I giornalisti, si sa, scrivono per lavoro e non per
passione, così non si si potrà mai sapere se un brutto articolo sia frutto di
una idiozia congenita o della difficoltà di inventarsi un cervello che non si ha.
La premessa è d'obbligo per parlare di un articolo uscito ieri su Tempi, a firma Alfredo Mantovano, dal titolo: "Uruguay? No
grazie. L’idea della cannabis di Stato è uno sballo solo per chi è rimasto agli
anni Settanta".
I bersagli dell'attacco sono le dichiarazioni
della Ministro Bonino e l'iter parlamentare di un disegno di legge proposto
dall' On.Farina (SEL); su questo non c'è nulla da rispondere, perché
fortunatamente Mantovano è del tutto ininfluente sulle scelte dei Ministri e
sulle attività legislative del Parlamento.
Purtroppo però gli argomenti che Mantovano mette in
campo sono molto ipocriti e arruffati e devono essere smentiti.
Per dimostrare che nessuna differenza esiste tra
droghe pesanti e cannabis, spara intanto una cifra iperbolica: “il Thc … è oggi venti volte superiore che negli
spinelli di un quarto di secolo fa”, una cosa ridicola, come tutti sanno, dato
che 25 anni fa il Thc medio oscillava intorno al 7/8 %, con punte fino al 15 %,
che, moltiplicate per 20, sfidano la matematica. Fosse anche stato, il Thc
medio, tra il 3/4 %, una pianta che produca cime all’80 % di Thc ancora non si è
mai vista sulla faccia della terra. Ma per Mantovano, l’argomento è chiuso, trattasi
di autodistruzione, tal quale la canna al buco in vena.
Dove dà il meglio però è nell’argomento successivo,
basato sempre sulla errata premessa che fumare canapa voglia dire autodistruggersi;
il paragone di Mantovano è ardito, arrampicato su altissimi specchi - è giusto
che lo Stato si impicci dei fatti privati dei cittadini e li tuteli da se
stessi, come nel caso del casco obbligatorio - un paragone che fa acqua, e
confonde un obbligo, di indossare dispositivi
di sicurezza, con una proibizione; a sentire lui, lo Stato dovrebbe
proibire di mangiare troppa cioccolata, di fare una vita sedentaria, e magari
controllare che le luci nelle case siano distribuite a norma.
Non è ancora il sabato fascista, ma ci siamo quasi.
Sono molti gli ostacoli con i quali la nuova legge sulla
cannabis, approvata il 10 dicembre in via definitiva dal Senato dell’Uruguay, dovrà
confrontarsi. Mujica, Presidente dell’Uruguay, che ha promosso nel suo paese una
legalizzazione innovativa del commercio e del consumo di cannabis, con l’intento
dichiarato di contrastare la criminalità organizzata, ha il suo daffare in
questi giorni, per rispondere alla valanga di critiche e minacce che l’ONU per prima,
seguita da tutti i guardiani del proibizionismo, ha messo in campo, e certo non
avrà perso il sonno a causa delle dichiarazione del nostro Senatore Giovanardi,
che non ha perso l’occasione per difendere le sue politiche oscurantiste e
irragionevoli.
Giovanardi ha preso spunto dalle dichiarazioni della Ministro
degli Affari Esteri italiana, Emma Bonino: interrogata, a margine della
Conferenza Italia – America Latina, si è espressa nettamente: “Non è una
legalizzazione totale, ma hanno fatto benissimo”. Niente di strano, è notorio che
Bonino è da sempre schierata a favore
delle politiche antiproibizioniste, insieme a tutto il suo Partito.
«È molto grave che un ministro degli Esteri faccia
dichiarazioni simili, – spiega Giovanardi a Il Tempo - hanno parlato della
liberalizzazione come di un "esperimento". Io dico che è un cinico
esperimento sulla pelle dei giovani.»
Dimentica, Giovanardi, che l’esperimento proibizionista, in
vigore da più di 50 anni, è stato un totale fallimento, come tale ormai
riconosciuto da un crescente numero di scienziati, politici, studiosi di ogni
appartenenza e di ogni colore, e che la legalizzazione delle ”droghe leggere”,
cosa diversa dalla liberalizzazione, è solo un primo passo per uscire dalla
tragedia sociale ed economica che le scellerate strategie proibizioniste hanno portato
al mondo.
Dice Giovanardi che le dichiarazioni della Ministro “non
rispettano né il Parlamento italiano né le convenzioni internazionali che
l’Italia ha firmato, la sua è e resta un’opinione personale, di certo non rappresenta
la linea del governo”; trascura che la linea del governo la esprime il Governo
e le sue, pur legittime, posizioni rispecchiano solo una mentalità reazionaria
non scevra da interessi privati.
Rita Bernardini, Segretaria di Radicali Italiani
Claudia Sterzi, Segretaria della Associazione Radicale Antiproibizionisti
All’ inizio della fine del proibizionismo e della guerra
alla droga
di Giovanni Paolo Rathbone da Miami
Segnali di revisione del proibizionismo
Il Congresso dell'Uruguay, la scorsa settimana, ha fatto un
gran passo avanti per diventare il primo
paese al mondo a legalizzare la coltivazione, la vendita e il possesso di
cannabis. Lo scorso novembre, gli stati di Washington e Colorado, negli Stati
Uniti, hanno approvato leggi simili. Queste misure sono un segno di come la
monolitica politica sulle droghe, che si basa sul divieto, sia in corso di riesame
e di modifica; sono potenziali segnali di un mondo nuovo. Considerato come le
droghe tocchino la vita di tante persone, per molti sono anche spaventosi.
Tuttavia, da qualche anno, è chiaro che le droghe hanno
vinto la "guerra alla droga". Nei paesi leader per il consumo, come
ad esempio gli Stati Uniti, il divieto ha avuto un certo successo. Ma il costo
è stato enorme.
Gli Stati Uniti spendono circa $ 50 miliardi l'anno per gli
sforzi anti-droga. Il consumo di cocaina è diminuito di circa il 40 per cento
dal 2006. Ma la cocaina è stato sostituita, in qualche modo, dalle droghe
sintetiche in aumento e l'abuso di prescrizioni di pillole (psicofarmaci e
antidolorifici). Negli Stati uniti sono anche arrestate e imprigionate più
persone che in qualsiasi altra parte del mondo - su base pro capite, cinque
volte più numerosi del Regno Unito o della Cina. Sorprendentemente, nel 2009 la
metà di tutti i prigionieri federali degli Stati Uniti, e un quinto di tutti i
prigionieri di Stato, sono stati incarcerati per droga.
In effetti, questo è uno dei motivi per cui vi è stata una
crescente tolleranza verso la legalizzazione della cannabis negli Stati Uniti.
Non è più vista come una "droga di passaggio" alla dipendenza e al
vizio, molti genitori sono oggi più preoccupati che i loro figli abbiano una
segnalazione alla polizia, che non del fatto che fumino erba.
I paesi fornitori devono affrontare sfide diverse. In
America Latina, la più grande è la spaventosa violenza. Circa 70.000 persone
sono morte da quando il Messico ha lanciato una operazione contro i trafficanti
internazionali di droga, sette anni fa. L’ Honduras ora soffre di tassi di
omicidio normalmente visti in zone di guerra. Anche dove i cartelli della droga
sono stati sopraffatti, come in Colombia, questo è servito poco per frenare le
esportazioni di droga. Le rotte del contrabbando si sono semplicemente spostate
altrove.
