15/08/14

In nome dei bambini, basta con la guerra alle droghe!





Più di 80 organizzazioni per i diritti civili, l’immigrazione, la giustizia penale, l’antirazzismo, i diritti umani, organizzazioni llibertarie e organizzazioni religiose, si sono riunite la scorsa settimana per lanciare un appello per la fine della guerra alla droga in nome della tutela dei bambini, un appello affrettato dalla crisi dell’immigrazione minorile di confine, ma consapevole del danno continuo recato dalle milizie antidroga e dalle politiche repressive ai bambini su entrambi i lati della frontiera.
“La qualità di una società può e deve essere definita da come vengono trattati i più deboli, a cominciare dai nostri bambini”, ha detto Asha Bandele di Drug Policy Alliance, l’organizzazione che coordina l’appello, “i bambini hanno tutto il diritto di aspettarsi che ci prendiamo cura di loro, li amiamo e li nutriamo fino alla maturità. La guerra alla droga è tra quelle politiche che hanno interrotto la nostra capacità di rispondere a tale aspettativa”.
Le organizzazioni e personalità di spicco come Michelle Alexander, autrice di The New Jim Crow, Mass Incarceration in the Age of Colorblindness, hanno firmato una lettera a favore di nuove politiche e della fine della guerra alle droghe.
Dice la lettera: “Nelle ultime settimane la situazione dei 52000 minori non accompagnati fermati alla frontiera degli Stati Uniti dallo scorso ottobre, molti dei quali in fuga dalla violenza della guerra alla droga nell’America centrale, ha pervaso la nostra coscienza nazionale. Le devastanti conseguenze della guerra alla droga non si sono fatte sentire solo nell’ America latina, hanno prodotto effetti qui a casa nostra. Troppo spesso i bambini sono in prima linea in questa guerra sbagliata che non conosce confini né di frontiera né di colore”.
Le organizzazioni che hanno firmato la lettera comprendono una vasta gamma di gruppi e rappresentano interessi e questioni diverse, ma sono uniti nel vedere la guerra alla droga come un ostacolo al miglioramento. Includono Black Alliance for Just Immigration, Center for Constitutional Rights, Institute of the Black World, Presente.org, Students for Liberty, United We Dream, William C. Velasquez Institute, Working Families Organization. Per la lista completa, click here.
Negli ultimi mesi più di 50000 minori in fuga da livelli di violenza mai raggiunti prima, da El Salvador, Guatemala e Honduras sono arrivati ai confini degli Stati Uniti cercando o di ricominciare una nuova vita o di riconnettersi con membri delle loro famiglie già nel paese. Le cause della violenza nell’America centrale sono complesse e storiche, ma una di queste è chiaramente la guerra alla droghe, pesantemente condotta ed esportata a livello globale negli ultimi decenni.
I paesi nel nord dell’ America centrale – il cosiddetto Triangolo del Nord – sono stati particolarmente colpiti dalla violenza legata al proibizionismo a partire dal 2008, quando, dopo che gli Stati Uniti ebbero aiutato il Messico  a gonfiare la guerra ai cartelli della droga attraverso i 2.4 miliardi si dollari dei finanziamenti  “Plan Merida” (il Presidente Obama ne chiede altri 115 milioni per il prossimo anno), i cartelli iniziarono ad espandere le loro operazioni negli stati più deboli dell’ America centrale. I livelli, già alti, di criminalità, schizzarono alle stelle.
La seconda città dell’ Honduras, San Pedro Sula, è in una dubbia concorrenza per vincere il tasso di omicidi più alto del mondo, mentre tre capitali nazionali, Guatemala City, San Salvador, Tegucigalpa, sono tutte nella top ten  mondiale. Molte delle vittime sono minori, spesso presi di mira per la loro appartenenza  a bande di strada affiliate al narcotraffico (o perché rifiutano di unirsi alle gang).
L’impatto della guerra alla droga sui bambini negli Stati Uniti è meno drammatico, ma non meno dannoso. Centinaia di migliaia di bambini americani hanno uno o entrambi i genitori dietro alle sbarre per reati legati alla droga; soffrono non solo l’emarginazione e il trauma emotivo di essere figli di carcerati, ma anche le conseguenze collaterali dell’ìmpoverimento e della instabilità familiare e della comunità. Altri milioni sono di fronte alla prospettiva di percorrere le strade americane dove, nonostante qualche recente ritrattazione sui più gravi eccessi della guerra alla droga, questa continua, rendendo alcuni quartieri posti estremamente pericolosi.
