite. Questa paura si fonda su alcuni pregiudizi generalizzati su consumatori di droghe e mercato delle droghe e su questi il governo e gli esperti della società civile devono indirizzarsi, per rafforzare la consapevolezza su alcuni aspetti comprovati ( ma in gran parte non riconosciuti). Per esempio:


° La maggior parte delle persone che consumano droghe non corrisponde allo stereotipo di tossicodipendente senza morale o a rischio. Dei 250 milioni di consumatori stimati nel mondo, le Nazioni Unite calcolano che meno del dieci per cento possano essere classificati come tossicodipendenti o come consumatori problematici.


° Moltissime persone coinvolte nella coltivazione illecita di coca, papavero da oppio, o canapa sono piccoli contadini costretti a farlo per mantenere la famiglia. Opportunità alternative di sostentamento sarebbero un miglior investimento, piuttosto che distruggere ogni loro possibile mezzo di sopravvivenza.


° I fattori che influenzano la decisione individuale di iniziare ad usare droghe hanno molto più a che fare con la moda, l'influenza dei coetanei e il contesto sociale ed economico che con le leggi in vigore, il livello di rischio della detenzione, o i messaggi di prevenzione dei governi.


° I fattori che contribuiscono allo sviluppo di modelli di uso problematici o dipendenti hanno più a che vedere con traumi o negligenze nell'infanzia, condizioni di vita dure, marginalizzazione sociale e problemi caratteriali che con la debolezza morale o con l' edonismo.


° Non è possibile tirar fuori nessuno da una tossicodipendenza di forza o con le punizioni, piuttosto con l'adeguato tipo di trattamento, basato sull' evidenza, i tossicodipendenti possono cambiare il loro comportamento ed essere membri attivi e produttivi della società.


° Molte persone coinvolte nel traffico di droga sono piccoli spacciatori e non gli stereotipati gansters dei film - la maggior parte delle persone incarcerate per traffico o spaccio sono "pesci piccoli" nelle operazioni (spesso costretti trasportare o a vendere droga), che facilmente vengono rimpiazzati senza interruzioni nella somministrazione.


Un dibattito politico e pubblico più maturo ed equilibrato può aiutare a far crescere la consapevolezza e la comprensione. Nello specifico, dando voce ai rappresentanti dei coltivatori, consumatori, famiglie e altri gruppi colpiti dal consumo di droga e dalla dipendenza, si può contribuire a controbattere ai miti e ai malintesi.