Nonostante questi risultati discontinui, mettere in discussione
le politiche proibizioniste è rimasto un tabù. Ma questo atteggiamento sta
cambiando velocemente. Solo lo scorso aprile Juan Manuel Santos, il presidente
colombiano, e stretto alleato degli Stati Uniti, ha chiesto, all'Organizzazione
degli Stati americani un riesame della politica della droga, in un emisfero che
rappresenta circa la metà del consumo mondiale di cocaina e di eroina, e un
quarto del consumo di cannabis.
Come risultato, l'OAS quest'anno è diventata la prima
organizzazione multilaterale ad acconsentire di considerare nuovi approcci -
tra cui la legalizzazione della cannabis. E nel 2016, le Nazioni Unite terranno
una speciale assemblea generale sull'argomento. I maggiori oppositori alla
riforma non saranno, probabilmente, né gli Stati Uniti né l'Europa, che hanno
in gran parte abbandonato la retorica della “guerra alla droga”, ma le economie
emergenti come la Cina e la Russia. Si preannuncia un incontro vivace.
Nel frattempo, è giusto esplorare approcci diversi per un
grosso problema che è anche un business enorme: l'Onu stima il valore globale
di vendita al dettaglio di droghe illegali in circa $ 330 miliardi in un anno,
e la cannabis ne rappresenta quasi la metà. Questo è il valore degli
esperimenti dell'Uruguay, Colorado e Washington, esperimenti che cercano non di
promuovere il consumo di droga, ma di regolarlo.
E' importante non esagerare i benefici potenziali. Ad
esempio, la cannabis legalizzata toglierà linfa ai ricavi criminali. Ma non li
eliminerà. I cartelli della droga in Messico, per esempio, derivano solo un
terzo dei loro ricavi dalla cannabis. Il resto proviene da altre droghe
illegali, estorsioni e rapimenti.
Né sarà la legalizzazione, di per sé, a migliorare la
sicurezza in America Latina - come può, quando le forze di polizia sono spesso
deboli, i giudici corrotti, e i livelli di impunità così alti? Non si svuoteranno
le carceri statunitensi. Né la legalizzazione necessariamente aumenterà le
entrate fiscali da reinvestire in trattamenti delle tossicodipendenze. Questo
perché per competere con i mercati illegali, le droghe regolamentate dovranno
offrire una buona qualità a prezzi competitivi. La scelta di applicare tasse di
vendita alte lavora contro.
In breve, la legalizzazione non è una panacea. E’ solo una
parte di un nuovo approccio. Eppure, che la politica della droga sia stata
messa in discussione e, di conseguenza, potrebbe diventare più razionale, è un
significativo passo avanti. Tutte le politiche pubbliche, dopo tutto, dovrebbero
essere tenute ad un controllo. Questo è particolarmente vero per quelle basate
sulla nozione che possano controllare un bene redditizio, e sradicare un
comportamento di base. Per qualche motivo gli esseri umani amano sempre e
comunque essere stupefatti.
La votazione di mercoledì sera, in Uruguay, che ha sancito
il primo via ufficiale di un Parlamento nazionale alla legalizzazione del
commercio e della produzione di canapa per uso ludico, marihuana, come viene
chiamata in quel paese, ha scosso la decennale inerzia dell’ UNODC (agenzia per
le droghe e il crimine delle Nazioni Unite); mentre era rimasta inerte sui risultati referendari di Colorado e Washington, come un mammut che si risveglia
dopo infinite ere, punzecchiato e irritato, l’agenzia che ha istituzionalizzato
l’assioma droghe/crimine ha pubblicato una dichiarazione piuttosto minacciosa,
attraverso il Comitato di controllo internazionale dei narcotici, che merita di
essere letta nella sua interezza, per immaginare le prossime mosse di questa
che è una vera, sporca guerra:
“VIENNA, 1 agosto 2013 - L'International Narcotics Control
Board (INCB) ha preso atto con preoccupazione di un disegno di legge in esame
in Uruguay che, se approvato, permetterebbe la vendita di cannabis per uso non
medico. Una tale legge sarebbe in contrasto completo alle disposizioni dei
trattati internazionali di controllo delle droghe, in particolare alla
Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, di cui l'Uruguay è membro.
In linea con il suo mandato, l’ INCB ha sempre mirato a
mantenere un dialogo con il governo dell'Uruguay su questo problema, compresa
la proposta di una missione per il paese, al livello più alto. Il Consiglio
deplora che il governo dell'Uruguay abbia rifiutato di accogliere tale
missione.
L’ INCB esorta le autorità dell’ Urugay a garantire che il
paese rimanga pienamente in linea con il diritto internazionale, che limita
l'uso di stupefacenti, compresa la cannabis, esclusivamente a fini medici e
scientifici. È importante sottolineare che il progetto di legge, se adottato,
potrebbe avere gravi conseguenze per la salute e il benessere della popolazione
e per la prevenzione di abuso di cannabis tra i giovani. Il Consiglio invita le
autorità a considerare con attenzione
tutte le possibili conseguenze prima di prendere una decisione”.
“1 agosto, 2013 - Vienna - Il Direttore Esecutivo dell'UNODC
continua a seguire gli sviluppi in Uruguay da vicino, e sostiene la
dichiarazione 1 agosto dall'International Narcotics Control Board.
Le convenzioni internazionali per il controllo della droga
hanno contribuito a contenere e stabilizzare i livelli di consumo di droga nel
corso di decenni, e rimangono il fondamento degli sforzi globali per ridurre il
traffico illecito di droga e di fornire prevenzione e trattamenti, per i tossicodipendenti
problematici, scientificamente fondati.
È chiaro che ci sono sfide. Un problema serio è l'orribile
violenza generata dal traffico illecito di stupefacenti, che ha rovinato tante
società. Questo ha portato ad un dibattito sul modo migliore di affrontare
questi problemi.
UNODC si compiace di questa discussione - un dialogo su come
andare avanti per fermare i trafficanti di droga e per proteggere la salute e
il benessere delle persone, è chiaramente necessario. Ma questo dialogo deve
essere condotto sulla base di convenzioni concordate, in linea con il diritto
internazionale.
La Commissione stupefacenti, l'organo decisionale centrale
delle Nazioni Unite su questo tema, terrà l'anno prossimo una revisione ad alto
livello, per l’attuazione della dichiarazione politica e del Piano di azione
sul problema mondiale della droga degli Stati membri. La nostra speranza è che
gli Stati membri avranno l'opportunità di perseguire un approccio cooperativo
coerente per affrontare le sfide che abbiamo di fronte collettivamente”.
Dall’altra parte, il Presidente Mujica non si tira indietro
e raccoglie subito il guanto di sfida, senza tentennamenti; in settembre sarà
all’ ONU accompagnato dal cancelliere Almagro e dal Presidente della
Commissione nazionale per le droghe, Cánepa. Almogro ha dichiarato che Mujica
vuole spiegarsi personalmente, e altre fonti segnalano che è sua intenzione
confrontarsi con Obama, oltre che intervenire nell’ Assemblea generale ONU.