“Di fronte a questa tragedia che, come una spirale, continua a consumare sproporzionatamente le vite e il futuro dei bambini afro e latini americani”, conclude la lettera, “è imperativo metter fine alla nefasta militarizzazione e alle incarcerazioni di massa compiute in nome della guerra alle droghe. Molto spesso le politiche repressive sulla droga sono propagandate come misure per proteggere il benessere dei nostri bambini, ma, in realtà, fanno poco altro che non servire come una Messa a grave rischio per i bambini".
In nome dei minori, è l’ora di ridiscutere sulla guerra alla droga".
Sebbene il gruppo dei firmatari rappresenti interessi e zone geografiche diverse, unirsi sulla questione in comune della tutela dei minori potrebbe gettare le basi per una collaborzione più duratura, ha detto Jeronimo Saldana, il coordinatore legale e organizzativo di Drug Policy Alliance.
“L’idea era di mettere insieme la gente per fare una dichiarazione. Ora, dobbiamo capire come andare avanti. La lettera è stata il primo passo”, ha aggiunto.
“I gruppi sono stati molto positivi”,  ha proseguito Saldana, “Erano felici che qualcuno ne stesse parlando e che mettesse insieme il tutto. Quello che sta accadendo in America centrale e in Messico è collegato a ciò che sta succedendo nelle nostre città e comunità. Questo va oltre le linee partigiane, è davvero evidente che la politica fallimentare sulle droghe colpisce persone di ogni tipo, e l’immagine dei bambini ci rimane impressa.  Speriamo di costruire su questo un movimento. Vogliamo che la gente continui a fare questo tipo di connessioni”.
I diversi firmatari hanno missioni differenti, ma un paio di gruppi della California che hanno firmato la lettera forniscono esempi di come la guerra alla droga li abbia uniti.
“Siamo storicamente impegnati con i giovani coinvolti nel sistema della giustizia penale e con le loro famiglie, dice Azadeh Zohrabi, attivista nella sede di Oakland del Centro per i diritti umani Ella Baker. “Vediamo famiglie disperate che tentano di rimanere in contatto, famiglie forti, sane, ma l’incarcerazione di massa sta rendendo tutto molto difficile. Lavoriamo sia con famiglie che hanno figli coinvolti nel sistema penale, sia con famiglie con uno o due genitori in carcere, o che hanno perso la custodia dei loro figli a causa del loro coinvolgimento nella giustizia penale”, ha spiegato.
"Stiamo lavorando contro queste situazioni, e crediamo che la guerra alla droga globale abbia avuto conseguenze disastrose sulle famiglie, sia qui che altrove”, ha continuato Zohrabi. “le migliaia di miliardi gettate in azioni di polizia e militarizzazione hanno prodotto solo maggiore miseria. E’ tempo di trattare la questione delle droghe come un problema di salute pubblica e non come un crimine”.
“Noi abbiamo firmato perché la lettera è molto chiara nell’affrontare un importante parte del dibattito che non è mai venuta fuori”, ha detto Arturo Carmona, direttore esecutivo del Latino social justice group Presente.org. “Questa crisi alla frontiera non è il risultato di aver differito le iniziative contro gli arrivi di minori immigrati, come molti Repubblicani di destra vanno affermando, ma è il risultato di uno dei picchi più letali, di recente memoria,  di criminalità e violenza nel Triangolo del Nord”, ha argomentato.
“La violenza è una delle spinte maggiori, e quando parliamo di questo negli Stati Uniti, è fondamentale che riconosciamo questi fattori di spinta, molti dei quali sono connessi alla guerra alle droghe”, ha continuato Carmona. “Notiamo come i minori non provengano dal Nicaragua, paese che non abbiamo sostenuto nella guerra alla droga, ma da paesi che hanno avuto sostegno e consigli sulla guerra alla droga, dove abbiamo fornito armi. Questo è molto ben documentato”.
Anche se Presente.org è molto impegnato sul fronte dell’immigrazione, ha detto Carmona, non può sfuggire il ruolo della guerra alle droghe nel rendere tutto peggiore, non solo in America centrale e ai confini, ma anche dentro gli Stati Uniti.
“Siamo molto preoccupati di come i nodi vengano al pettine per il fallimento della nostra guerra alle droghe”, ha detto. “L’opinione pubblica americana ha bisogno di esser resa consapevole di questo e stiamo cominciando a vedere una maggiore comprensione del fatto che tale politica è fallita, non solo nel modo in cui si criminalizzano i giovani latino e afro americani qui negli Stati Uniti, ma anche nel modo in cui queste politiche affliggono altri paesi nostri vicini. Come dimostra il Nicaragua, il nostro mancato coinvolgimento ha fatto registrare un tasso di criminalità più basso. Il nostro coinvolgimento militare nella guerra alla droga è un fallimento abissale, come dimostrano i record di omicidi non solo in America centrale, ma anche in Messico”.

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