Analisi delle tracce


Particolarmente interessante, per l'attuale dibattito politico antiproibizionista in Italia, è la traccia che lega strettamente, quasi paragrafo per paragrafo, l'aspetto economico e quello sociale; le interdipendenze tra i due livelli risultano non tanto da una esatta messa a fuoco dei due, ma attraverso il continuo accostamento dei riflessi che l'uno ha sull' altro e viceversa. Ad ogni sperpero e spreco multimiliardario, dilapidato nella War on drug, corrisponde una devastazione sociale che tocca in primo luogo gli ultimi della popolazione, i piccoli agricoltori, i piccoli spacciatori, le loro famiglie; e questa è un'altra traccia che si ritrova in molti punti, l'attenzione agli ultimi delle catene del mercato della droga, da una parte le famiglie contadine sulle Ande, dall'altra il tossicodipendente metropolitano. Una attenzione forse populista ma che rende ben conto del disagio globale prodotto da cinquanta anni di errore e della necessità e urgenza di una riforma.
Può sembrare, agli occidentali, dell' occidente benestante, che quel richiamo al modello di membro attivo e produttivo della società sia un po' ingenuo, data la fisiologia della devianza nelle società moderne; si tratta di uno scettiscismo di ritorno circa la possibilità di cambiamento e di rivoluzione, contrastato dall' affermazione che sigilla la sintesi del documento, "Ahora es el tiempo de actuar"; oltre lo scetticismo, e il cinismo, pesa, forse, anche la mancata conoscenza concreta e diretta del livello di degrado che la War on drug ha prodotto.
L' indipendenza dei governi, un'altra traccia, viene richiamata, oltre che dalla forte accusa di imperialismo sulle politiche antidroga portata direttamente agli Stati Uniti e all'ONU, dall' insistenza sulle variabili tra paesi, a seconda che sia prevalente l'uso, la produzione, e/o il traffico di droga, sia in base a particolarità del tutto specifiche; questa differenza viene sottolineata in funzione di incoraggiamento nella sperimentazione locale e differenziata di politiche sulle droghe, adattata alle evidenze specifiche geografiche e sociali, senza dover sottostare a severe autorizzazioni da enti di controllo sovranazionali. La traccia dell' attenzione alle evidenze, che nella metodologia delle scienze umane hanno un rilievo pari all'esperimento scientifico, dimostra lo sforzo di contributo alla formazione di una documentazione realmente seria e scientifica, che faccia emergere come le risorse impiegate per pesare i chili di droga sequestrata o per cospargere di ddt vaste aree integrali del globo potrebbero essere molto più convenientemente impiegate, con un parallelo indubbio vantaggio sociale, nella cura delle radici delle tossicodipendenze e dei consumi problematici, che è quanto tutti vogliono, a parole, ottenere.
Il linguaggio, oltre che semplice e pulito, fa intravedere una grande cautela e prudenza, e molto impegno nel perfezionamento del rapporto; si sente la necessità di essere più il possibile inattaccabili dalle armi che il proibizionismo mette in camppo, sempre uguali, da decenni; pur con molta determinazione nel presentare e sostenere le tesi esposte, la richiesta di permettere la sperimentazione di politiche alternative che abbiano dimostrato effetti positivi sulle dipendenze e sui consumi problematici, è minimale rispetto alla documentazione prodotta; ai politici e all' opinione pubblica viene semplicemente chiesto di arrendersi all'evidenza.

22/07/11

Rapporto della Commissione Globale - Raccomandazioni 2 e 3 - pagg. 12/14


Tabacco

2 - Sostituire la criminalizzazione e la punizione di coloro che usano droghe con l'offerta di servizi sanitari e terapie per coloro che li desiderano.


Un' idea chiave dell'approccio "guerra alla droga" era che la minaccia di arresto e di una severa punizione avrebbe funzionato da deterrente ad usare droghe. In pratica, questa ipotesi si è dimostrata come errata - molti paesi, che hanno varato leggi severe hanno effettuato un gran numero arresti ed incarcerazioni di consumatori di droghe e piccoli trafficanti, hanno un numero più alto di consumatori e di problemi relativi rispetto ai paesi che hanno seguito un approccio più tollerante. In modo simile, i paesi che hanno introdotto una decriminalizzazione, o altre forme di diminuzione di arresti e di pene, non hanno visto aumentare il tasso dei consumatori né il numero di tossicodipendenti come si era paventato.


LE INIZIATIVE DI DECRIMINALIZZAZIONE NON HANNO PRODOTTO UN INCREMENTO SIGNIFICATIVO DEL CONSUMO DI DROGHE

Portogallo
Nel luglio del 2011, il Portogallo è diventato il primo paese europeo nella decriminalizzazione dell'uso e del possesso di tutte le droghe illecite. Molti osservatori furono critici rispetto a tale politica, convinti che ciò avrebbe portato ad un incremento del'uso di droghe e dei problemi associati. la Dottoressa Caitlin Hughes dell' Università di New South Wales e il Professor Alex Stevens dell' Università del Kent hanno condotto una dettagliata ricerca sugli effetti della decriminalizzazione in Portogallo. I loro risultati, recentemente pubblicati, hanno dimostrato che questo non era vero, riproponendo le conclusioni degli studi precedenti e di quelli dell' istituo CATO. Le conclusioni di Hughes e Stevens evidenziano un leggero incremento nei tassi totali di uso di droghe, in Portogallo, nei 10 anni seguenti alla depenalizzazione, ad un livello in linea con altri paesi simili dove l'uso di droga è rimasto criminalizzato. All'interno di questa tendenza generale, c'è stata una diminuzione specifica dell'uso di eroina, che nel 2001 costituiva la principale preoccupazione del governo portoghese. In definitiva, l' eliminazione delle sanzioni penali, combinata con l'uso di risposte terapeutiche alternative per le persone che lottano contro la dipendenza dalle droghe, ha ridotto il carico dell'applicazione delle leggi sulle droghe sul sistema della giustizia penale e il livello totale dell'uso problematico di droga.