Mujica ha più volte sostenuto che la lotta al narcotraffico
effettuata con metodi repressivi è fallita , ribadendo il bisogno di
alternative per affrontare il peggior flagello dell’ America latina; in maggio
uscirono alcune sue dichiarazioni nelle quali si diceva contrario all’uso di
marihuana, ma che avrebbe preferito legalizzarlo affinchè non crescesse nell’ombra
risultando ancora più dannoso per la popolazione. Ha poi chiarito che la
marihuana è una piaga, però il narcotraffico è molto peggio, e per questo ha
ideato un progetto con l’obiettivo di riguadagnare il controllo sulla
circolazione di questo stupefacente. Queste alcune delle sue recenti parole sul
tema
“Una cosa è un consumatore che si fuma un porro, un’altra è
che cada nel vizio e nessuno gli tiri una corda”.
“Prima cosa, basta con la clandestinità; identificare ed
avere un mercato alla luce del sole”.
“Io sono antico, vecchio;
mai nella mia vita ho provato un porro (sigaretta di canapa), però mi rendo
conto, forzo i neuroni a ringiovanire e a rendersi conto di quale è la vita dei
ragazzi … il consumo è così, dietro l’angolo, e ha dato vita a un mercato
clandestino che tiene le sue feroci regole proprio per la sua clandestinità. E’
un monopolio di mafiosi, ci sono dati agghiaccianti”.
“Quelli che consumano
non danno retta ai consigli ma non per questo c’è da lasciarli alla mercè delle
bande; sono attratti dall’avventura di comprare in giro dai narcotrafficanti perché è una cosa proibita e clandestina.”
Il progetto di Mujica autorizza lo Stato a assumere il
controllo e la regolazione delle attività di importazione, esportazione, piantagione,
coltivazione, raccolto, produzione, acquisizione, lavorazione,
commercializzazione e distribuzione della cannabis e dei suoi derivati.
Se, in ottobre e comunque entro la fine dell’anno, la legge
passerà al Senato, come i numeri sembrerebbero indicare, la legge diventerà
legge dello Stato dell'Uruguay. ONU permettendo.
Evo Morales inaugura a La Paz una fabbrica di mate di coca e estevia
Il Presidente della Bolivia, Evo Morales, ha inaugurato il
primo stabilimento per la lavorazione della coca, che tratterà la foglia per
uso medicinale; si stima che l’impianto potrà lavorare 75.000 tonnellate l’anno
per la produzione di coca per infusi. Morales ha ricordato la masticazione della
foglia di coca su prescrizione medica, e come molte persone stiano
combattendo il diabete con il suo uso – questo è del tutto dimostrato – ha detto.
All’inizio di questo anno la Bolivia ha ottenuto di essere
riammessa alla Convenzione ONU sugli stupefacenti del 1961, salvaguardando l’
eccezione che permette la masticazione tradizionale delle foglia di coca nel
paese. L’Onu proibisce comunque l’esportazione,
e Morales cerca appoggio in tale senso dai paesi dell’ ALBA (Allenaza boliviana
dei paesi di America), che si riuniscono in assemblea in questi giorni in
Ecuador in previsione di una zona economica comune.
Morales ha annunciato che nell’ Assemblea proporrà agli
Stati membri l’acquisto della foglia di coca boliviana; l’ALBA è una
piattaforma di integrazione delle nazioni dell’ America latina e del Caribe e
comprende Ecuador, Venezuela, Bolivia, Cuba, Dominica, Nicaragua, San Vicente y
las Granadinas, Antigua y Barbuda y Santa Lucía.
Morales ha anche sottolineato come la lotta per la difesa
della foglia di coca abbia risvegliato politicamente e ideologicamente il
popolo boliviano, a partire dalle zone di Yungas e da Cochabamba, i due
principali luoghi di coltivazione.
“Il popolo si è risvegliato perché tutte le politiche di
governo asservite all’imperialismo non facevano altro che parlare di coca zero,
della coca che è cocaina, e dei produttori di coca come di tossicodipendenti.
Il movimento contadino è stato criminalizzato e condannato all’incarcerazione; il dibattito che ne è scaturito per difendere la foglia di coca, e non la
cocaina, ci ha permesso di orientarci ideologicamente." Nelle parole del Presidente
boliviano, la lotta sindacale e i dibattiti hanno permesso che la Bolivia
diventasse un riferimento mondiale per proposte sociali e riforme strutturali; la battaglia per la
foglia di coca ha permesso anche di identificare i nemici interni, quelli che
arrivavano con l’intenzione di eradicare completamente la pianta di coca senza
riconoscere l’identità culturale dei boliviani.
“Questa lotta per la foglia di coca ha permesso di
identificare i nemici interni e i neo colonialisti, i neo invasori, come gli
Stati Uniti, attraverso le Agenzie antidroga e le basi militari nordamericane”,
ha concluso, dimostrando, ancora una volta, come sia facile strumentalizzare il
dibattito sulle droghe in senso politico e ideologico, da qualunque parte lo si
guardi.
Questa prima impresa statale di coca potrà contare anche sull'appoggio economico della Unione Europea.
“Il Governo uruguayano ha ottenuto ieri la prima
approvazione, alla Camera dei Deputati, della legalizzazione della canapa per uso
ricreativo, medicinale e industriale”.
Questa la notizia; arriva dunque in porto il progetto di
Mujica, Presidente dell’ Uruguay, che da qualche tempo propone un modello di
produzione di Stato per la marihuana, come viene chiamata, cioè, per la canapa.
La visione iniziale del Presidente è stata modificata in corso di dibattito,
che ha visto anche forti voci contrarie al monopolio di Stato; la legge
approvata alla Camera ieri consente "il commercio di un massimo di 40 grammi mensili di marihuana attraverso la rete delle farmacie. Per poter effettuare l'acquisto, il consumatore deve essere registrato, però la sua identità è tutelata dalla legge sulla protezione dei dati"; è permessa la coltivazione personale “di un
massimo di sei piante di canapa per ogni nucleo familiare e la produzione
collettiva della droga in club da un minimo di 15 a un massimo di 45 soci”.
Altri paesi dell’ America latina hanno espresso dissenso
per questa iniziativa, rimproverando a Mujica di agire individualmente senza
coordinarsi con il movimento per la revisione delle Convenzioni ONU, che va
crescendo in quella zona, come in altre parti del mondo.
Nonostante che il risultato alla Camera uruguayana si sia
giocato su un voto solo, e nonostante che i sondaggi indichino come la maggior
parte della popolazione sia contraria, la legge ha buone possibilità di passare
anche in Senato, dove il Governo sembra avere una solida maggioranza.
Dopo i referendum in Colorado e Washington, che hanno visto
vincere un primo tentativo di legalizzazione della cannabis per uso ludico,
oltre che medicinale, il risultato di ieri può ben essere appuntato fra le
stellette che la battaglia antiproibizionista inizia ad avere; piccoli passi,
ma finalmente nella giusta direzione.
In tutto il mondo crescono i movimenti e le iniziative per il superamento delle proibizioni sulla coltivazione e sull’uso di cannabis; negli Stati Uniti, con due referendum, nel novembre scorso, è stata votata la legalizzazione del possesso e della vendita. In molti Parlamenti latino americani sono in discussione leggi sul tema, e manifestazioni popolari si svolgono in quei paesi che più hanno sofferto per la “guerra alla droga”, lanciata da Nixon ormai 50 anni fa, come Colombia e Messico. Il lavoro della Global Commission, una commissione indipendente formatasi in seguito all’appello di tre ex presidenti di Stato, è riuscita a sollevare un forte dibattito pubblico e a far comprendere la necessità di sperimentare nuovi modelli di approccio.
