01/01/15

Ci vuole un 2015 più antiproibizionista che mai

L'anno che si chiude si aprì sulle belle speranze della legalizzazione in Uruguay, della caduta della Fini Giovanardi, della felice progressione dei risultati referendari negli Stati Uniti, confermata anche questo novembre in Alaska, Oregon e Washington D.C.

Ma la spinta, se non antiproibizionista, almeno legalizzatrice e di revisione delle leggi sulle droghe, per quanto ascendente, non riesce ad arginare la corsa di uno dei business ciminali maggiori del mondo.

Non bastando dunque i bassifondi delle grandi città formicolanti di un popolo malridotto composto da tossicodipendenti, piccoli criminali, psicopatici, stretti insieme dalla miseria e dallo stigma della illegalità;
non bastando le prigioni sovraffollate da prigionieri rei di “reati non violenti legati ad uso di droghe”, come dicono negli States, o di reati senza vittima, come hanno sempre detto i liberali; in particolare, in Italia, non bastando l'evidenza di come la maggior parte dei suicidi in carcere fossero detenuti per reati connessi agli stupefacenti;
non bastando le disgrazie del proibizionismo e del suo incontrollato corollario di apprendisti stregoni di nuove droghe, sintetiche, derivate, surrogate e affatturate;
non bastando tutto ciò, unito alle corpose documentazioni che da qualche anno ormai indicano la necessità di rivedere le politiche sulle droghe a livello mondiale, nazionale e locale,

nel 2014 abbiamo visto
riconosciuti ufficialmente, nei rapporti della DEA e dai media di mezzo mondo, gli stretti legami del terrorismo col narcotraffico, tanto da coniarsi il termine di narcoterrorismo o narcojihadismo;
il fallimento definitivo della militarizzazione sconsiderata legata alla war on drugs, delle “scuole speciali”; attraverso i fatti di Ferguson, e tutto quello che ha preceduto e seguito Ferguson, come la guerra alla droga sia diventata una persecuzione violenta a carico delle minoranze sociali e razziali;
la crisi delle migliaia di minori latinoamericani rifugiati alla frontiera con gli Stati Uniti, in fuga dalla violenza crescente delle maggiori città centro e sudamericane, connessa alla guerra tra narcos ed eserciti, guerra con numerosissimi episodi di complicità e di corruzione;
scoppiare e crescere la crisi messicana, dalle rivolte delle milizie popolari in gennaio, fino agli ennesimi desaparicidos di settembre, 43 studenti consegnati dal sindaco di Iguala e dalla polizia ai narcos.  


Quindi, per il 2015, buon anno di lotta che continua J

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