Comparazione fra città olandesi e americane

Uno studio di Reinarman e altri ha messo a confronto i metodi di regolamentazione, molto diversi, di Amsterdam, nella quale la politica liberale dei "cannabis coffee" (una forma di decriminalizzazione di fatto) risale agli anni '70, e San Francisco, negli USA, che criminalizza i consumatori di cannabis. I ricercatori volevano studiare se i metodi di una politica più repressiva in San Francisco servivano a dissuadere i cittadini dal fumare cannabis o ritardava l'inizio dell'uso. Hanno rilevato che no, concludendo: "I nostri risultati non supportano l' affermazione che la criminalizzazione riduca l'uso di cannabis e che la depenalizzazione incrementi l'uso di cannabis ... con l'eccezione di un maggiore uso di droghe in San Francisco, abbiamo trovato forti somiglianze fra le due città. Non abbiamo riscontrato evidenze che supportino l'affermazione che la criminalizzazione riduca l'uso e che la decriminalizzazione lo incrementi.

Australia
Lo stato dell'Australia occidentale ha introdotto un sistema di decriminalizzazione dell' uso di cannabis nel 2004, e i ricercatori hanno valutato il suo impatto comparando le tendenze prevalenti in tale stato con quelle del resto del paese. Lo studio è stato complicato dal fatto di esser stato condotto in un periodo in cui l'uso di cannabis era in diminuzione nel paese. Ciononostante, i ricercatori hanno trovato che questa tendenza alla diminuzione era la stessa in Australia occidentale, che aveva sostituito le sanzioni penali per l'uso o il possesso di cannabis con sanzioni amministrative, come la consegna da parte della polizia di un avviso chiamato "avviso di contravvenzione". Gli autori affermano: "I dati sull'uso di cannabis in questa ricerca suggeriscono che, contro le previsioni di quei commentatori pubblici che hanno criticato il sistema, l'uso di cannabis in Australia occidentale ha continuato a scendere nonostante l'introduzione del Sistema di Avviso di Contravvenzione per Cannabis.

Comparazione tra differenti stati in USA

Per quanto il possesso di cannabis sia un reato contro le leggi federali degli Stati Uniti, gli stati invece perseguono politiche diverse sul possesso di droga. Nel rapporto della Commissione sulla Cannabis del 2008, convocata dalla Fondazione Berkley, gli autori hanno esaminato ricerche effettuate per confrontare la prevalenza di cannabis in quegli stati che avevano depenalizzato con quelli che avevano mantenuto sanzioni penali per il possesso. Queste le conclusioni: "Presi insieme, i quattro studi hanno indicato che gli stati che hanno introdotto le riforme non hanno sperimentato maggior incremento di uso di cannabis né fra gli adulti né fra gli adolescenti. Né gli studi dimostrano attitudini più favorevoli all'uso della cannabis in quegli stati rispetto a quelli che hanno mantenuto una stretta proibizione e sanzioni penali.


Alla luce di queste esperienze, è chiaro che la politica di criminalizzazione e sanzione dell'uso di droghe è stato un errore dispendioso, e che i governi dovrebbero fare dei passi per concentrare gli sforzi e le risorse per indirizzare i consumatori di droghe verso i servizi sanitari e di assistenza sociale. Certo, questo non necessariamente significa che le sanzioni debbano essere completamente eliminate - molti consumatori di droghe commettono anche altri delitti verso i quali devono assumere la responsabilità - ma la prima risposta al possesso e uso di droghe dovrebbe essere l'offerta di consulenza, trattamento e terapia a coloro che ne hanno necessità, prima ancora che punizioni penali costose e controproducenti.