In Europa la rete ENCOD (Coalizione europea per politiche sulle droghe giuste ed efficaci) promuove e segue fino dall’inizio degli anni 2000 la creazione dei social cannabis club, nei quali si produce la cannabis per l’uso personale dei soci; ne sono sorti a decine, in Spagna, Belgio, Slovenia, Inghilterra ecc.; in Francia, dove la coltivazione, anche di una sola pianta, come in Italia, è reato da codice penale, la creazione di centinaia di CSC ha assunto la forma di una disobbedienza civile che sta salendo alla cronaca dopo l’arresto del coordinatore nazionale, Dominique Broc. In numerosi paesi le leggi si stanno adeguando ad una visione più moderna e sensata; fra tutti l’esempio del Portogallo, che da una decina di anni ha depenalizzato il possesso di tutte le droghe ed ha visto diminuire le tossicodipendenze e i consumi problematici, ha fatto da apripista a un nuovo modo di gestire la diffusione delle sostanze psicotrope.
E in Italia?
Anche da noi, che siamo vittime, insieme a Francia e Svezia, delle leggi più severe e più miopi, si sta faticosamente sollevando l’argomento; è da poco iniziata la raccolta delle firme per una proposta di legge di iniziativa popolare, promossa da un cartello di associazioni che si occupa dei problemi legati alle condizioni carcerarie; un’altra proposta, elaborata da ASCIA (Associazione per la sensibilizzazione sulla canapa autoprodotta in Italia) non è ancora stata presentata formalmente, ma ha ottenuto un buon riscontro dopo esser stata pubblicata sul blog del Movimento 5 Stelle. Il Progetto Freeweed ha costituito una rete di referenti in tutta Italia in previsione del deposito di un quesito referendario.
La Million Marijuana March quest’anno, oltre al tradizionale appuntamento di manifestazione e marcia, sabato 4 maggio, dal Piazzale dei Partigiani fino al CSA La Torre, Via Bertero, si articolerà in tre giorni, con un incontro di apertura alla Camera dei Deputati, giovedì 2 maggio alle 11, e un confronto pomeridiano, venerdì alle 18, presso il CSA La Torre.
Mercoledì 10 aprile, infine, una delegazione di radicali, guidata dal segretario di RI, Mario Staderini, ha depositato 6 quesiti referendari, dei quali uno riguardante la legislazione sulle droghe, per la depenalizzazione dei fatti di lieve entità, e una proposta di legge di iniziativa popolare, per la legalizzazione di coltivazione e commercio di cannabis, già depositata anche in Parlamento nella scorsa legislatura.
Nei giorni scorsi è uscito un rapporto dell’Europol
(European Police Office), dal titolo “La valutazione europea della grave
minaccia della criminalità organizzata (SOCTA)”,prodotto di un’analisi
sistematica delle informazioni relative all'applicazione della legge sulle
attività criminali e gruppi che interessano l'Europa. Il SOCTA è progettato per
aiutare i responsabili delle decisioni strategiche nella definizione delle
priorità e delle minacce della criminalità organizzata.
E 'stato prodotto dal Dipartimento Operativo di Europol,
avvalendosi dei contributi emersi dal lavoro dell'organizzazione stessa, dall’
analisi su forme gravi di criminalità organizzata e da partner esterni.
Il sito di Aduc ne riporta una sintesi: “Il traffico
internazionale di stupefacenti rimane la piu' grande attivita' della malavita
in Europa, dove operano circa 3.600 organizzazioni criminali, con quelle
specializzate in contrabbando di stupefacenti che importano fino a 124
tonnellate di cocaina ogni anno. La cannabis resta lo stupefacente preferito,
con 23 milioni di consumatori in tutto il Continente per un mercato che vale
1.300 tonnellate di hashish e 1.200 tonnellate di erba ogni anno. La cocaina
resta al secondo posto con 4 milioni di consumatori che consumano 124
tonnellate, annualmente. Il rapporto di 46 pagine, che l'Europol definisce il
più dettagliato studio mai effettuato sul crimine organizzato, evidenzia anche
l'arrivo di una nuova ondata di bande, alimentate dalla crisi finanziaria e
dagli illeciti che è possibile commettere online. ''Questi gruppi non sono più definibili
per la loro nazionalità o attività, ma per la loro abilità di operare su base
internazionale, con l'unico obiettivo di massimizzare i profitti e minimizzare
i rischi'', ha detto il capo dell'Europol, Rob Wainwright. ''Sono l'incarnazione
della nostra nuova società globalizzata''. Il rapporto dell'Europol verrà inviato
ai 27 paesi membri della Ue, affinché possano stabilire le strategie di
contrasto alla criminalità organizzata per i prossimi quattro anni”.
E, più nel dettaglio, ecco quali sono i risultati di 50
anni di soggezione alle strategie ONU ed Stati Uniti, che a lungo hanno
ostacolato sperimentazioni locali o nazionali di strategie diverse; solo negli
ultimi anni si sono tentati esperimenti di depenalizzazione, in Portogallo, ad
esempio, e in altri paesi:
“Droghe, l'area più dinamica della criminalità; il mercato
della droga è altamente competitivo, le rotte del traffico sono in continua
diversificazione”, quindi un mercato molto attivo.
“Il politraffico di droga è ormai una modalità comune di
azione e la criminalità organizzata in questo settore è altamente innovativa”,
innovativa sia nel senso degli espedienti usati per il traffico clandestino,
sia per la capacità di produrre nuovi prodotti di sintesi.
“Circa un terzo di tutti i gruppi della criminalità
organizzata nell'Unione europea sono impegnati nella produzione e distribuzione
di droghe illecite. I mercati della droga dell’unione europea continuano ad
essere altamente competitivi e molto redditizio per la criminalità organizzata.
Il politraffico di droga non è più solo una tendenza, ma un approccio comune
scelto dalla criminalità organizzata operante in Europa”, si riconosce dunque
l’alto livello di organizzazione e centralizzazione del mercato della droga.
“La violenza, questioni di salute pubblica, un elevato
numero di morti e di sentimenti di insicurezza sono tutti legati al traffico di
sostanze stupefacenti. Le campagne di prevenzione e di riduzione del danno
costano milioni di euro. I gruppi criminali continuano a lavorare per
minimizzare i costi durante il processo di produzione di droga, il che comporta
gravi rischi per i tossicodipendenti. Sintetici e nuove sostanze psicoattive
sono prodotti in processi complessi privi di meccanismi di controllo; prodotti
di bassa qualità sono utilizzati come precursori per i sintetici o agenti di
taglio per l'eroina, pesticidi e insetticidi sono ampiamente utilizzati per
massimizzare le rese del raccolto di cannabis”.
“Eroina: Il valore del mercato europeo degli oppiacei è
stato stimato a circa 12,4 miliardi di euro; Il Regno Unito, Italia, Francia e
Germania rappresentano più della metà del mercato europeo. Nonostante un
leggero calo dei consumi, il traffico di eroina resta una minaccia ed è in
corso una ulteriore diversificazione delle rotte di traffico di eroina; l’anidride
acetica, una componente fondamentale del processo di produzione di eroina, è in
gran parte fabbricato nell'UE.
Gruppi di criminalità organizzata di origine albanese,
pakistana e turca dominano il traffico di eroina, e c’è una crescente
collaborazione tra gruppi criminali, nel mercato dell’eroina, aldilà delle divisioni linguistiche ed etniche”, una
ulteriore conferma della centralizzazione del mercato di sostanze illegali.
“L’uso di eroina globale sembra essere su un declino
moderato, mentre il mercato dell'eroina rimane relativamente stabile. Sequestri
di rilievo negli ultimi dieci anni hanno confermato l'Europa come un importante
fonte di precursori (anidride acetica). Le informazioni disponibili
suggeriscono il coinvolgimento di un numero limitato di gruppi criminali, ma
questi gruppi sembrano essere molto ben organizzati ed efficienti. Un aumento
del consumo di eroina in alcune regioni dell'Africa può portare ad una
ulteriore diversificazione dei percorsi, nonché un ruolo maggiore e mutevole
per i gruppi africani nel traffico di eroina verso l'Europa. I mercati di
eroina della Russia e dell'Ucraina sono ormai i più grandi mercati europei e la
loro espansione determina alcune rotte verso l’Europa”, o le rotte determinano
i mercati.
“L’eroina è già contrabbandata attraverso le repubbliche
dell'Asia centrale e della Federazione russa, soprattutto in Lettonia e
Lituania, ma anche in altri paesi europei. Mentre la domanda di eroina in Europa
sta mostrando un moderato calo, la ripresa della produzione afgana di eroina,
una ulteriore diversificazione delle rotte e il flusso potenziale di precursori
di eroina da parte dell'Unione europea in Afghanistan indica che il traffico di
eroina rimarrà una minaccia”
“Cocaina, resta una
delle droghe più popolari, di massa.L'ingresso
principale e i punti di distribuzione per la cocaina trafficata dal Centro e
Sud America sono i principali porti nell'Europa nord-occidentale, la penisola
iberica e il Mar Nero; I gruppi
colombiani non hanno più il monopolio del traffico di cocaina, cartelli
messicani stanno emergendo come trafficanti ai mercati europei. Un numero crescente di gruppi criminali utilizzano
per il traffico sofisticati metodi di occultamento e le tecniche più efficaci
di incorporazione di cocaina in altri materiali. Con 4 milioni di consumatori
che consumano 124 tonnellate di cocaina all'anno, la cocaina è la seconda droga
più comunemente usata in Europa dopo la cannabis e l'Europa rimane uno dei più
grandi mercati di cocaina nei mondo. I dati recenti mostrano segni di
stabilizzazione globale del livello del consumo di cocaina, con un leggero calo
in alcuni Stati membri. I gruppi della criminalità organizzata europea svolgono
un ruolo sempre più importante per l'importazione di cocaina su larga scala e
alcuni di questi ora agiscono come mediatori importanti, lavorando direttamente
con i fornitori. Preoccupazioni sono state sollevate perché le spedizioni di
cocaina rimangono nascoste a causa della loro incorporazione in altri
materiali. Laboratori di estrazione secondari sono stati identificati in
Spagna, Paesi Bassi, Polonia, Grecia e Moldavia”.
“La varietà di percorsi e dei metodi di trasporto e
l'emergenza dei metodi di occultamento utilizzati presentano sfide significative
per le forze dell'ordine. I gruppi colombiani non hanno più il monopolio del
mercato della cocaina, e aumentano le opportunità per i gruppi criminali
provenienti da altri paesi di indirizzarsi nel mercato europeo e per i gruppi europei
di introdursi nelle linee di distribuzione più lontano di quanto avrebbero mai
pensato. L'emergere di gruppi provenienti dal Messico e dalla Nigeria può
comportare una certa instabilità nel mercato della droga come, ad esempio, gruppi concorrenti che si contendono il
predominio”.
“Canapa; la domanda, molto alta,sostiene una varietà di fornitori e di rotte,
la resina di cannabis è sempre più importata dall'Afghanistan attraverso la
rotta dei Balcani, la violenza tra gruppi coinvolti nel traffico di cannabis è
in aumento”.
“La cannabis è la droga più diffusa in Europa. Si stima che
circa 1300 tonnellate di resina di cannabis e 1200 tonnellate di foglie di
cannabis vengano consumati ogni anno in Europa da circa 23 milioni di
consumatori di cannabis. La quota di mercato della cannabis continua ad
aumentare in tutta l'UE, e la cannabis coltivata a livello nazionale
sostituisce in parte resina importata. Si rileva la coltivazione indoor per la
maggior parte della cannabis prodotto nell'UE. Il Marocco rimane il più
importante produttore ed esportatore di resina di cannabis per l'UE e di
conseguenza la Spagna è ancora una voce importante e centro di distribuzione
per l'UE. Tuttavia, il significato del Marocco per il mercato della cannabis
europea è in calo, mentre la fornitura dall'Afghanistan è in aumento. La
criminalità organizzata è sempre più coinvolta nella produzione e distribuzione
di cannabis. Le reti di distribuzione si stanno spostando e cambiano da traffico
di cocaina e di eroina alla cannabis, a causa degli scarsi rischi e dei
profitti elevati. I Paesi Bassi sono destinato a rimanere il paese più
importante fonte di semi e talee, e di tecnologie e conoscenze in crescita.
L'aumento della domanda e la produzione nelle altre regioni e all'esterno
dell'UE può portare ad una maggiore concorrenza tra gruppi criminali,
cambiamenti nelle rotte del traffico e più politraffico. Il mercato della cannabis
rimane grande e complesso senza diminuzione prevista della domanda. La
criminalità organizzata continuerà a svolgere un ruolo chiave per la
coltivazione e il traffico illegale di prodotti vari di cannabis”.
“Droghe sintetiche e nuove sostanze psicoattive: 70 nuove
sostanze psicoattive sono emerse negli ultimi anni, sempre più in vendita
online; i gruppi criminali ora utilizzano laboratori di conversione di
convertire le sostanze chimiche legali in precursori utilizzabili; la
criminalità organizzata nei Paesi Bassi e in Belgio rimane la principale
produttrice e distributrice di droghe sintetiche. I gruppi criminali europei
producono droghe sintetiche a buon mercato in Africa e in Asia e distribuiscono
i loro prodotti ai mercati in Europa, l'UE è regione di transito e destinazione
per la metanfetamina prodotta in Africa, Asia e America Latina”.
“Gruppi criminali nei Paesi Bassi e in Belgio rimangono i
principali produttori e distributori di droghe sintetiche. Altri paesi come la
Germania, l'Estonia, la Bulgaria, la Lituania, la Polonia e paesi nordici
(Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia) sono compresi tra piccola e
media scala di produzione di materiali sintetici. La maggior parte dei prodotti
nell'UE sono destinati ai mercati europei. Droghe per il mercato UE si
producono anche in Africa occidentale e nella Federazione russa, e gruppi
olandesi, belghi, inglesi, lituani e polacchi lavorano insieme per dominare il
flusso di droghe sintetiche nell'UE, dalla fonte, i precursori, alla distribuzione
del prodotto finale. Gruppi con sede al di fuori dell'UE, compresi i gruppi di
lingua russa e albanese, stanno sempre più cercando di entrare nel mercato
delle droghe sintetiche in Stati membri diversi. La Cina rimane la principale
fonte di precursori e pre-precursori. Tuttavia, anche l'India e la Thailandia
sono fonti per le sostanze utilizzate nel processo di conversione, in misura
minore. Nel 2012, il sistema di allarme rapido dell'UE ha segnalato la comparsa
di più di 70 nuove sostanze psicoattive, che attualmente rappresentano una
quota relativamente piccola del mercato delle droghe illegali, ma prezzi più bassi,
maggiore disponibilità e qualità sono suscettibili di attirare più utenti”.