3 - Incoraggiare i governi a sperimentare modelli di regolamentazione legale di droghe (per la cannabis, ad esempio) che siano disegnati per minare il potere della criminalità organizzata e salvaguardare la salute e la sicurezza dei cittadini.

Il dibattito sui modelli alternativi di regolamentazione del mercato delle droghe è stato troppo spesso costretto in una falsa dicotomia, duri o morbidi, repressivi o liberali. In realtà, stiamo tutti cercando di raggiungere lo stesso obiettivo - una serie di politiche e programmi sulle droghe che minimizzino i danni sociali e sanitari, e massimizzino la sicurezza individuale e nazionale. E' inutile ignorare coloro che portano argomenti a favore di un mercato tassato e regolato per le droghe attualmente illegali. Questa è una opzione politica che deve essere esplorata con lo stesso rigore di qualunque altra.

Se i governi nazionali o le amministrazioni locali ritengono che le politiche di decriminalizzazione possano far risparmiare denaro e produrre effetti sanitari e sociali migliori per le loro comunità, o che la creazione di un mercato regolato possa ridurre il potere della criminalità organizzata e migliorare la sicurezza dei loro cittadini, allora la comunità internazionale dovrebbe appoggiare e facilitare questi esperimenti ed essere aperta ad apprendere dalla loro applicazione.

Nello stesso modo, le autorità nazionali e l'ONU devono rivedere la classificazione delle diverse sostanze. Le attuali classificazioni, concepite per rappresentare i rischi e i danni relativi alle varie droghe, furono stabilite 50 anni fa quando esistevano poche evidenze scientifiche sulle quali basare tali decisioni. Questo ha prodotto alcune ovvie anomalie, in particolare la canapa e la foglia di coca appaiono oggi classificate in modo non corretto e questo deve essere affrontato.


DISCREPANZE FRA IL LIVELLO DI REPRESSIONE E IL LIVELLO DI DANNO

In un rapporto pubblicato da LANCET nel 2007, un gruppo di scienziati ha cercato di ordinare una serie di droghe psicoattive secondo i danni concreti e potenziali che potrebbero causare alla società. Il grafico a destra (qui sotto, n.d.t.), sintetizza i suoi risultati ed li confronta con la severità con la quale le droghe sono trattate dal sistema mondiale di sanzione delle droghe. Per quanto siano misure semplificate, mostrano chiaramente come le categorie di gravità attribuite alle varie sostanze nei trattati internazionali necessitino di essere riviste alla luce delle attuali conoscenze scientifiche.

VALUTAZIONE DEL RISCHIO SECONDO ESPERTI INDIPENDENTI (DA 0 A 3)

VALUTAZIONE ONU DI SANZIONE (MOLTO PERICOLOSA, RISCHIO MODERATO, BASSO RISCHIO, NON SOGGETTA A CONTROLLO INTERNAZIONALE)

Eroina 2,5/3 - molto pericolosa

Cocaina 2/2,5 - molto pericolosa

Barbiturici 2/2,5 - basso rischio

Alcol 1,5/2 - non soggetto a controllo internazionale

Ketamina 1,5/2 - non soggetta a controllo internazionale

Benzodiazepine 1,5/2 - molto pericolose

Anfetamina 1,5/2 - basso rischio

Tabacco 1,5/2 - non soggetto a controllo internazionale

Buprenorfina 1,5/2 - basso rischio

Cannabis 1/1,5 - molto pericolosa

Solventi 1/1,5 - non soggetti a controllo internazionale

LSD 1/1,5 - molto pericoloso

Ritalina 1/1,5 non soggetta a controllo internazionale

Steroidi anabolizzanti 1/1,5 - non soggetti a controllo internazionale

GHB 1/1,5 - molto pericoloso

Estasi 1/1,5 - molto pericolosa

Khat 0,5/1 - non soggetto a controllo internazionale