“Le differenze nella legislazione e l’insistenza sul rigore
hanno deviato le rotte di approvvigionamento di pre-precursori e nuove sostanze
sintetiche. Maggior controllo e una legislazione rigorosapotrebbe spingere la deviazione dei percorsi
di distribuzione e la delocalizzazione dei siti di produzione di droghe
sintetiche”, da notare come ci sia consapevolezza che “maggior controllo e
legislazione rigorosa” servano più che altro a spostare le rotte, il che genera
invasione di altri territori e apertura di nuovi mercati, perché i paesi di
transito divengono paesi consumatori.
“L’Africa Occidentale, settentrionale e orientale è destinata
a diventare sempre più luogo interessante per i produttori di materiali
sintetici a causa di collegamenti migliori con i mercati redditizi in Europa,
nuove opportunità del mercato locale del lavoro e poco costoso. L'aumento della
concorrenza criminale di area russa e tra i diversi fornitori di droghe
sintetiche possono provocare violenti conflitti tra gruppi. Il coinvolgimento
della criminalità organizzata nella produzione delle nuove sostanze psicoattive
è ancora limitata, tuttavia, i rischi bassi e gli alti profitti attireranno la
criminalità organizzata a questo mercato in via di sviluppo e in rapida
espansione”
E, a fronte delle evidenze che risultano da ogni rapporto
presentato al pubblico, ecco le dichiarazioni di Roberto Alfonso, procuratore
capo di Bologna e numero uno della direzione distrettuale antimafia
dell'Emilia-Romagna; “ieri intervistato davanti a 300 ragazzi delle scuole
superiori nell'incontro organizzato dall'Arma in occasione della giornata di
ricordo per le vittime delle mafie, ha chiesto un aiuto di tutti per ridurre gli
'affari' della criminalità organizzata e non. "Anche il consumatore ha una
grande responsabilità e per consumatore intendo il cittadino che, anche se non
commette reati, si rivolge alle organizzazioni piccole o grandi per soddisfare
il proprio bisogno di illegalità". Sia che si tratti della "partita
alla macchinetta del gioco d'azzardo, spesso truccata, che serve solo per
fregarti i soldi", sia che si 'comprino' droga o sesso a pagamento.
"Se noi riduciamo il numero dei consumatori, sicuramente attueremo una
condotta di contrasto alla criminalità organizzata. Immaginate se non ci
fossero più consumatori, cosa accadrebbe alle organizzazioni che hanno
centinaia di macchinette in tutta Italia?", fa notare Alfonso, invitando
gli studenti a "porsi il problema del consumatore". Ad
"amplificare le attività criminose non sono soltanto le condotte illecite
dei mafiosi o dei delinquenti- afferma Alfonso- ma vi è anche il concorso del
consumatore, che è il cittadino che consuma la droga e con il suo comportamento
aiuta le organizzazioni criminali dedite al traffico degli stupefacenti a
sopravvivere. C'è il consumatore della prostituzione, che aiuta le
organizzazioni che sfruttano la prostituzione e la tratta delle donne, e c'è chi
gioca d'azzardo e con questo suo comportamento aiuta le organizzazioni che lo
gestiscono, spesso di stampo mafioso".
Ora se è vero che il consumatore contribuisce a sostenere
la criminalità organizzata, è vero solo se inserito in un’ottica di strategie
proibizioniste; il consumatore è indirizzato a sostenere e finanziare da un
sistema legislativo che ha arricchito e sostenuto negli ultimi 50 anni tutti i gruppi
criminali del mondo intero; se ne ha un esempio nel dettaglio nella legge
italiana, dove il possesso e la detenzione della stessa cima di canapa risulta
reato amministrativo, se comprata in piazza dalla manovalanza dei gruppi
criminali, reato penale se coltivata; in Italia, per coltivazione di canapa,
un’attività tradizionale italiana, si rischia di essere o incarcerati o
sbattuti nelle comunità di recupero, che a volte sono benemerite, altre volte
sono luoghi inquietanti dove l’assenza di controlli favorisce fenomeni di
abuso, maltrattamento, sfruttamento, come la più famosa italiana, la San
Patrignano di Vincenzo Muccioli; “la vigna del signore”, così veniva definita, e
dove negli ’80, a fronte di una emergenza che nessuno era in grado di gestire,
furono consegnati migliaia di giovani ad un sistema prevaricatore e violento di
rieducazione forzata fuori da ogni regola civile.
La battaglia per la legalizzazione del consumo e della
coltivazione di cannabis sta aumentando di forza e di intensità in tutto il
mondo. Che si limiti a rivendicare la libertà dei propri consumi per gli amanti
della cannabis, o che sia intesa come primo graduale passo per una
regolamentazione di tutte le sostanze stupefacenti, che derivi
dall'affermazione del diritto a non essere perseguito per un comportamento
privato e personale, o che nasca dalla volontà di troncare una delle maggiori
fonti di guadagno delle criminalità organizzate, quello che sta montando dall'
Uruguay alla Spagna, tanto per citare solo due paesi, è un movimento vasto e
ragionato che prende piede sia tra le forze politiche che tra le popolazioni.
In questo panorama, il caso francese è diventato di
attualità a seguito dell'arresto, nel febbraio scorso, di Dominique Broc,
coordinatore nazionale dei cannabis social club francesi, rilasciato dopo poche
ore e in attesa di comparire davantial
Tribunale di Tours per rispondere di detenzione di sostanze illecite e rifiuto
di eseguire test.
I cannabis social club francesi iniziano a nascere nel
giugno 2012, sull'esempio di quelli spagnoli e di tutta una rete, l'ENCOD,
European Coalition for Just and Effective Drug Policies, che opera da circa un
decennio per una riforma delle leggi sulle droghe; a differenza della Spagna,
dove è permessa con alcune limitazioni, e come in Italia, la coltivazione di
canapa in Francia è vietata; questo ha richiesto un adattamento del codice di
regolamentazione ENCOD. La coltivazione per uso personale dei soci dei club
francesi si configura come una vera e propria disobbedienza civile.
Dal giugno 2012 ad oggi, i CSC francesi sono diventati
centinaia, e i soci migliaia; tutto è andato avanti senza scosse fino al
momento in cui il quotidiano fondato, tra gli altri, da Jean-Paul Sartre,
Libération, pubblica un ampio e dettagliato reportage sull’iniziativa di Broc e
compagni, accompagnato da una lunga intervista al leader dei CSC francesi in
cui si annuncia il deposito, di lì a qualche giorno, dei loro statuti nelle
prefetture. Subito dopo, la polizia è entrata in casa di Dominique Broc
sequestrando le piante, le attrezzature, i computer e altro materiale.
Segno che lechangement tanto decantato dal
presidente François Hollande durante la campagna presidenziale, c’est pas maintenant, almeno su
questo fronte, e che forse occorrerà aspettare un cambio di guardia à la Place
Beauvau, o una presa di posizione coraggiosa del ministro della Giustizia,
Christiane Taubira. Fatto sta che, nonostante la sinistra sia tornata al potere
dopo quindici anni, alla guida del ministero degli Interni resta
un’impostazione fortemente conservatrice; in materia di droghe e non solo,
l’atteggiamento di Claude Guéant, ultimo ministro degli Interni di Sarkozy, non
è poi così distante da quello del “socialista” Manuel Valls.
Intanto, in attesa dell'udienza, prevista per l'8 aprile, i
CSC francesi hanno annunciato il deposito in massa dei loro statuti, e messo in
atto una iniziativa di coming out. Riempiendo un format predisposto, centinaia,
al momento attuale,di persone,
esponendosi con nome, cognome e foto, stanno dichiarando il loro consumo e la
loro intenzione di uscire dalla clandestinità, affinchè la società si evolva.
Medici, avvocati, professionisti, impiegati, si stanno unendo a questa
dichiarazione. I media internazionali si stanno interessando della cosa, e
saranno presenti, molto numerosi, davanti al Tribunale di Tours l'8 aprile.
E dall'Italia? Intanto, ecco il sostegno dell' Associazione
radicale Antiproibizionisti:
Sabrina Gasparrini, Presidente
Claudia Sterzi, Segretaria
dell' @.r.a.
Stasera, venerdì 4 gennaio 2013, alle 22.30. su www.liberi.tv, inizia il nuovo anno di Leggera Euforia, il programma più antiproibizionista che ci sia; notizie dal mondo antiproibizionista, aggiornamenti dalla war on drugs, chat in diretta, politica e fantasia :)
Traccia della trasmissione andata in onda su Radio
Radicale il 11/12/2012
Come dicevamo altre volte, e come
abbiamo visto in molte parti del mando, dalla mezzaluna d’oro asiatica ai
territori andini, emerge anche nel continente africano l’identificazione di quelli che gli stati
uniti chiamano “king pin”, cioè i cosiddetti signori della droga, con gruppi
terroristici e rivoltosi, fra narcotrafficanti e contrabbandieri di armi.
Particolarmente preoccupante è il coinvolgimento sospetto di Al Qaidi nel
Maghreb Islamico (AQIM) e del gruppo islamico terrorista della Nigeria, Boko
Haram, che potrebbero essere coinvolti nel traffico per finanziare le loro
attività, secondo un rapporto pubblicato lo scorso anno dalla US Drug
Enforcement Administration.
Un articolo uscito il 14
novembre, su Meridiani, ci informa della crescente collaborazione fra i vari
gruppi terroristici che operano in Africa: “La fitta rete del terrore che
innerva l’Africa occidentale mette in connessione i militanti di Boko Haram con
i più attivi e minacciosi gruppi fondamentalisti del Sahel e del Centrafrica.
Una rete fatta di scambi di conoscenze pratiche, di combattenti addestrati e di
un’indefessa opera di intelligence e di condivisione di principi ideologici. Il
rischio di una collaborazione più stretta tra Boko Haram (movimento nigeriano),
Aqmi (al Qaeda nel Maghreb Islamico), Mujao (Movimento per l’unicità del jihad
nell’Africa occidentale), Ansar Eddine (movimento tuareg salafita) e gli
Shabaab della Somalia e’ paventato da anni, fin da quando le prime voci
sull’addestramento di combattenti nigeriani nei campi maliani, somali e
yemeniti iniziavano a circolare fra le autorità. L’accresciuta collaborazione
tra gli Stati della regione saheliana nelle operazioni anti-terrorismo ha
spinto le organizzazioni fondamentaliste verso un maggiore coordinamento, in
modo da sopperire anche all’indebolimento dell’azione coesiva di al Qaeda.
L’unione degli sforzi fra i vari movimenti fondamentalisti non tende però alla
creazione di un’organizzazione transnazionale, quanto piuttosto al
rafforzamento cooperativo dei vari attori locali, riuniti in un vero e proprio
network dall’imprevedibile potenza d’impatto”.
Vediamo dunque il coinvolgimento
di questi gruppi con il narcotraffico, e iniziamo dal Mujao (Movimento per
l’unicità del jihad nell’Africa occidentale), descritto così da un reporter
francese sul sito Temps reel: “Grande reporter,Jean-Paul Mari rientra da Bamako, dove è andato per un reportage per
conto del “Nouvel Observateur", al fine di tentare di svelare la realtà
del nord del Mali. Quattro organizzazioni controllano il nord del Mali: la più
conosciuta e la più minacciosa è AQMI, Al Qaeda nel Magreb Islamico, con il
MUJAO, la sua escrescenza mafiosa, specializzata in narcotraffico”.
Sul Globalist L’argomento viene
approfondito:“A un anno dai rapimenti
dei cooperanti europei, Il Fronte polisario non riesce a capacitarsi, un anno
dopo l'operazione di Tindouf, che il Mujao (Movimento per l'unicità e il jihad
nell'Africa occidentale) sia potuto penetrare nei campi profughi l'operazione
del sequestro di tre cooperanti a Tindouf non avrebbe potuto realizzarsi senza
una complicità all'interno degli accampamenti. Perché i terroristi sono venuti
dal Mali, hanno attraversato la frontiera mauritana per entrare in Algeria e
raggiungere di notte i campi di Rabbouni. Le autorità sahrawi non negano che ci
sia stata una collaborazione con elementi all'interno dei campi. «I
narcotrafficanti che si trovano nella zona sono stati utilizzati dai gruppi
terroristi al di fuori dei campi per facilitare la penetrazione nei luoghi dove
sono stati rapiti gli europei», afferma un alto responsabile della sicurezza
del Fronte polisario. «I narcotrafficanti, con la complicità delle guardie
militari marocchine, approfittano di passaggi che permettono loro di far uscire
la droga con veicoli e di consegnarla ad altri gruppi che arrivano dalla
Mauritania e la trasportano verso il Mali», spiega Abdelhay Emmay. il
comandante della prima legione della seconda regione militare dei territori
liberati del Sahara occidentale. Si tratta di centinaia di brecce aperte
momentaneamente e poi richiuse lungo i 2.400 chilometri di muro. Create
inizialmente per il traffico di sigarette, poi di droga, poi per l'immigrazione
clandestina di africani verso l'Europa, sono utilizzate ora anche per far passare
i terroristi”.
Su Le Matin si trova poi un altro
approfondimento dal titolo “Sahel, quando la sharia benedisce i
narcotrafficanti”. “La connessione tra i gruppi terroristi armati che occupano
il nord del Mali e la rete del contrabbando e dei narcotrafficanti è così
stretta che sarebbe ingenuo prendere per oro colato la recente dichiarazione
del capo terrorista di Ansar Eddine, Iyad Ag Ghali, che ha detto di voler
interrompere il contrabbando di droga e di sigarette sul terriotrio di Azawad,
che occupa da sei mesi insieme ad Al Qaeda nel Magreb Islamico e al MUJAO.
Secondo le informazioni pubblicate questo sabato da diversi siti africani, il
capo di Ansar Eddine (mentre due delegazioni stanno seguendo, a Algeri e a
Ouagadougou, negoziazioni per l’uscita dalla crisi nel nord del Mali) ha
dichiarato a margine della chiusura delle esercitazioni militari organizzate a
Kidal, che “il contrabbando è interdetto nell’Azawad”, sottolineando come
“tutti i contrabbandieri dispongano di un termine di tre settimane per cessare
la loro attività.” Intanto, a Algeri e a Ouagadougou, le sue delegazionipersistono e firmano. Per Ansar Eddine non si
pone la questione se combattere AQMI, “dei musulmani come noi”, ha affermato il
capo della delegazione che ha reiterato la sua vicinanza ideologica e militare
all’organizzazione di Abdelmalek Droukdel et Mokhtar Belmokhtar , che sono a
capo di un importanterete di
narcotrafficanti, rete fondata sul mercato delle sigarette americane Marlboro. Iyad
Ag Ghali stesso deve la sua ascesa “politica” alle potenti organizzazioni di
narcotrafficanti . che gli hanno permesso di trovarsi in possesso di una immensa
fortuna, con la complicità di Algeri e Bamako. La dichiarazione, intervenuta
nel corso del dialogo che il suo gruppo porta avanti a Algerie a Ouagadougou serve a “moralizzare” in
superficie la sharia e ad offrire alle autorità algerine e mauritane un aspetto
presentabile, destinato ad una operazione di facciata che non regge davanti
alla natura dell’ islamo-gangsterismo di Ansar Eddine. In realtà, dopo la sua
occupazione di Timbuctu, dove si continua ad applicare la sharia, non si è
fatto altro che attaccare una popolazione senza difese. Sono stati distrutti un
certo numero di piccoli commercianti di alcol, proibito il consumo del tabacco
in nome della sharia ma non si sono colpiti i grandi trafficanti di droga e di
sigarette che sono controllati per conto degli “emiri” algerini di AQMI”.
Dai legami tra narcotrafficanti e
terroristi passiamo ora a quelli tra narcotrafficanti e vertici politici; su
mali Actualité si descrivono i rapporti fra il Presidente del Mali, deposto nel
marzo 2012, Amadou Toumani Touré, e le organizzazioni criminali che gesticono
il traffico di cocaina. “Generali dell’esercito del Mali, uomini politici, eletti
locali, sono tutti coinvolti in un traffico di droga. Un rapporto
ultraconfidenziale dei servizi segreti americani ha da poco rivelato che nove
generali del Mali sono stati implicati nel traffico di cocaina nel Sahara. Il
barone in capo di questa rete altri non sarebbe che l’ex presidente della
repubblica Amadou Toumani Touré. Il coinvolgimento di sua moglie nell’affare
“Air Cocaine”, è la prova perfetta dell’esistenza della criminalità organizzata
ai vertici del potere. Ma c’è di peggio. Fra il gennaio 2006 e il maggio 2008
sono stati sequestrati 284 chili di cocaina in Europa, all’arrivo di voli
provenienti dal Mali, il che situa il paese al quarto posto dell’ Africa
dell’ovest. A livello di numero di trafficanti arrestati all’arrivo in Europa,
l’aeroporto di Bamako fornisce il secondo contingente dell’Africa occidentale,
soprpassato soltanto da quello di Conakry, un piazzamento molto sproporzionato
in rapporto all’importanza del traffico aereo tra Mali e Europa. Il rapporto
del GRIP (Gruppo di informazione e ricerca sulla pace e sulla sicurezza) non
lascia dubbi: il Mali, fuori dalle rotte principali e senza interesse particolare
per i passeggeri è divenuto, così come
la Mauritania e il Niger, paese di massiccio transito; i sequestri negli
aereoporti europei non sono che la cima di un iceberg di cocaina che va a giro
tranquillamente lungo il deserto sahariano. In pieno Sahara, a Tinzaouatine, vicino
alla frontiera algerina, 750 chili di cocaina sono stati abbandonati dai
contrabbandieri che sono fuggiti attraverso la frontiera algerina; e che dire
di “Air Cocaine”, e dei suoi andirivieni quotidiani che non sono di centinaia
di chili ma tonnellate. In almeno due casi, alcuni notabili di Gao e di Tarkint
erano presenti agli atterraggi, e a Kayes era l’esercito che presidiava una
pista improvvisata per ricevere quattro tonnellate di cocaina. Nelle varie ramificazioni
delle inchieste si trovano implicati cittadini marocchini, francesi, spagnoli,
del mali e altro. Le autostrade sahariane della cocaina sono già un classico e
sottolineano perfettamente i legami esistenti fra i narcotrafficanti
latinoamericani, i belligeranti (Polisario, Tuareg, ecc.), gli islamisti di
AQMI e i loro adepti, e infine le forze armate e gli attori politici ed
economici della regione. Questi ultimi e le forze armate hanno sempre agito
nella quasi totale impunità: Georges Berghezan di GRIP sottolinea, in una
intervista al quotidiano Libre Belgique che ci sono stai, all’inizio del 2010,
numerosissimi atterraggi di trasporti di droga a Kidal, Gao, Timbuctù. Durante
l’incidente di Tarkint, secondo l’ambasciata degli Stati Uniti, i servizi segreti
del Mali avevano circondato la zona e ai servizi antidroga non è stato permesso
l’accesso. Di una dozzina di persone arrestate, la maggior parte sono state già
liberate. Le molteplici joint venture fra criminalità organizzata, banditi
carovanieri, islamisti trafficanti di esseri umani, uomini di affari, militari,
politici, liberatori e altri rivoluzionari, mirano essenzialmente al controllo
del traffico di droga. Dietro le rivoluzioni, i colpi di Stato, le liberazioni
dei territori, e altre azioni armate, c’è il disegno in filigrana di diverbi,
litigi, divisioni, contestazioni e controllo delle vie di un traffico che
genera annualmente numerosi miliardi di dollari. La presenza militare USA e
francese, decentrata e più che altro costiera, pare perfettamente inefficace,
malgrado gli sforzi di un dirigente locale delle forze speciali, Christian
Rouyer e di tutta la tecnologia americana. Tanto più che i “barbuti” e gli
uomini di affari di questi due paesi giocano spesso su più tavoli e non
disdegnano la manna che viene dal cielo latinoamericano”.
Per concludere, leggiamo alcune
notizie sul coinvolgimento delle banche africane nel riciclaggio dei proventi
di questo vasto traffico. Le banche che operano in Ghana sono stati invitate a
intensificare i loro sforzi nella lotta contro il riciclaggio di denaro e il
finanziamento del terrorismo, per scongiurare che il paese sia messo di nuovo
nella “black kist”. Parlando alla apertura della filiale Westland della
Standard Chartered Bank in Accra, Nicholas Okoe Sai, Advisor della Banca del
Ghana (BOG) ha detto che la Banca centrale e altre istituzioni competenti
garantiscono che sono state adeguate le normative e sono state prese misure per
scongiurare il reinserimento nella “black list”. Le azioni intraprese includono
la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità
organizzata transnazionale e l’ emanazione dei regolamenti anti-terrorismo del
2012. "Non dobbiamo rinnegare le nostre responsabilità, ciò di cui la
Banca del Ghana ha bisogno è chetutte
le banche e gli intermediari finanziari forniscano un'efficace cooperazione e
collaborazione", ha detto Sai. Lo scorso febbraio il Ghana era stato messo
sulla lista dei paesi che non hanno norme internazionali per prevenire il
riciclaggio di denaro. Tuttavia, il Gruppo di azione finanziaria aveva
cancellato il Ghana dalla lista nera, citando con soddisfazione le misure
adottate dal Centro di informazione finanziaria del paese, dopo il lancio di
orientamenti in materia di antiriciclaggio per i vari bracci del settore
finanziario delle banche, delle assicurazioni e del mercato dei capitali . Sai
ha detto che la rimozione del Ghana dalla lista nera è stata molto
incorraggiante e ha esortato le banche a mettere in atto misure per fermare le
transazioni illegali. Parlando della ricapitalizzazione delle banche, ha detto che
dal 2008 la maggior parte delle banche hanno aumentato il loro capitale al
livello minimo richiesto di GH ¢ 60 milioni, tutte, tranne cinque. "Delle
cinque banche rimanenti, quattro hanno presentato piani di capitalizzazione credibili".